Martedì 27/09 ho tenuto ai preti della diocesi di Crema la relazione "Vivere la sinodalità: prospettive dopo Firenze" scandita su quattro momenti: "Sinodalità - Si puo fare?"; "Perché? Le motivazioni della sinodalità"; "Come? Le azioni della sinodalità"; "Che cosa? Proposte di sinodalità". Presento qui la terza delle quattro azioni della sinodalità, il discernimento.
La prospettiva della riforma e del rinnovamento missionario della chiesa richiede l’esercizio del discernimento, che non è solo un momento necessario a livello personale dell’accompagnamento spirituale, ma è un vero e proprio atto pastorale, a cui papa Francesco fa spesso riferimento. Così lo spiega A. Spadaro: «Potremmo dire che Papa Francesco sta interpretando il suo Ministero petrino come un ministero di discernimento. Il discernimento significa cercare e trovare Dio nel modo in cui Lui si manifesta nella storia; non possiamo partire con idee rigide e precostituite: cioè, dobbiamo capire come Lui parla oggi alla Chiesa e al mondo. Per un processo vero di riforma, la cosa fondamentale è porsi in un atteggiamento aperto, di discernimento, e che sia in grado di leggere la storia concreta. La Chiesa vive nel mondo, vive il suo rapporto con il mondo che è fondamentale; però, deve entrare in dialogo, deve capire cosa succede nella storia. Ecco perché il discernimento è fondamentale per la riforma».
Senza discernimento, ragioniamo a partire dalle nostre attività e strutture nella logica di preservarle. Il discernimento è quell’apertura, innanzitutto spirituale, alla novità e alla creatività. È un atto proprio del pastore, ma che non può mai essere esercitato individualisticamente senza la comunità. Qui torna la questione del ministero che non è concepibile nella prospettiva della “cura delle anime”, secondo rapporti direttivi e unidirezionali. «La modalità specifica con cui il prete si relaziona alla comunità, pur senza doversi pensare al di fuori o al di sopra di essa, è la “guida della comunità”. Questa può essere indicata ancor meglio come “presidenza nel discernimento”» (Brambilla). La presidenza opera da guida nel e del discernimento comune, intesa come l’atto con cui la comunità tutta edifica se stessa, un atto mediante il quale si viene ad esprimere la possibilità di vivere la fede come fraternità evangelica proprio nel mezzo della vita quotidiana.
Vale la pena di ricordare quanto diceva già il documento della Cei Il volto missionario delle parrocchie in un mondo che cambia: «Il rinnovamento della parrocchia in prospettiva missionaria non sminuisce affatto il ruolo di presidenza del presbitero, ma chiede che egli lo eserciti nel senso evangelico del servizio a tutti, nel riconoscimento e nella valorizzazione di tutti i doni che il Signore ha diffuso nella comunità, facendo crescere la corresponsabilità» (n. 12).
Spesso lo schema che si vede è quello di considerare la vita di fede e di comunità come se fossero un dato acquisito, in base al quale il parroco organizza delle attività e chiede degli impegni per portarle avanti dando la priorità a queste ultime. La necessità è invece quella di mettere in primo piano la cura della fede e la costruzione della comunità: il parroco accompagna e fa sintesi valorizzando e “concentrandosi” sui gesti della fede. Questa “concentrazione” aiuterà anche a razionalizzare il ministero del prete sottraendolo a quelle incombenze, che hanno a che fare ben poco con la presidenza, anche se forse indulgono alle capacità manageriali di molti, ma ha bisogno di discernere insieme ai laici e di contare sulla loro testimonianza per comprendere quali esigenze della vita concreta di oggi hanno bisogno di essere illuminate dalla fede e come.
In altre parole, discernimento alla luce dell’Evangelii gaudium, oggi, significa in una comunità cristiana non avere come principale preoccupazione (soprattutto del CPP) i lavori del campanile, gli orari dei catechismi, il calendario dell’anno e così via, ma porsi insieme la domanda: quali situazioni di vita richiedono una risposta di fede e la nostra comunità quali passi può fare al riguardo? Invece, troppo spesso ci perdiamo nei dettagli, o in discussioni pastorali che abbracciano di tutto, o in questioni che non sono sentite come urgenti o decisive. Il discernimento comune significa concentrarsi su ciò che è vitale e prioritario.
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