Seconda parte del mio intervento al seminario su religioni ed etica civile (Firenze, 12 novembre 2016)
Per un’antropologia inclusiva
Nel tempo della globalizzazione, del pluralismo, per costruire una convivenza tra soggetti diversi e dire “no” alla violenza, occorre un’etica fondata su un’antropologia capace di includere. Gli individui non sono riconducibili a un uomo neutro e generico, come se fosse una sorta di minimo comune denominatore; sono portatori di storie e identità differenti, ma l’attuale prevalere del sospetto e della paura nei confronti della diversità fa sì che l’altro sia escluso dalla pienezza dell’umano.
Ci sono categorie di persone la cui umanità è fragile in quanto ritenuta, più o meno apertamente, di ordine inferiore. Le loro sono quelle che Zygmunt Bauman definisce “vite di scarto” – un’espressione riecheggiata dalla “cultura dello scarto” di papa Francesco – per la loro collocazione subordinata nelle gerarchie del mercato e del capitale e per l’impotenza degli Stati, quando non per la mancanza di volontà, nel tutelarle. Un’antropologia inclusiva porta delle ragioni per dire che non ci sono vite di scarto e costituisce la premessa di un’etica civile.
Quale l’origine delle minacce odierne all’umano?
Una chiave di lettura appropriata mi sembra essere quella della perdita della memoria su cui si sofferma nel suo importante testo Memoria passionis[1]. Se vediamo ripetersi atrocità che sembravano appartenere al passato, è segno del venir meno della memoria delle sofferenze che altri hanno patito.
Di qui vorrei partire per prospettare non una soluzione teorica, che non sarebbe possibile nell’attuale pluralismo di visioni metafisiche e religiose. Ho in mente piuttosto una “soluzione pratica”, un percorso basato su passi di fatto da cui si ricava implicitamente un’immagine del trascendente, un’immagine dell’umano e dei rapporti interumani.
Sono sempre più convinto che non sia possibile elaborare un’etica civile “in vitro” che costituisca un “distillato” di principi condivisibili da tutte le visioni del mondo oggi coesistenti. Trovo maggiormente realistico e praticabile offrire una fondazione teologica di atteggiamenti e comportamenti cristiani che oltrepassino l’orizzonte di un’identità rigida e autoreferenziale e si propongano come possibilità che ciascuna tradizione può reinterpretare al proprio interno. È la via di un’etica che si costruisce “dal basso”.
Memoria partecipe del dolore altrui
Nel discutere il tema della memoria e della sua perdita, Metz osserva che l’Illuminismo risente di un pregiudizio profondamente radicato proprio nei confronti della memoria. Si tratterebbe di una scissione tra la “razionalità tecnica”, imperante in questo tempo della globalizzazione, e la “razionalità anamnestica”, una figura di ragione che fa spazio alla memoria della sofferenza. Se manca quest’ultima, il discorso sull’uomo scompare, si dissolve in un generico concetto antropologico.
«Il suo carattere illuminato e la sua legittima universalità sono acquistati da questa ragione anamnestica per il fatto che essa si sa qui data da una determinata memoria, appunto dalla memoria della sofferenza, dalla memoria passionis – e precisamente non nella figura di una memoria autoreferenziale (alla radice di tutti i conflitti!), ma nella figura della memoria della sofferenza altrui, nella figura dell’immedesimarsi nel dolore di altri. Questo apriori della sofferenza con il suo universalismo negativo guida la pretesa di universalità e di verità della ragione nell’età del pluralismo»[2].
Le tradizioni bibliche del discorso su Dio e le narrazioni neotestamentarie su Gesù costituiscano una figura di responsabilità globale orientata sull’universalismo della sofferenza presente nel mondo. Il primo sguardo di Gesù era rivolto al dolore degli altri, non al loro peccato. Quest’ultimo era per lui soprattutto rifiuto della partecipazione al dolore altrui. Il cristianesimo, infatti, ha avuto inizio come memoria della passione di Gesù e della sua solidarietà con il dolore umano: la passione di Cristo è com-passione. Di qui la proposta di Metz di farne il programma universale del cristianesimo nell’età della globalizzazione e del suo costituzionale pluralismo dei mondi religiosi. «E io concepisco questa compassione come sofferenza-con, come partecipe percezione del dolore altrui, come pensiero attivo della sofferenza degli altri, come tentativo di vedersi con gli occhi degli altri, degli altri sofferenti»[3]. Vale la pena di ricordare che la compassione è uno degli aspetti del tema della misericordia di Dio, venuto in primo piano come nucleo della rivelazione biblica su Dio con le riflessioni di Walter Kasper, il pontificato di Francesco e il giubileo ad essa dedicato[4].
L’umanità sofferente di Gesù si pone come un appello al riconoscimento della sofferenza di ogni uomo e donna anche indipendentemente dall’adesione alla fede cristiana, perché è precedente a ogni dato religioso. Infatti, la compassione attraversa la storia del pensiero, toccando pensatori di epoche diverse come Aristotele, Agostino, Tommaso, Rousseau, Lessing, Hegel, Husserl, Scheler… C’è poi la presenza della compassione nelle grandi tradizioni religiose come il buddismo. La si può considerare un concetto davvero trasversale e universale. Nel cristianesimo c’è una differenza consistente non in un’idea particolare, ma nella compassione insegnata e vissuta in prima persona da Gesù di Nazaret.
Con la tematica dell’immedesimazione siamo provocati a uscire dall’assolutezza dell’individualismo moderno. Là dove le logiche identitarie antepongono e contrappongono i propri morti a quelli altrui – e di fatto li strumentalizzano (si pensi in Italia all’uso ideologico delle stragi di “destra” e di “sinistra”) – ponendo i presupposti dell’esclusione dei vivi, una ragione anamnestica rompe i giochi rivendicativi con un atto unilaterale e disinteressato. Essa non funziona solo nella direzione del passato. Declinata al presente si traduce in un riconoscimento del volto dell’altro sofferente che chiama alla responsabilità, nel senso di “rispondere a”.
[1] Johann Baptist Metz, Memoria passionis. Un ricordo provocatorio nella società pluralista, Queriniana, Brescia 2009.
[2] Johann Baptist Metz, «Proposta di programma universale del cristianesimo nell’età della globalizzazione», in R. Gibellini (a cura di), Prospettive teologiche per il XXI secolo, Queriniana, Brescia 2003, p. 391.
[3] Ibid., p. 395.
[4] Cfr. Walter Kasper, Misericordia. Concetto fondamentale del vangelo. Chiave della vita cristiana, Queriniana, Brescia 2013. Una mia lettura in Christian Albini, L’arte della misericordia, Qiqajon, Magnano 2015.
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