Martedì 27/09 ho tenuto ai preti della diocesi di Crema la relazione "Vivere la sinodalità: prospettive dopo Firenze" scandita su quattro momenti: "Sinodalità - Si puo fare?"; "Perché? Le motivazioni della sinodalità"; "Come? Le azioni della sinodalità"; "Che cosa? Proposte di sinodalità". Presento qui la prima delle quattro azioni della sinodalità, l'ascoltare.
«Una Chiesa sinodale è una Chiesa dell'ascolto, nella consapevolezza che ascoltare “è più che sentire” (Evangelii gaudium, 171). È un ascolto reciproco in cui ciascuno ha qualcosa da imparare. Popolo fedele, Collegio episcopale, Vescovo di Roma: l’uno in ascolto degli altri; e tutti in ascolto dello Spirito Santo, lo “Spirito della verità” (Gv 14,17), per conoscere ciò che Egli “dice alle Chiese” (Ap 2,7)» (Francesco, 50° Sinodo).
È da questa esigenza dell’ascolto che nasce la consultazione ad ampio raggio che ha preceduto i due sinodi e l’esperienza di Firenze attorno allo strumento dei “tavoli”. L’ascolto riveste un carattere preliminare rispetto a ogni processo ecclesiale. Non è un atto che riguarda soltanto una decisione prossima sulla quale chiedere semplicemente un parere, ma lo stesso strutturarsi dei temi e delle questioni.
L’ascolto è il primo atto della fede, la prima risposta alla chiamata di Dio (Ascolta, Israele). Il cristiano è uomo e donna dell’ascolto. Dio si rivela, parla, invita all’ascolto aprendo una dinamica di dialogo: «La novità della rivelazione biblica consiste nel fatto che Dio si fa conoscere nel dialogo che desidera avere con noi» (Benedetto XVI, Verbum Domini, 6). Questa caratteristica dell’esistenza cristiana si riverbera nella chiesa, per cui l’esercizio del ministero gerarchico avviene a partire dall’atto dell’ascolto del popolo di Dio nei singoli e nella sua totalità. «In questa Chiesa, come in una piramide capovolta, il vertice si trova al di sotto della base. Per questo coloro che esercitano l’autorità si chiamano “ministri”: perché, secondo il significato originario della parola, sono i più piccoli tra tutti» (Francesco, 50° del Sinodo). Se sottolineiamo l’ascolto da parte dei pastori, questo non toglie naturalmente che sia un’esigenza per tutti, “pastori e popolo insieme”.
Trovo significativo il fatto che diverse diocesi stiano rinunciando alla consuetudine delle lettere pastorali con “scadenza annuale” per dedicare alcuni anni all’attuazione dell’Evangelii gaudium con procedimenti che mettono in primo piano la dimensione dell’ascolto. Si tratta di una percezione dell’esortazione non come di un programma da applicare tale e quale, ma come uno strumento da cui ricavare collegialmente degli impulsi che per tradursi in scelte richiedono una coscienza sinodale.
Tutto questo porta a interrogarsi sugli spazi e le modalità che dedichiamo all’ascolto che mettono fortemente in discussione soprattutto il nostro modo di condurre incontri e riunioni in cui spesso, più che ascoltarsi, “ci si parla addosso”. Da questo punto di vista, la metodologia dei “tavoli”, che non è certamente l’unica e la migliore, è indicativa del bisogno di ricorrere anche a regole molto concrete.
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