Questo articolo di Daniele Mont d'Arpizio, pubblicato sul giornale on-line dell'Università di Padova, presenta un esempio di come i tempi legati alla Bibbia siano spesso spettacolarizzati e trattati con superficialità.
18 settembre 2012: durante un congresso internazionale di studi copti a Roma, a pochi passi dal Vaticano, Karen L. King, titolare della prestigiosa Hollis Chair alla Harvard University, presenta un frammento di papiro recante un testo copto lacunoso. La notizia deflagra come una bomba perché nel testo, che si presume risalente almeno al IV secolo d.C. (se non prima), Gesù non solo chiama Maria (forse la Maddalena) “mia moglie”, ma afferma anche che questa è degna di diventare sua discepola. Il reperto, grande appena come una carta di credito, viene in fretta e furia battezzato Vangelo della moglie di Gesù e l’ateneo americano gli dedica addirittura un apposito sito internet.
Nasce così un dibattito avvincente intorno all’autenticità e al significato del papiro, che dura fino a pochi giorni fa, quando l’inchiesta del giornalista Ariel Sabar getta luce sulla vicenda. Sabar infatti identifica il proprietario del frammento, la cui identità non era stata rivelata dalla King: un uomo d’affari di origine tedesca, con studi in coptologia alle spalle e un debole per la pornografia e la spiritualità New Age. Il ritratto perfetto dell’aspirante falsario, capace di confezionare il testo niente poco di meno che sotto l’influenza del Codice Da Vinci, il polpettone pseudo-storico di Dan Brown.
Una vicenda che ha dell’incredibile e sulla quale riflettiamo assieme ad Alberto Camplani, docente alla Sapienza in storia del Cristianesimo e delle chiese, che proprio il giorno dell’annuncio presiedeva il convegno in qualità di organizzatore, nonché uno dei primi studiosi a gettareun’ombra di dubbio sull’autenticità e il significato del testo. “A differenza di studiosi del calibro di Stephen Emmel, Wolf-Peter Funk, Alin Suciu, Tito Orlandi e Paola Buzi, convinti che il papiro fosse un falso io ho assunto un atteggiamento più possibilista – racconta al Bo lo studioso – ma ho comunque sempre escluso che si trattasse di un vero e proprio vangelo”.
Tra i punti oscuri c’era proprio la provenienza del papiro: “Non era stata rivelata l’identità del possessore, né come era giunto negli Stati Uniti, e questo non è mai un buon segno: l’origine di qualsiasi frammento copto dovrebbe infatti essere tracciabile perlomeno fino al momento in cui lascia l’Egitto”. Inoltre i due studiosi che, secondo i documenti in possesso della King, avrebbero esaminato e validato il frammento (Peter Munro e Gerhard Fecht della Freie Universität di Berlino), erano entrambi morti. “Non solo: non avevano fatto parola della scoperta con i colleghi, come ho verificato nel corso di alcune indagini che ho condotto personalmente. Una cosa molto strana per il nostro ambiente. In quel momento ho capito che qualcosa non funzionava”.
Un dubbio che alla fine è divenuto certezza: “Subito dopo la pubblicazione dell’articolo di Karen King nella Harvard Theological Review, nel 2014, le osservazioni del coptologo Christian Askeland mi hanno definitivamente convinto che si trattava di un falso”. Cosa aveva scoperto il giovane studioso americano? “Che la mano che aveva redatto il Vangelo della moglie di Gesù era la stessa di un altro frammento che il falsario desiderava far acquistare all’Università di Harvard: il testo copto di un passo del Vangelo di Giovanni che riproduceva esattamente un’edizione critica degli anni ‘30”. Un indizio giudicato molto importante dalla stessa King, ma che non aveva completamente messo d’accordo tutta la comunità scientifica. A favore dell’autenticità del reperto rimanevano infatti la datazione con il radiocarbonio, che lo collocava tra il 659 e il 859 della nostra era, e l’analisi dell’inchiostro e delle tecniche di redazione: elementi comunque non impossibili da replicare per un falsario particolarmente abile.
Oggi, dopo l’inchiesta di Sabar sull’Atlantic, la vicenda sembra ormai incamminata sulla via della soluzione, lasciando però alcuni interrogativi. Quanto ha pesato all’inizio la spettacolarizzazione di una ricerca scientifica? “Personalmente non sono contrario al fatto che i giornali si occupino di scienza e di ricerca, ma in questo caso però si è esagerato – risponde Camplani –. Quando nel 2012 è stato dato l’annuncio, la notizia della ‘scoperta’ è subito apparsa sui giornali online americani non appena Karen King ha iniziato a parlare. Tutto quindi era stato preparato da giorni”. Un comportamento irrituale? “Quello che ci ha resi perplessi – e allo stesso tempo ci ha insospettito – è stato il fatto di sollecitare l’informazione su una scoperta non ancora discussa e validata dagli altri studiosi. Perché in questo modo si rischia di fare pressioni sulla comunità scientifica per orientare il dibattito”. Com’è potuto accadere? “Forse è stato considerato che una scoperta così eclatante e mediatizzata poteva portare attenzione alla coptologia e fondi alla ricerca”.
Rimane infine aperta la questione dell’influenza dello spirito del tempo su un terreno, quello della ricerca scientifica, che in teoria dovrebbe essere alieno da personalismi e influenze culturali e ideologiche. Invece, se a volte la realtà supera la fantasia, altre può accadere che sia la fantasia a manipolare letteralmente la realtà. E può persino capitare che uno scenario alla Dan Brown impegni per quasi quattro anni storici e studiosi di tutto il mondo.
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