di Lorenzo Fazzini in “Avvenire” del 27 novembre 2016
Charles de Foucauld, l’ex militare diventato eremita nel Sahara, è una figura universale che parla tanto ai credenti (la Chiesa l’ha proclamato beato nel 2005 e nel solco della sua spiritualità sono nate diverse congregazioni religiose), quanto ai non credenti: un nome su tutti, lo scrittore – un tempo ateo – Eric-Emmanuel Schmitt si avventurò nel deserto algerino per realizzare sull’amico dei tuareg un documentario televisivo.
Ma ai credenti islamici, cosa dice la figura di questo radicalissimo quanto pacifico cristiano? In occasione del 100° anniversario della morte di De Foucauld in Francia esce un libro che prende in analisi la vicenda di questo gigante del cristianesimo del Novecento proprio attraverso lo spettro d’osservazione islamico. Ovvero, come i musulmani hanno colto, capito e (eventualmente) apprezzato la figura e l’insegnamento del “piccolo fratello” dell’Hoggar. A firmare tale ricostruzione è un autore di peso, Ali Merad, musulmano, docente emerito alla Sorbona di Parigi, di cui le edizioni Desclée de Brouwer ripubblicano oggi (a distanza di 31 anni dalla prima edizione) una densa ricostruzione, Charles de Foucauld au regard de l’islam.
La domanda che Merad si fa è molto semplice: per i cattolici fratel Charles è stato ed è indubbiamente un testimone di Dio di prima grandezza. Ma visto che ha vissuto e che ha concepito come essenziale la sua presenza tra i musulmani, per i seguaci di Maometto cosa ha voluto dire la sua testimonianza? Si scopre così che per Merad (e tanti musulmani possono sottoscrivere…) De Foucauld è stato «un uomo di Dio», «una fiamma mistica illuminatasi nel deserto», «un folle di Dio», «un essere divorato dal fuoco interiore che era per l’amore di Gesù, la passione dell’imitazione di Gesù». E in chiave propriamente islamica, ecco cosa ha significato l’esperienza di questo solitario cristiano in un mare d’islam: «Una domanda vivente ».
Il perché è presto detto: Merad ricorda i versetti del Corano che parlano in positivo delle genti del Libro, in particolare dei cristiani: «Coloro i cui cuori hanno ricevuto da Dio mansuetudine e carità». E un personaggio come De Foucauld, che ha vissuto il nascondimento, l’umiltà e la generosità in forma totale e radicale fino al martirio, non poteva lasciare indifferenti i musulmani di ieri, suoi concittadini del Sahara, e Ali Merad, che dopo decenni medita e riflette sul lascito di questo discepolo di Cristo tra i correligionari maomettani.
In particolare sono le virtù evangeliche della carità, della dedizione ai poveri, della dimenticanza di sé a favore degli altri in fratel Charles che risultano eloquenti per quanti non hanno conosciuto o riconosciuto Cristo come Dio, ma hanno il cuore aperto al Mistero dell’Altro: «Umiltà, carità, rinuncia ai piaceri e ai beni di questo mondo, svuotamento al servizio dei poveri e degli infelici, queste sono le virtù che hanno sempre favorevolmente impressionato i musulmani, coscienti dei sacrifici che potevano rappresentare per gli europei», annota Merad. E di queste virtù il beato Charles è stato araldo e praticante come pochi. Tanto più che De Foucauld ha incarnato il «marabutto cristiano », capace di staccarsi – per quanto la sua appartenenza allo spirito del tempo glielo permise – dal cliché dell’occupante coloniale nell’Algeria di inizio Novecento.
Anzi: proprio nella fattività di Charles – medico, assistente, insegnante, scienziato – Merad rintraccia la peculiarità di questo cristiano in terra islamica, «un servitore, mentre invece l’immagine tradizionale del marabutto vedeva i fedeli come suoi servi». E Ali Merad assolve l’eremita ispirato da Nazareth da ogni tendenza appunto colonialista, arrivando ad affermare che «la testimonianza di un Charles de Foucauld in terra d’islam non dovrebbe costituire un motivo di scandalo per i musulmani. Si tratta di un uomo che ha messo tutta la sua forza d’animo nel vivere la fedeltà a Cristo».
Commenti