Terza parte del mio intervento al seminario su religioni ed etica civile a Firenze (12 novembre 2016)
Responsabilità libera
È stato Dietrich Bonhoeffer a dare una connotazione teologica al concetto di responsabilità, presentandolo come categoria riassuntiva dell’agire di Gesù negli scritti confluiti nella sua Etica. La vita responsabile si configura per lui come risposta al comando e alla chiamata di Dio, la quale è rivolta verso gli altri uomini. Per Bonhoeffer il soggetto dell’etica, allora, non il soggetto isolato, bensì il soggetto responsabile che vive la dedizione all’altro, vive cercando il bene dell’altro: Gesù “uomo per gli altri”, come scrive nella sua Cristologia, che arriva al punto di attirare su di sé la violenza e la sofferenza.
«Il contenuto della responsabilità di Gesù Cristo in favore degli uomini è l’amore, la sua forma è la libertà. L’amore, di cui qui si tratta, è l’amore realizzato da Dio per gli uomini, per cui egli non è il predicatore di ideologie etiche astratte, bensì l’esecutore concreto dell’amore di Dio. (…) L’amore per l’uomo reale – e non per una qualche idea di uomo – non è regolabile con leggi e si manifesta nella libera dedizione personale»[1].
La responsabilità è in radice una risposta all’accadere dell’altro nel nostro orizzonte di vita. Nel momento in cui facciamo esperienza di un presenza e il nostro Io incontra un Tu dobbiamo dare una risposta, che in Gesù assume la fisionomia del farsi prossimo al di là di ogni differenza sociale, culturale e religiosa, fino alla croce. La responsabilità di Gesù nei confronti degli uomini e delle donne è radicata nella sua responsabilità verso la presenza e il volto di Dio.
Si tratta di “mettere Dio al centro della vita”, come scrive nelle lettere dal carcere. Il Dio biblico sofferente e impotente, però, che si lascia cacciare fuori dal mondo sulla croce: è solo così che si rivela e si fa incontrare. Assumere questa fisionomia di Dio significa rinunciare a qualsiasi identità da far valere e affermare, riconoscendo l’altro nella sua sofferenza senza distinzioni.
«Essere cristiano non significa essere religioso in un determinato modo, fare qualcosa di se stessi (un peccatore, un penitente o un santo) in base a una certa metodica, ma significa essere uomini; Cristo crea in noi non un tipo d’uomo, ma un uomo. Non è l’atto religioso a fare il cristiano, ma il prendere parte alla sofferenza di Dio nella vita del mondo»[2] (18 luglio 1944).
Fraternità universale
L’itinerario che stiamo componendo assume nella quotidianità dei rapporti interpersonali di convivenza, nelle relazioni sociali e nelle scelte politiche la figura della fraternità. Qui entra in gioco la riflessione portata avanti da Christoph Theobald, il quale risale dallo stile di Gesù a una teologia fondamentale in cui prende forma un habitus del cristiano nella postmodernità.
Il grande problema, che oggi genera violenza ed esclusione, è la non accettazione dell’alterità contrapposta alla propria identità e unicità. Muovendo da considerazioni analoghe a quelle di Bonhoeffer, egli considera l’unicità di Gesù non in termini di singolarità, ma in termini di una santità comunicata ai suoi discepoli e a tutta l’umanità, a ciascuno in modo assolutamente unico e incomparabile. È l’unicità del chicco di grano che muore e porta molto frutto (cfr. Gv 12,24).
«L’Unico non è dunque veramente l’Unico, nel senso di un’unicità di eccellenza, se non quando dona la sua vita per una moltitudine e perché ciascuno possa accedere alla propria unicità»[3]. Teologicamente questa affermazione viene motivata affermando che l’unione ipostatica del Verbo di Dio e della natura umana è pensata in relazione con la vocazione universale a diventare “figli nel Figlio”. «L’unico Cristo e Signore è l’Unico solo se genera una moltitudine di unici: la moltiplicazione dei pani (Mc 6,30-52) è preceduta da una moltiplicazione messianica di apostoli (mc 3,13-19 e 6,6-13), chiamati a occupare e decuplicare, sulle strade della Galilea di tutti i tempi, il posto dell’Unico»[4].
Questo spiega come mai nel NT l’ospitalità e la philoxenia (“amore per lo straniero”) assumano una posizione centrale nell’azione e nella proclamazione di Gesù, il quale si faceva lui stesso “spazio di ospitalità” per l’altro (cfr. Eb 13,2). Theobald sottolinea la distanza di Gesù rispetto alla sua stessa esistenza che non impone se stesso e la propria identità, ma sollecita l’altro a riconoscere la propria identità: “La tua fede ti ha salvato” (cfr. Lc 7,50; 8,48…): «(…) l’ospitalità di Gesù consiste essenzialmente nel percepire che il vangelo è già all’opera nell’altro e nelle nostre società, nell’aiutarlo, nell’aiutarli dunque a percepire la promessa che si cela nella loro esistenza».[5]
In altre parole, nel seguire l’agire responsabile di Gesù il cristiano impara la fraternità consistente nel riconoscere l’altro come fratello, a sua volta figlio del Padre il cui Spirito abita in lui. Ecco il motivo del farsi prossimo verso un uomo che nella parabola del buon samaritano è semplicemente tale, senza specificazioni, per dire che può trattarsi di “ogni” uomo che incontriamo.
La fraternità cristiana, al cuore della proposta di papa Francesco, non ha perciò un significato filantropico, emotivo o ideologico, ma è mistico-contemplativa: consiste nel «guardare alla grandezza sacra del prossimo», «scoprire Dio in ogni essere umano», «sopportare le molestie del vivere insieme aggrappandosi all’amore di Dio» e «aprire il cuore all’amore divino per cercare la felicità degli altri come la cerca il loro Padre buono» (EG, n. 92).
Nella Laudato si’ assume una veste di “fratellanza universale” (n. 288) in quanto comincia in mezzo alle nostre relazioni quotidiane, ma è diretta all’Altro, a ciò che è «fragile» o «debole» (nn. 209-216), agli esclusi e alla terra (nn. 186-216) dentro la pluridimensionalità del reale e delle relazioni che ci strutturano: relazione con noi stessi e con gli altri, con la terra, con Dio. «L’uscita da sé verso il fratello non caratterizza affatto solo una dinamica cristiana iniziata dalla sacra Scrittura, bensì costituisce il nucleo dell’autentica umanità. Ecco perché riguardo a una mistica della fraternità ho parlato anche di “transito critico-contemplativo”, un processo in cui la Chiesa viene interrogata sulla propria umanità e solo se ascolterà e accoglierà veramente queste domande potrà rivendicare anche nella società, ma mai senza altri attori, un’umanità profetica. In questo modo nei testi di Francesco ci si congeda per la prima volta in maniera chiara dalla classica contrapposizione tra Chiesa e società a favore di una fraternità mai garantita, sempre minacciata dalla violenza e sempre da concretizzare nuovamente di volta in volta. In primo piano non sta dunque la questione della verità (anche se non è mai esclusa). Ma al posto di un’autodifesa apologetica la Chiesa offre risorse spirituali specifiche con cui le nostre società, proprio qui in Europa, potrebbero resistere alle crisi che le sconvolgono. La Chiesa viene qui compresa come, per così dire, una “rabdomante” missionaria che con sensibilità spirituale scova ciò di cui si parla nel Vangelo come già presente nell’Altro»[6].
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Memoria, responsabilità e fraternità – così come ho qui cercato di presentarle – sono declinazioni pratiche dell’esistenza cristiana, teologicamente fondate, che non assumono una piega identitaria, confessionale, apologetica o strettamente religiosa. Possono essere comprese e interpretate anche in altri contesti, nel quadro dell’elaborazione di un’etica civile che si configura come un processo, come un esercizio di ragione comunicativa e dialogica. Un processo del genere richiede quelle che ancora Metz definisce, in positivo, “provocazioni”, cioè un atto comunicativo che non solo un contenuto verbale e razionale, ma cambia la relazione tra i soggetti del dialogo, mette in movimento qualcosa, sollecita una presa di posizione. Ecco, allora, che si va verso un’etica civile quando buone relazioni stimolano a trovare buone ragioni di convivenza.
[1] Dietrich Bonhoeffer, Etica, Queriniana, Brescia 2005, p. 202.
[2] Dietrich Bonhoeffer, Resistenza e resa. Lettere e scritti dal cercere, San Paolo, Cinisello Balsamo 1988, p. 441.
[3] Christoph Theobald, Il cristianesimo come stile 2, EDB, Bologna 2009, p. 720.
[4] Ibid., p. 769
[5] Christoph Theobald, Trasmettere un vangelo di libertà, EDB, Bologna 2010, p. 74.
[6] Christoph Theobald, Fraternità. Il nuovo stile della chiesa secondo papa Francesco, Qiqajon, Magnano 2016, pp. 82-83.
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