di GIUSEPPE PLATONE, Riforma, 8 novembre 2016
Due giorni dopo l’incontro di Lund, in Svezia, incontriamo, tra un suo viaggio e l’altro, il pastore Heiner Bludau, decano della Chiesa evangelica luterana in Italia (Celi). Con lui cerchiamo di capire, da un punto di vista del protestantesimo italiano in chiave luterana, le prospettive che oggi ecumenicamente si aprono.
A suo parere c’è continuità tra l’evento «storico», di Lund, con il papa che esprime riconoscenza per «i doni spirituali e teologici ricevuti attraverso la Riforma» e il Convegno nazionale (voluto dalla Conferenza episcopale e dalla Federazione delle chiese evangeliche in Italia) che si svolgerà nei giorni 16-18 novembre a Trento, città della Controriforma, su «Cattolici e protestanti a 500 anni dalla Riforma»?
«Sono molto contento, infatti, che il Convegno di Trento si svolga solo due settimane dopo questo evento davvero storico. La preghiera comune è stata un incontro di alto livello. Il vertice della Chiesa cattolica romana ha incontrato i vertici della Federazione luterana mondiale (Flm) e insieme hanno commemorato la Riforma. È stato un gesto d’immenso significato. Ma è stato un gesto. Adesso devono seguire passi concreti. La Dichiarazione congiunta firmata da papa Francesco e dal presidente della Flm, il vescovo Munib Younan, si conclude con un appello in questa direzione: “Facciamo appello a tutte le parrocchie e comunità luterane e cattoliche, perché siano coraggiose e creative, gioiose e piene di speranza nel loro impegno a continuare la grande avventura che ci aspetta”. Il Convegno di Trento si può interpretare in questa prospettiva. Non è stata questa l’idea originale che ha determinato la preparazione. Ma dopo Lund non si può rinunciare a quest’aspetto. Si incontreranno rappresentanti delle chiese protestanti e della Chiesa cattolica romana a livello nazionale italiano e rifletteranno sul significato della Riforma. “Uno sguardo comune sull’oggi e sul domani” è il sottotitolo. Quindi ci si occuperà anche del futuro. E spero che in quest’occasione daremo impulsi concreti alle chiese regionali, alle comunità e alle parrocchie, su come approfondire la relazione tra i cattolici e i protestanti».
Il cammino dei cristiani verso l’unità nella diversità ha ricevuto a Lund un nuovo energico impulso. Ma non si rischia di imboccare un ecumenismo bilaterale, limitato al mondo luterano e cattolico? Gli «altri» protestanti, su questo cammino, sono rimasti indietro?
«È proprio quest’aspetto che mi rende contento, ovvero che subito dopo Lund si tenga il Convegno ecumenico di Trento. È vero: papa Francesco si è incontrato con i luterani. E come è stato sottolineato spesso nei commenti su quest’evento, c’è una storia particolare di cinquant’anni che ha portato a quest’incontro. C’è il Consenso sulla dottrina della giustificazione del 1999, c’è il documento Dal conflitto alla comunione del 2013, c’è addirittura una liturgia comune per commemorare insieme la Riforma nel 2017, non solo a Lund ma dappertutto. Ma è anche vero che c’è la Concordia di Leuenberg tra luterani e riformati, siamo membri insieme con i valdesi e i metodisti della Comunione di Chiese protestanti in Europa (i battisti ne fanno parte come ospiti), che significa piena comunione tra di noi. Condividiamo la stessa Santa Cena ed è anche possibile che pastore e pastori di una confessione possano servire in una comunità di un’altra confessione senza problemi. E di questo potrei citare vari esempi concreti, perfino all’interno della nostra chiesa, perché a Milano una comunità riformata fa parte della Chiesa luterana. Quindi non si tratta solo di un contatto superficiale tra di noi, si tratta di un’unione teologica, anche se viviamo in strutture diverse. E anche con le altre chiese protestanti siamo legati tramite una comune interpretazione della fede cristiana, appunto quella protestante.
Dopo Lund dobbiamo riflettere su tutto questo, e dobbiamo farlo insieme, insieme anche con la Chiesa cattolica romana. Perché, infatti, non siamo indipendenti. Nella grande famiglia cristiana ci sono legami complessi. Come in tutte le grandi famiglie umane ci sono i fenomeni di prudenza e di gelosia, ci sono delle ferite anche gravi da rimarginare, ma spero che ci sia soprattutto amore. Dobbiamo incontrarci e parlare apertamente e chiaramente, e per questo il Convegno di Trento si prospetta come un’ottima occasione. Inoltre un buon esempio di tale prassi ecumenica complessiva per me è stato il momento, durante l’ultima sessione del Segretariato attività ecumeniche (Sae) in estate ad Assisi, quando abbiamo pregato tutti insieme con la preghiera comune cattolica-luterana, con la partecipazione di tutte le altre chiese protestanti presenti».
Nelle dichiarazioni espresse a Lund, specie da parte protestante, è affiorato il tema della riconciliazione: «Gesù Cristo ci chiama a essere ambasciatori di riconciliazione». Quest’ultima dovrebbe manifestarsi nella condivisione della stessa mensa e nella reciproca considerazione di essere chiese di Cristo su un piano di parità e reciprocità. Lei pensa che sia un traguardo ancora lontano ?
«Non sono un profeta. Non so quanto tempo occorra ancora per arrivare a questo traguardo. Per me sono più importanti la direzione e la via che mi paiono giuste. La divisione tra noi cristiani è uno scandalo e l’ecumenismo non è una cosa che come cristiani si possa scegliere di affrontare o meno. Confessiamo insieme nel Credo una chiesa universale, siamo battezzati con un battesimo comune, conosciamo la volontà del nostro Signore, che “siamo una cosa sola”. La divisione tra le chiese è un peccato. Tentare nel presente, con tutte le nostre forze, di superare questo peccato per testimoniare insieme Gesù Cristo è uno dei compiti più importanti. Riformare le chiese oggi significa in prima linea riconciliarle. Sono molto contento di aver sentito già alcune volte papa Francesco pronunciare la “diversità riconciliata”, un concetto che prima di lui è stato usato solo da rappresentanti protestanti. E per quanta riguarda la Santa Cena, spero che un bel giorno si giungerà all’ospitalità eucaristica. Ma su queste materie si deve parlare in un maniera più approfondita tra le chiese interessate».
Da qualche anno lei è pastore nel nostro Paese e, in quanto decano della Celi, gode di un particolare osservatorio. Certo rispetto alla Germania non c’è paragone circa la consistenza e l’intensità dei rapporti tra protestanti e cattolici. Che cosa le sta trasmettendo il nostro ecumenismo dei piccoli numeri?
«Quando sono arrivato in Italia, sei anni fa, pensavo che i protestanti vivessero in una specie di “ghetto”, certo non nel senso di essere rinchiusi in un quartiere particolare, ma spiritualmente. Invece fin dall’inizio ho sperimentato che c’è un grande interesse da parte di tanti cattolici nei confronti del protestantesimo. A Torino viviamo anche una sorta di ecumenismo quotidiano, perché non abbiamo una nostra chiesa ma siamo ospiti per il culto di un convento francescano. Da un lato, quando sono diventato decano, ho scoperto che la situazione torinese è abbastanza simile a quella di altre nostre comunità. Dall’altro lato constato ci sono anche buone relazioni con le chiese protestanti. Per questo mi chiedo, a volte, se possiamo essere in questo Paese come una cerniera tra cattolici e altre chiese protestanti. In ogni caso mi piacciono le relazioni personali che emergono dalla realtà dei piccoli numeri. Prima ho paragonato l’ecumenismo con l’immagine della famiglia. Ed è una realtà percepibile. Anche in Germania ho fatto positive esperienze ecumeniche, ero responsabile di una casa di ritiro spirituale e ho collaborato molto con dei gesuiti e altri cattolici. C’è poi un livello importante dell’ecumenismo che è più formale, e che molto di rado raggiunge la vita delle parrocchie e delle comunità. Io vedo nell’ecumenismo italiano dei piccoli numeri – per usare la sua definizione – una preziosa opportunità che per essere tale richiede un impegno personale più vincolante rispetto ai “grandi numeri”».
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