Oggi pomeriggio i funerali di don Agostino Cantoni. Crema si è fermata per un po', il Duomo era saturo di presenze e di sentimenti intensi. La cattedrale non bastava a contenere la folla. Per un tratto anch'io ho portato in spalla la sua bara.
Ieri sera la veglia funebre nella “sua” chiesa, attorniato dai “suoi” canti, dalla “sua” gente, dai “suoi” affetti. Una grande famiglia si è ritrovata per salutare il padre. Persone che non si vedevano da anni, sparse un po’ ovunque sono convenute per salutarlo ed esprimergli il proprio affetto. La preghiera è stata scandita da brevi brani della Parola commentati con le sue parole.
Dalla Prima Lettera di Giovanni
Chi non ama non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore. In questo si è manifestato l'amore di Dio per noi: Dio ha mandato il suo unigenito Figlio nel mondo, perché noi avessimo la vita per lui. In questo sta l'amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati.
Come avremmo potuto conoscere i sentimenti, le emozioni, le tristezze e le gioie di Dio, se Egli non fosse nato in un corpo umano? Si è reso tangibile nelle azioni, nelle emozioni, nelle relazioni intessute con noi. Si è coinvolto nelle nostre vicende di vita e di morte, di amore e di odio. Le nostre solitudini sono abitate e sorrette dalla Sua consolazione. Non siamo dei naufraghi nel mare della vita, ma dei salvati una volta per sempre dal Dio fatto uomo.
Dal Vangelo secondo Matteo
Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla fondazione del mondo. Perché io ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi. Allora i giusti gli risponderanno: Signore, quando mai ti abbiamo veduto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando ti abbiamo visto forestiero e ti abbiamo ospitato, o nudo e ti abbiamo vestito? E quando ti abbiamo visto ammalato o in carcere e siamo venuti a visitarti? Rispondendo, il re dirà loro: In verità vi dico: ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me.
Misteriosa reale identificazione di Gesù con i poveri. Sicché il servizio ai poveri non è un optional, fa parte dell’amore fattivo che dobbiamo alla persona stessa di Gesù, non perché il povero è buono, ma perché è povero, qualunque sia la sua fede o incredulità, la sua moralità o amoralità.
Non è la stessa cosa la predilezione evangelica per il povero e il comandamento evangelico dell’amore fraterno “amatevi come io vi ho amati”. L’amore per il povero riguarda la credibilità della comunità cristiana di fronte al mondo, travalica gli steccati della fede e della non fede.
Dal Vangelo secondo Luca
Alzati gli occhi verso i suoi discepoli, Gesù diceva:
”Beati voi poveri,
perché vostro è il regno di Dio.
Beati voi che ora avete fame,
perché sarete saziati.
Beati voi che ora piangete,
perché riderete. Beati voi quando gli uomini vi odieranno e quando vi metteranno al bando e v'insulteranno e respingeranno il vostro nome come scellerato, a causa del Figlio dell'uomo”.
Del resto, anche noi che crediamo, non prendiamo molto sul serio le beatitudini, suggestionati come siamo dal fascino dell’avere e del valere. La cultura del benessere e dell’immagine ci ha contagiati al punto che più non ci turbano né la casa lussuosa, né il conto in banca che cresce a dismisura, né l’uso e l’abuso del potere, né il moltiplicarsi delle sacche di povertà.
Alfine la vita ci conduce a una radicale alternativa: o contiamo sulla nostra bravura o poniamo nel Signore la nostra suprema fiducia.
Se ci affidiamo al Signore, pur su sentieri intricati ma esposti al sole, facciamo della vita una splendida avventura.
Dal Vangelo secondo Marco
Diceva: «Il regno di Dio è come un uomo che getta il seme nella terra; dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce; come, egli stesso non lo sa.
È detto per tutte le situazioni di smarrimento, di fede perduta, di allontanamento dalla casa del padre. Ad ogni angolo di strada possiamo incontrare volti delusi, scoraggiati, abbattuti dalle vicende della vita, sconfitti e rassegnati. Qui è evidente che le parole non servono, ci vogliono vicinanze mute, ma cariche di partecipazione.
Dalla Lettera di Paolo ai Romani
E non soltanto questo: noi ci vantiamo anche nelle tribolazioni, ben sapendo che la tribolazione produce pazienza, la pazienza una virtù provata e la virtù provata la speranza. La speranza poi non delude, perché l'amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato.
La speranza ha l’occhio puntato sul domani, non sull’oggi. Tutta la Scrittura non è il testo di una meta raggiunta, bensì il documento di una speranza proiettata al futuro. La prova non è uno spiacevole incidente, la prova fa sorgere la speranza viva, il legame che rende saldi nella traversata del mare e del buio, che orienta a scelte arrischiate, non ovvie e non immediatamente vincenti, dentro la complessità della storia. La pazienza è una delle anime della speranza cristiana. La speranza è il contrario della pigrizia, dell’inerzia, anche nell’esporsi all’imprevidibilità del Dio vivente.
Dal Vangelo secondo Giovanni
Nel giorno dopo il sabato, Maria di Màgdala si recò al sepolcro di buon mattino, quand'era ancora buio, e vide che la pietra era stata ribaltata dal sepolcro. Corse allora e andò da Simon Pietro e dall'altro discepolo, quello che Gesù amava, e disse loro: «Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l'hanno posto!». Uscì allora Simon Pietro insieme all'altro discepolo, e si recarono al sepolcro. Correvano insieme tutti e due, ma l'altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro. Chinatosi, vide le bende per terra, ma non entrò. Giunse intanto anche Simon Pietro che lo seguiva ed entrò nel sepolcro e vide le bende per terra, e il sudario, che gli era stato posto sul capo, non per terra con le bende, ma piegato in un luogo a parte. Allora entrò anche l'altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette. Non avevano infatti ancora compreso la Scrittura, che egli cioè doveva risuscitare dai morti.
Se Cristo non fosse risorto nemmeno esisterebbe la nostra avventura di credenti, sarebbe senza approdo la nostra vita. La fede nel Signore risorto è una miccia: chi crede in Lui non si accontenta delle cose come stanno, ma le contraddice, le spinge verso un mondo più vivibile, più fraterno, più umano, più conforme al sogno di Dio.
Dio vale più di tutto e di tutti: più dei poveri, più della Chiesa, più di noi stessi. Non è Lui la terra madre in cui siamo stati stagliati? Non è Lui l’amore che alfine resta e mai delude?
La chiesa di San Giacomo è rimasta aperta per la seconda notte consecutiva per vegliarlo.
Ho perso la persona che ha influenzato di più la vita mia e di Silvia, le nostre convinzioni e le nostre scelte, pur nella libertà del confronto e anche della dialettica. Maestro di libertà, non di conformismo.
Questi sono stati giorni frenetici per la preparazione di un saluto che fosse degno di lui. Mi sono tenuto le ore notturne per stare un po’ di tempo con don Agostino in pace, avvolti dal buio e dal silenzio. Ho potuto accarezzarlo come non ho mai potuto fare quando era vivo. La chiesa era piena di Dio.
Ho ripercorso gli infiniti ricordi, occasione per un bilancio personale. Gli ho chiesto due cose. Una per ora la tengo segreta. L’altra è stata la richiesta di continuare ad accompagnare le iniziative di fraternità da lui inaugurate, cominciare dalle sue amate vacanze di condivisione che ha seguito fino all’ultimo. Oggi ho ricevuto due segni collegati alle mie richieste. Uno è stato, appena prima del funerale, la mail di una ragazza che vorrebbe partecipare come volontaria alla vacanza di condivisione a Palus della prossima estate. Sarebbe la prima volontaria del “dopo Agostino”…
Un'altra alba. L’avventura continua…