La lettera apostolica Misericordia et misera di papa Francesco a conclusione del giubileo non è affatto un documento di circostanza. Contiene delle indicazioni affinché questo anno dedicato alla misericordia lasci un segno permanente nella vita della chiesa cattolica. Quella di cui si parla maggiormente, non sempre a proposito, è l'estensione permanente a tutti i presbiteri di assolvere dal peccato di aborto.
Lettori superficiali e avversari del papa si sono metaforicamente dati la mano nel considerare questo passo come una sorta di "depenalizzazione" dell'aborto che ne attenua o addirittura annulla la gravità. Come spesso accade, la cosa migliore è andare a leggere i testi.
Al n. 10 troviamo delle indicazioni rivolte ai confessori.
Vi ringrazio sentitamente per il vostro servizio e vi chiedo di essere accoglienti con tutti; testimoni della tenerezza paterna nonostante la gravità del peccato; solleciti nell’aiutare a riflettere sul male commesso; chiari nel presentare i principi morali; disponibili ad accompagnare i fedeli nel percorso penitenziale, mantenendo il loro passo con pazienza; lungimiranti nel discernimento di ogni singolo caso; generosi nel dispensare il perdono di Dio.
Chiari nel presentare i principi morali, ma allo stesso tempo accoglienti e generosi: questo non significa, perciò, attenuare la gravità della colpa, ma riguarda l'atteggiamento verso le persone. Al n. 11 poi leggiamo:
Il Sacramento della Riconciliazione ha bisogno di ritrovare il suo posto centrale nella vita cristiana; per questo richiede sacerdoti che mettano la loro vita a servizio del «ministero della riconciliazione» (2 Cor 5,18) in modo tale che, mentre a nessuno sinceramente pentito è impedito di accedere all’amore del Padre che attende il suo ritorno, a tutti è offerta la possibilità di sperimentare la forza liberatrice del perdono.
Il fine non è modificare il messaggio della chiesa sul valore della vita, ma incoraggiare l'accesso al sacramento della Riconciliazione che è segno dell'amore di Dio per chi è sinceramente pentito. Quindi, non si può parlare di una "sanatoria", come si capisce anche dal n. 12:
Vorrei ribadire con tutte le mie forze che l’aborto è un grave peccato, perché pone fine a una vita innocente. Con altrettanta forza, tuttavia, posso e devo affermare che non esiste alcun peccato che la misericordia di Dio non possa raggiungere e distruggere quando trova un cuore pentito che chiede di riconciliarsi con il Padre. Ogni sacerdote, pertanto, si faccia guida, sostegno e conforto nell’accompagnare i penitenti in questo cammino di speciale riconciliazione.
La realtà di oggi è che l'aborto è già praticato. Attraverso questo passo, il papa vuole incoraggiare - attraverso una riscoperta del sacramento della Riconciliazione come perno di un accompagnamento spirituale e non come tribunale della coscienza - a prendere coscienza della sua gravità, ma anche della misericordia di Dio.
E assieme a questi passi, per completare il panorama, andrebbe riletto quanto Francesco scrive ai nn. 213 e 214 di Evangelii gaudium.
Tra questi deboli, di cui la Chiesa vuole prendersi cura con predilezione, ci sono anche i bambini nascituri, che sono i più indifesi e innocenti di tutti, ai quali oggi si vuole negare la dignità umana al fine di poterne fare quello che si vuole, togliendo loro la vita e promuovendo legislazioni in modo che nessuno possa impedirlo. Frequentemente, per ridicolizzare allegramente la difesa che la Chiesa fa delle vite dei nascituri, si fa in modo di presentare la sua posizione come qualcosa di ideologico, oscurantista e conservatore. Eppure questa difesa della vita nascente è intimamente legata alla difesa di qualsiasi diritto umano. Suppone la convinzione che un essere umano è sempre sacro e inviolabile, in qualunque situazione e in ogni fase del suo sviluppo. È un fine in sé stesso e mai un mezzo per risolvere altre difficoltà. Se cade questa convinzione, non rimangono solide e permanenti fondamenta per la difesa dei diritti umani, che sarebbero sempre soggetti alle convenienze contingenti dei potenti di turno. La sola ragione è sufficiente per riconoscere il valore inviolabile di ogni vita umana, ma se la guardiamo anche a partire dalla fede, «ogni violazione della dignità personale dell’essere umano grida vendetta al cospetto di Dio e si configura come offesa al Creatore dell’uomo».
Proprio perché è una questione che ha a che fare con la coerenza interna del nostro messaggio sul valore della persona umana, non ci si deve attendere che la Chiesa cambi la sua posizione su questa questione. Voglio essere del tutto onesto al riguardo. Questo non è un argomento soggetto a presunte riforme o a “modernizzazioni”. Non è progressista pretendere di risolvere i problemi eliminando una vita umana. Però è anche vero che abbiamo fatto poco per accompagnare adeguatamente le donne che si trovano in situazioni molto dure, dove l’aborto si presenta loro come una rapida soluzione alle loro profonde angustie, particolarmente quando la vita che cresce in loro è sorta come conseguenza di una violenza o in un contesto di estrema povertà. Chi può non capire tali situazioni così dolorose?
Commenti