E' una notte umida, piovosa. Silvia è in turno all'ospedale e uno dei bambini ha il sonno disturbato dalla febbre e dalla tosse.
E' tempo per il silenzio, per l'ascolto.
La mente torna spesso a delle parole lette in questi giorni. Sono riuscito a procurarmi un quaderno del "Caffè filosofico" di Crema: Dialogo sulla morte fra uno psicoanalista, un filosofo e un sacerdote. Le pagine che più mi interessano, però, non sono quelle dei tre autori. Nel volume è pubblicato un ricordo di don Agostino Cantoni con dei suoi scritti, tra cui alcune pagine di diario degli ultimi mesi di vita.
Fa' impressione entrare in alcuni dei pensieri finali di una persona che per tanti anni è stato una guida, un modello e molto di più. Qui non ci sono ruoli, non ci sono maschere, non ci sono sconti. Non sono parole dette per un auditorio, ma il filo dei pensieri privati di un sacerdote che ha messo in piedi mille attività, è stato punto di riferimento per più generazioni di preti e laici, ha avuto una vita piena di esperienze, relazioni e interessi, è stato un testimone della carità, ha studiato, ha viaggiato... E in queste pagine si trova a fare in conti con l'ultimo tratto, nel momento della malattia, della decadenza, del venir meno delle responsabilità e dell'essere al timone...
Sabato 30 gennaio 2008: le note su questo diario sono scarse perché sono poveri i pensieri che mi accompagnano, niente di originale, di creativo. Sono come un lago stagnante dove niente si muove. Eppure tutto è grazia, anche le ore insulse e quelle della noia di esistere.
Quel sentirsi inerte, apatico, incapace di scegliere, di progettare, di inventare. Ha certo un senso, ma non è esaltante.
31 gennaio: clima primaverile, si sta benissimo in giardino, quasi fosse maggio. Il quadro di vita non dipende da noi: le stagioni, i fatti, le relazioni. Sono offerti alla nostra gioia di vivere o alla nostra fatica di esistere.
Dopo una vita spesa per gli altri, mi fa una certa impressione trovarmi con le mani in mano a decidere il da farsi: un piccolo cabotaggio. La vita non è sempre un fare affannoso o sereno, talvolta è un mare tranquillo appena ondulato.
La pensione è un sonnifero, se non hai qualcosa di interessante a cui dedicarti, tipo letture o giardinaggio. A me non mancano né le une né l'altro.
Col passare degli anni aumentano i momenti di ansia. L'ansia è come l'araba fenice: esiste ma non sai come acchiapparla. Si infiltra dovunque. La volontà è disarmata. All'ansia non si comanda.
Mistero del cuore umano in cui confluiscono speranza e depressione, coraggio e scoraggiamento, istinto e razionalità, materia e spirito: un microcosmo sintesi del macrocosmo.
E' ben grande il mistero dell'esistere, ma ben di più Colui che vi abita.
Vivere accerchiati e abitati dal mistero, questa è la grandezza dell'uomo. Ma il mistero fa paura oltre che consolare.
Lo spirito dell'infanzia di Teresina di Lisieux va al cuore del problema: abbandonarsi a Dio, fidarsi di Dio. Quello che Dio vuole non è mai troppo. L'intreccio di oscurità e fiducia è lo spartito su cui moduliamo il canto della vita di fede. Se Dio non è Colui che più di tutto e di tutti conta, non troveremo la nostra roccia di salvezza.
Lo spaccato di umanità che ragione e grazia elaborano in noi va ben oltre i limiti della nostra semplice bravura umana.
Solo lo Spirito è creatore.
La mentalità efficientistica del nostro tempo nell'occidente ricco è una controindicazione per il credente: più che la nostra bravura conta la docilità all'azione dello Spirito e la preghiera interpreta questo atteggiamento.
Come lo intendo io. Tutto passa, tutto svanisce nella corrente del tempo che ci spinge verso la morte. Tutte le nostre realizzazioni, le nostre aspirazioni, la salute, il ruolo sociale ed ecclesiale, persino gli affetti. Niente si perde, solo se è accolto e custodito dal Padre. Qui non valgono i ragionamenti, solo la preghiera.