Francesca Sabatinelli per Radio Vaticana
«Non si può essere cattolici e settari»: così Papa Francesco alla vigilia del viaggio apostolico in Svezia, il 31 ottobre 2016, per partecipare alla commemorazione ecumenica dei 500 anni della Riforma luterana. In una lunga intervista concessa a padre Ulf Jonsson, direttore della rivista dei Gesuiti svedesi Signum, insieme al direttore de La Civiltà Cattolica, padre Antonio Spadaro, il Pontefice ha parlato, tra gli altri argomenti, delle sue amicizie con luterani già da ragazzo e poi ai tempi del suo ministero episcopale, sottolineando soprattutto l'importanza di «camminare insieme» per «non restare chiusi in prospettive rigide, perché in queste non c'è possibilità di riforma».
La speranza, nonché l’attesa, per questo viaggio è quella di “riuscire a fare un passo di vicinanza” per “essere più vicino” ai fratelli e sorelle della Svezia. Francesco spiega così, sin dalla prima risposta, il senso della sua visita a Lund e Malmö, per i 500 anni della Riforma. “La distanza fa ammalare” di divisione, spiega il Papa, che invita a “trascendersi per incontrare gli altri”. Francesco ripercorre con la memoria i “capitoli” dei suoi rapporti con i luterani nel corso degli anni, prima da arcivescovo di Buenos Aires, poi da Pontefice, citando la visita del 2015 in Vaticano dell’arcivescova primate della Chiesa di Svezia, Antije Jeckelén. Fu, il suo, “un gran bel discorso”, ricorda ancora il Papa, che definisce poi domande “belle e profonde” quelle sulla intercomunione poste da un bambino e da una donna nel corso della visita che lui stesso fece nella chiesa luterana di Roma.
Riforma e scrittura sono le due cose che la Chiesa di Roma dovrebbe imparare dalla tradizione luterana, prosegue Francesco, che spiega come quello di Lutero fu un gesto di riforma in un momento difficile per la chiesa che, anziché divenire un processo di riforma di tutta la Chiesa, divenne uno stato di separazione. Lutero fece però anche “grandi passi per mettere la parola di Dio nelle mani del popolo”, spiega ancora, precisando come la richiesta di riforma sia stata “viva e presente” anche nelle discussioni delle Congregazioni generali prima del conclave.
Il dialogo teologico deve continuare: è l’invito del Papa quando, nell’intervista, si ricorda come Francesco sia il secondo pontefice in Svezia, dopo Giovanni Paolo II che vi andò nel 1989, e si sottolinea come da allora il movimento ecumenico sembri aver perso vigore, con la presenza di nuovi ostacoli. Francesco ricorda i successi raggiunti negli anni e culminati nel “grande documento ecumenico sulla giustificazione”. Pur non negando le difficoltà legate alle questioni teologiche, il Papa legge però nella preghiera comune e nelle opere di misericordia fatte assieme, a favore di ammalati poveri e carcerati, una “forma alta ed efficace di dialogo”. L’importante è “lavorare insieme e non settariamente”, spiega, tenendo sempre presente che “il proselitismo è un atteggiamento peccaminoso” e ricordando che esiste “un ecumenismo del sangue”.
Molte le domande poste al Papa: dal terrorismo in nome della religione, che il Papa definisce “bestemmia” e “satanico” , al terrorismo delle chiacchiere, “vizio difficile da estirpare” e “violenza“ che richiede “una conversione profonda”, all’idolatria quale “finta religione”, quale “religiosità sbagliata”. L’intervista, dopo la disamina dei fatti più drammatici di cronaca internazionale, come la situazione dei cristiani in alcune aree del Medio Oriente, “terra di martiri” dice Francesco che ricorda la “martoriata” Siria e che “il sangue dei martiri è il seme dei cristiani”, termina tornando al viaggio in Svezia, quando il Papa chiede alla piccola comunità cattolica di quel Paese, fatta di immigrati di varie parti del mondo, di vivere la propria fede e la propria testimonianza “con uno spirito aperto ed ecumenico”, perché non si può essere “cattolici e settari”. L’invito è dunque ad “andare, camminare insieme!” a “non restare chiusi in prospettive rigide, perché in queste non c’è possibilità di riforma”.
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