MASSIMO FAGGIOLI, docente di teologia alla Villanova University di Philadelphia, intervistato da Zenit.
Come vede un teologo cattolico italiano trapiantato da anni negli Stati Uniti l’elezione di Donald Trump come nuovo presidente?
È una elezione scioccante che nessuno poteva immaginare fino al giorno prima. Ricordo quando nel settembre 2015 il papa era in visita in America e si iniziava già a confrontare Papa Francesco e Trump. Ma nessuno poteva immaginare Trump alla Casa Bianca. La cosa scioccante è che un paese profondamente moralista come gli USA ha eletto una persona come Trump che si gloria della sua immoralità (non solo sulle questioni sessuali). In un certo senso è un’elezione che smaschera alcune ipocrisie della cultura americana e rivela la crisi sia della cultura progressista e secolarizzata che di quella conservatrice e religiosa.
Secondo alcuni dati Snai, il 75% delle puntate negli ultimi giorni prima dell’elezione andava ad Hillary Clinton. Anche sondaggisti, esperti e analisti proclamavano la candidata democratica già inquilina della Casa Bianca. Una vittoria, dunque, inaspettata. Come ci si è arrivati?
C’è un elemento di disagio economico, dei dimenticati dalla globalizzazione, contro un sistema economico e finanziario di cui i Clinton fanno parte e hanno contribuito a costruire (non meno di Trump). C’è poi una protesta dell’America profonda contro l’America delle élite culturali e secolarizzate: la radicalizzazione della piattaforma abortista del Partito democratico sotto Clinton ha rivelato la miopia politica di Clinton ed è uno degli elementi della sconfitta. C’è infine una parte di risentimento contro il primo presidente afroamericano, Obama, che è parte di quella élite economica e intellettuale, ma è anche il volto dell’America futura, in cui i bianchi saranno presto una minoranza tra minoranze. La campagna di Trump ha sfruttato anche il risentimento razziale di quell’America profonda che non ha mai accettato Obama come il suo legittimo presidente. L’America religiosa non coincide con quell’America profonda e reazionaria, ma ne è parte.
Quanto hanno contribuito alla vittoria di Trump le fratture interne alla Chiesa cattolica statunitense?
La Chiesa cattolica americana è spaccata tra identità culturali, politiche ed etniche diverse, e quindi le reazioni sono diverse. La campagna Trump ha capitalizzato su queste spaccature facendo leva sull’identità bianca e conservatrice, usando in modo spregiudicato la questione dell’aborto per attirare il voto cattolico. La maggior parte dei cattolici che conosco sono scioccati: l’America è un paese molto spirituale e l’elezione di Trump è percepita come un segnale di grave crisi spirituale. C’è chi può permettersi di vedere questa transizione di potere come una delle tante nella storia americana, ma non lo è. Specialmente se non hai la pelle bianca, è un momento di sbigottimento.
In alcuni post pubblicati sui suoi social network parlava di “paura”. Perché?
La paura è evidente specialmente tra i latinos, gli arabi e musulmani, le minoranze. La questione non è avere o non aver nulla da temere dalla legge: è temere il razzismo di alcune frange della società americana, che ci sono sempre state ma che da cinquanta anni circa erano tenute ai margini della vita politica, ma che hanno avuto spesso la protezione dei giudici e delle giurie quando hanno causato violenze. Ora con Trump si sentono rilegittimate a riproporre con un linguaggio violento il loro disegno di un’America etnicamente pura.
Tuttavia Trump nel suo primo discorso ha usato toni concilianti, dicendo anche: “Voglio essere il presidente di tutti gli americani”. Bisogna credergli?
Spero che Trump modererà il suo linguaggio e le sue proposte rispetto alla campagna elettorale. Ma ha comunque danneggiato l’anima della democrazia americana legittimando il razzismo e l’intolleranza, e dando l’idea di essere al di sopra della legge. La presidenza degli USA ha una funzione simbolica fortissima anche dal punto di vista religioso: la presidenza ha una funzione di pontifex. Da un certo punto di vista, con l’elezione di Trump l’eccezionalismo americano è morto. La “ecclesiologia politica” degli Stati Uniti è inclusiva: Obama la incarnava, Trump la rinnega.
Alcuni hanno lamentato una posizione troppo timida da parte della Conferenza Episcopale Usa nei mesi di campagna elettorale. Ora, con Trump presidente, potrà esserci un dialogo?
L’episcopato americano ha avuto molta paura di una presidenza Clinton più che paura di Trump. Molti vescovi hanno sperato in una vittoria di Trump temendo una radicalizzazione delle politiche abortiste di Clinton (non considerando che durante i governi dei repubblicani ufficialmente pro-life il numero degli aborti aumenta, a causa dei tagli allo stato sociale). C’è stata paura da parte di molti vescovi e clero e intellettuali cattolici di denunciare la retorica di Trump nello stesso modo in cui è stata denunciata la cultura abortista dei democratici. Secondo me, è stato uno sbaglio che la Chiesa americana pagherà politicamente ma anche spiritualmente. I primi a pagare saranno i poveri in America, più che con una presidenza Clinton. I vescovi dovranno dialogare con Trump, ma Trump cercherà di accontentare i vescovi su una serie molto limitata di questioni. Tutta la cultura sociale e politica della chiesa istituzionale negli Usa esce danneggiata da queste elezioni per la sua manifesta incapacità di cogliere cosa stava succedendo nel paese.
E con il Vaticano quali prospettive intravede?
Sarà l’aspetto più interessante della questione. C’è da attendersi più vigilanza dal Vaticano di Papa Francesco e del cardinale Segretario di Stato Pietro Parolin che dall’episcopato negli USA, tranne alcuni vescovi che sanno molto bene quali sono i rischi. Ma ci sono anche questioni geopolitiche complesse – la Siria, la Turchia, e il Medio Oriente e il ruolo della Russia; l’America Latina “cortile di casa” degli USA; la Cina; l’Unione Europea e Brexit – su cui si riaprono i giochi e nessuno sa cosa pensi Trump, neanche lui.
Da parte di numerosi osservatori è stato avanzato un parallelo tra Donald Trump e Silvio Berlusconi. Vede realmente delle analogie o possono considerarsi battute circoscritte all’ambito dei social media?
No, ci sono delle analogie. A cominciare dall’uso spregiudicato dell’elettorato religioso da parte di personaggi antitetici rispetto al messaggio del Vangelo, poi dal proporsi come non-politici ma manager di fronte a un elettorato ridotto a consumatori, infine la rivoluzione nell’uso dei media. In particolare, sia Trump sia Berlusconi sono stati presi “letteralmente ma non seriamente” dai loro critici, e invece sono stati presi “seriamente ma non letteralmente” dai loro elettori (brillante definizione data da un giornalista americano). La vera analogia è nell’aver capito la grande distanza tra i mass media delle élite e il messaggio politico che arriva al popolo che vota.
Ma, insomma, sarebbe stato peggio o meglio l’elezione di Hillary?
Clinton era un candidato debole e sarebbe stato un presidente debole, ma sicuramente meglio di Trump. Hillary Clinton è un politico di professione, ma anche una persona normale con un suo profilo morale. Trump no.
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