Martedì 27/09 ho tenuto ai preti della diocesi di Crema la relazione "Vivere la sinodalità: prospettive dopo Firenze" scandita su quattro momenti: "Sinodalità - Si puo fare?"; "Perché? Le motivazioni della sinodalità"; "Come? Le azioni della sinodalità"; "Che cosa? Proposte di sinodalità". Presento qui la quarta azione della sinodalità, il decidere.
Si dice spesso che “la chiesa non è una democrazia” e che gli organismi di partecipazione “hanno un carattere consultivo e non deliberativo”. Tutto vero, anche se andrebbe contestualizzato e interpretato correttamente e non solo come pretesto per dire che i laici a un certo punto devono stare al loro posto. Ci sono ambiti e carismi ministeriali per cui non si può decidere su tutto e in forma ultimativa, ma la sinodalità comporta anche l’azione decisionale. Altrimenti, non si può parlare di effettiva partecipazione e corresponsabilità.
Nella chiesa si vota, questo è il punto. Si vota oggi – lo si è fatto al Sinodo dei vescovi e lo si fa per eleggere i consigli – e lo si è sempre fatto. Sappiamo che oggi c’è un ostacolo nel can. 129 del Codice di Diritto Canonico, il quale abilita alla potestà di governo solo coloro che hanno ricevuto l’ordine sacro, con i quali i laici possono cooperare. Di per sé c’è chi pone delle obiezioni storiche e teologiche sulla formulazione del 1983 e osserva l’insufficienza della disciplina canonica sul laicato rispetto all’elaborazione teologica ed ecclesiologica presente anche nei documenti della chiesa (cfr. L. Örsy, S. Dianich), ma al momento possiamo evitare di occuparcene.
Anche allo stato attuale del magistero, nulla vieta che preliminarmente all’esercizio della potestà di governo si formino decisioni non definitive nella forma di pareri, consigli, raccomandazioni, esortazioni che assumano anche una forma strutturata e “scritta nero su bianco”. Saremmo nell’ambito di un contributo alla decisione da parte di chi ricopre la potestà di governo e di una formazione del consenso precedente alla decisione vera e propria. Certo, questo solleva dei timori in ordine al fatto del voto, al conflitto, alla formazione di maggioranze e minoranze. La preoccupazione è quella che il conflitto finisca con l’oscurare o il contraddire la comunione. Di fatto, però, sono realtà che già esistono, anche quando non lo si dice. Il problema, allora, non è l’esistenza del conflitto, ma assumerlo e non renderlo irrimediabile nel cammino verso la comunione che è sempre da realizzare.
Neppure mi risulta che il magistero impedisca che chi ha potestà di governo, posteriormente a una decisione presa e a un orientamento di fondo maturato e condiviso, attribuisca ad assemblee e gruppi di laici (p.es. catechisti o operatori della carità) la facoltà di decidere rispetto all’attuazione di aspetti particolari con un vero e proprio mandato. Si tratterebbe di un incarico interpretabile nel senso della cooperazione. In una certa misura è qualcosa che già avviene, ma che potrebbe assumere delle forme più sistematiche e pubblicamente evidente.
Il problema è: l'attuale potere di governo della e nella Chiesa dei Presbiteri negli ultimi secoli e negli ultimi anni , a fronte di alcuni vantaggi ( tempo pieno, assenza di asse ereditario), quanta ricchezza di carismi e energie sta sottraendo all'annuncio del Vangelo?
Sulla bilancia benefici/svantaggi è saggio continuare a dare potere decisionale allo 0,1% dei fedeli che per formazione ed esperienza limitata della vita ( celibato, stipendio assicurato) fanno fatica a capire i problemi delle donne e uomini laici di tutto il mondo?
Credo che questo sistema stai mostrando la corda da molto tempo ed è causa non ultima dello allontanamento di molti fedeli dalla Chiesa Cattolica , in primis donne e giovani.
Credo che il peso della responsabilità che i Presbiteri devono portare da soli loro per primi vorrebbero condividerlo, e non per finta con la scusa degli assemblee consultive.
Processi lunghi ma inevitabili perché la realtà e le necessità del Regno di Dio sulla terra si impongono ogni giorno di più
Scritto da: Mauro A. Caló | 03/10/16 a 23:26
Complimenti, condivido appieno le tue riflessioni.
Uno dei problemi più gravi nella Chiesa è la mortificazione del laicato, condannato di fatto a funzioni marginali di manovalanza e di supplenza, senza alcuna autonomia decisionale. La clericalizzazione è un’altra faccia della stessa medaglia in cui le energie positive vengono costrette e controllate nel chiuso delle sacrestie.
In tal modo la Chiesa si priva di energie e di ricchezze sia sul piano culturale che pastorale. Esse restano non solo inespresse ma in tante realtà si trasformano in cocenti delusioni e persino in allontanamento dalla comunità.
Tale criticità risulta ancora più dolorosa al cospetto di pastori che lasciano molto a desiderare sul piano dell’intellectus fidei, della inculturazione del messaggio e della capacità di lettura della realtà moderna e della complessità della società nelle sue varie manifestazioni (politica, famiglia ecc.).
Conosco per esperienza diretta casi di laici molto più preparati sul piano culturale, della formazione teologica e della sensibilità pastorale, dei loro stessi pastori. E’ impensabile che persone di tale statura, anche morale, possano essere eterodirette dal presbitero di turno, magari giovane inesperto appena uscito dal seminario, nei diversi organismi diocesani su materie per lo più di tipo organizzativo o di pastorale diocesana: lasciare l’ultima parola, la decisione finale al prete nei vari consigli parrocchiali, nelle unità pastorali, nei servizi e negli uffici di curia è non solo avvilente ma anche controproducente rendendo artificiosa ogni modalità partecipativa e dialettica. E’ una presa in giro della asserita maturità del laicato.
Per fortuna Papa Francesco sta invertendo la rotta anche in questo ambito nominando i primi fedeli laici a capo di alcuni organismi della curia romana a dimostrazione della urgenza della problematica.
Un caro saluto
Scritto da: Celestino Todisco | 06/10/16 a 16:47