Siamo un Bel Paese, o stiamo diventando un Paese dell'odio?
Questo cupo autunno ha steso una coltre di pioggia, di buio e umido che sembrava non alzarsi mai. Finalmente si sono viste due albe limpide. Luce, gelo, silenzio.
Eppure, un'ombra rimane, me la sento dentro.
L'Italia è attraversata da tensioni e spinte verso l'intolleranza religiosa e razziale. Cresce la povertà e cresce la rabbia. E ci sono i segni di un'operazione politica che cerca di identificare i colpevoli dei nostri problemi con i migranti, i profughi, le persone di religione diversa. Questo accade soprattutto nelle periferie, luoghi dove si misura l'assenza di una politica lungimirante e attenta alle persone, e dove il sistema ideologico-malavitoso scoperto a Roma ha trovato terreno per agire colpevolizzando chi invece è spesso vittima. Penso in particolare ai tumulti di Tor Sapienza.
Certo che i problemi ci sono. Certo che la convivenza spesso non è facile. Ma proprio per questo bisognerebbe lavorare per superare gli ostacoli, per includere e non per escludere. Invece, hanno buon gioco i seminatori d'odio che ci fanno scivolare lungo quello che Primo Levi chiamava il piano inclinato verso il fascismo.
Basta che una persona sia detestabile e sia lecito demonizzarla o privarla dei suoi diritti non per un suo comportamento, ma semplicemente per le sue caratteristiche nazionali, etniche, religiose. Tutte le volte che si creano gerarchie se questa base, si scivola lungo il piano.
E oggi lo vediamo ovunque. Ne provo angoscia, perché è una mossa che paga, faticosa da contrastare quando la rabbia serpeggia e non cerca altro che uno sfogo.
Sì, c'è un disegno. Lo si è colto anche qui a Crema, di recente, quando la mia parrocchia ha scelto di leggere un comunicato per smentire le notizie che parlavano di problemi e tensioni in una zona del nostro territorio causate dalla presenza di profughi. Ovunque si tenta di creare l'allarme, la paura seguendo un copione ricorrente.
Costruire muri fa sentire protetti, perché tiene lontani gli altri. Rassicura. E' molto più difficile credere, come fa il profeta Isaia, che ci sarà una strada tra l'Egitto e l'Assiria (cfr. Is 19,23), cioè un sentiero di pace tra imperi e popoli nemici.
Ma è questa la fiducia e la ragione dell'impegno del cristiano come di chi, più semplicemente, crede nella democrazia.