Il Pontificato di Papa Benedetto è “in crisi”. Anzi: “E’ caratterizzato da un succedersi impressionante di crisi come non era avvenuto con nessuno dei Papi degli ultimi cento anni”. E’ la tesi accusatoria del volume appena pubblicato da Marco Politi per Laterza intitolato “Joseph Ratzinger crisi di un Papato” (pagine 328, euro 18).
Luigi Accattoli, in un articolo su Liberal, riportato dal suo blog, riassume le tesi di Politi e replica.
La mia prima risposta è che c’è sì una crisi – o quantomeno l’avvertenza, il sentimento di una crisi – ma essa riguarda la Chiesa e non il Pontificato di Papa Benedetto: ovvero, non solo il Pontificato. La seconda risposta è che la reazione “impolitica” alla crisi che Papa Ratzinger viene svolgendo – concentrazione sulla figura di Cristo e sulla teologia dell’amore, opzione per la purificazione penitenziale della Chiesa – è forse l’unica possibile e non ha dato fino a oggi cattiva prova di sé.
Il collega Politi elenca buone ragioni nello svolgimento della sua accusa.
“La Chiesa cattolica, sotto la superficie di scintillanti manifestazioni di massa, vive una crisi profonda. La mancanza di vocazioni crea dei vuoti in decine di migliaia di parrocchie”: è verissimo. Le stesse manifestazioni tendono a essere gonfiate ad arte: “Nel caso del megaraduno giovanile di Madrid la cifra di due milioni è mitologica”: anche questo è vero. Erano tanti ma non due milioni.
“Il ‘peccato’ più grande di questo pontificato è che in Vaticano si discute poco sulle scelte strategiche da fare”: non saprei dire meglio.
“Milioni di fedeli non si riconoscono nelle norme relative ai rapporti interpersonali, al divorzio, all’interruzione di gravidanza. Non comprendono perché un sincero legame omosessuale debba venire costantemente demonizzato. Non comprendono perché alle donne nella Chiesa debbano venire riservate soltanto funzioni di servizio, senza nessuna possibilità di partecipare alle decisioni”: tutto vero, ma era vero anche con Giovanni Paolo II e già con Paolo VI. E probabilmente lo sarà con il prossimo Papa.
L'articolo è ampio e consiglio di leggere il testo integrale. Riporto solo la conclusione.
“Non si coglie l’indicazione di una rotta” conclude Politi a pagina 303. E invece sì che la si coglie. E’ una rotta che non punta sulle riforme ma sulla conversione, che è benissimo espressa dalla scelta del Papa teologo di concentrarsi sulla figura di Gesù e sulla predicazione di un Dio che è “tutto amore e solo amore”. Una rotta che non rinnega nulla del Vaticano II ma ne sollecita una fedeltà attenta alla lettera oltre che allo spirito. Che pone come prioritaria e fondante la fase dell’ascolto e della purificazione interiore rispetto a quella della proclamazione ad extra, che vuole proposta nell’umiltà di chi è consapevole dei propri limiti. La richiesta di perdono per i peccati di pedofilia – altra sottovalutazione di Politi – va considerata come un atto di governo a pieno titolo.