HENRI TINCQ in “www.slate.fr” del 19 maggio 2016 (traduzione: www.finesettimana.org)
In altri tempi, si sarebbe parlato di crimine di ingerenza, si sarebbe gridato allo scandalo. Per due volte, a distanza di poche settimane, papa Francesco, da Roma, si è intromesso nei litigi francesi sulla laicità. In marzo, davanti a dei militanti cristiano-sociali, ha definito la nostra laicità “incompleta”. Poi l'ha qualificata di “esagerata” nel corso di un'intervista apparsa il 17 maggio sul quotidiano cattolico La Croix. Per questo papa gesuita, la laicità francese è “chiusa alla trascendenza”, troppo ispirata dall'eredtà intellettuale dell'Illuminismo. In Francia, dice, “le religioni sono considerate una sottocultura, e non una cultura in senso proprio”.
Certo, questo papa è molto popolare nel mondo e gli ambienti “laici” sono disposti a perdonargli molte cose. Ma dire che la laicità “alla francese” è “esagerata” suscita comunque, da due giorni, domande e irritazione. Prima domanda: il papa di Roma ha titolo per giudicare la nostra laicità, per criticare il sistema francese, così particolare, di separazione tra lo Stato e le religioni? Come può dare lezioni alla Francia sull'eredità della Rivoluzione e dell'Illuminismo che i suoi predecessori hanno continuamente discreditato, se non combattuto con la massima energia?
Ricordiamo che per i papi, da due secoli, la Rivoluzione francese, l'Illuminismo e le leggi laiche sono state ispirate dal diavolo. Avrebbero commesso il crimine insopportabile di soppiantare i doveri verso Dio con la venerazione idolatrica della libertà e dei diritti dell'uomo. Per tutto il XIX secolo, hanno continuato a difendere i loro privilegi, a combattere le idee liberali, democratiche, laiche venute dalla Francia, le leggi di separazione della Chiesa dallo Stato.
Bisognerà attendere fino alla metà degli anni 60 del secolo scorso, con il Concilio Vaticano II, perché la Chiesa cattolica accetti finalmente “l'autonomia delle realtà terrestri” e la distinzione tra la sfera pubblica e la fede privata, che si rassegni alle regole del gioco laico, di cui oggi percepisce meglio tutti i vantaggi, in termini di indipendenza finanziaria, di libertà d'azione e di parola. Questo papa venuto dall'Argentina ha talmente introiettato questa nuova realtà che oggi arriva ad enunciare, su un giornale cattolico francese, che “uno Stato deve essere laico” e che “gli Stati confessionali finiscono sempre male, perché vanno contro la Storia”.
Che capovolgimento storico! Che modo di far rivoltare nella tomba i papi, i teologi devoti e le loro milizie, che hanno passato tutta la vita a combattere i regimi cosiddetti “atei” delle società secolarizzate, che hanno difeso con accanimento, contro ogni eresia, il monopolio della “verità” cattolica, che hanno protetto i regimi più reazionari della storia anche contemporanea, i Franco, i Salazar, i Pinochet, che hanno imposto agli Stati e alle società le loro leggi divine e dettato i loro principi a tutte le coscienze.
È proprio perché intende superare questo passato di intolleranza che papa Francesco si permette di criticare oggi la nostra concezione di laicità. Di trovarla “esagerata”. Perché, sottolinea: “Ognuno deve avere la libertà di esternare la propria fede. Se una donna musulmana vuole portare il velo, deve poterlo fare. Allo stesso modo, se un cattolico vuole portare una croce, deve poterlo fare. Si deve poter confessare la propria fede non accanto, ma dentro la propria cultura”.
Ci si immerge qui nel dibattito sulla laicità che impazza dentro la sinistra, in quella “battaglia culturale e identitaria” che, secondo Manuel Valls, si svolge nella Francia del dopo-Charlie Hebdo e del dopo-attentati. Questo papa venuto dalla fine del mondo, personalità mondiale e influente, ha scelto da che parte stare. Non dalla parte degli “ultralaici”, degli “identitari repubblicani”, come vengono chiamati coloro che, come il Primo Ministro, non intendono retrocedere di un millimetro di fronte all'influenza crescente delle religioni. Coloro che rifiutano le mamme musulmane velate come accompagnatrici nelle uscite scolastiche. O quegli eletti che, come il sindaco di Chalon-surSaone che ha dato avvio al movimento, proibiscono i menù alternativi nelle mense scolastiche il giorno in cui si serve del maiale.
Questa concezione esclusiva della laicità, che vorrebbe far scomparire ogni segno religioso dallo spazio pubblico, confuso con la reputazione statale, e restringerlo unicamente alla sfera privata è, come dice il papa, “esagerata”. Eppure ha il vento in poppa. Sempre più rivendicazioni mirano ad estendere il campo della laicità allo spazio semi-pubblico (la faccenda dell'asilo nido Baby-Loup), o addirittura allo spazio privato. Si vuole rivedere la determinazione dell'area legittima e legale dell'esigenza laica, allargare il suo perimetro giuridico.
Prima di cambiare idea, Manuel Valls aveva proposto di legiferare un'altra volta sul velo islamico per proibirlo all'università. O per bandire le richieste di carattere religioso in aumento nelle aziende private. Il papa rifiuta questa evoluzione e va piuttosto in senso inverso, quello dei “multiculturalisti”, per i quali ogni uomo e ogni donna dovrebbero poter esternare liberamente la propria fede. È dalla parte di coloro che, nonostante le tensioni religiose e l'aumento degli estremismi, vogliono difendere il diritto di ogni religione e di ogni cultura, per quanto diversa dalla cultura dominante, alla piena autonomia, nel rispetto delle leggi e dell'ordine pubblico.
Così, ci troviamo oggi di fronte ad uno straordinario paradosso. Quello di vedere il gesuita argentino, erede di quei papi che, da Roma, hanno continuato a combattere la legge francese di separazione del 1905, mettersi dalla parte dei “padri fondatori” (Jaurès, Briand, Buisson) per i quali la laicità non dovrebbe mai degenerare in rifiuto dogmatico della religione.
Sono loro che, per primi, hanno posto come principio assoluto la libertà di religione, per cui ogni religione si organizza secondo il proprio diritto. Sono loro che hanno scolpito nel marmo che “la Repubblica assicura la libertà di coscienza e garantisce il libero esercizio dei culti” (articolo uno della legge di separazione del 1905).
È Aristide Briand, referente di questo testo, che affermava alla Camera dei deputati che “il nuovo regime dei culti non potrebbe opprimere o impedire nelle sue molteplici forme l'espressione esteriore dei sentimenti religiosi”. Lui stesso sosterrà che “ci sono sempre due modi di far fallire una riforma: o votare contro, o,esagerando le richieste, renderla inapplicabile”.
È proprio l'esagerazione laica quella che oggi ci minaccia e che il papa, a suo modo, arriva a denunciare. Quell'esagerazione che, nel Front national, in certe correnti di destra, negli ambienti cattolici integralisti, ma anche in certe frazioni della sinistra, designa l'islam come il nemico numero uno e rinchiude l'identità francese nella sua origine e nelle sue radici cristiane. Quell'esagerazione che combatte una cosiddetta “ideologia” multiculturalista e multireligiosa per la quale un crocifisso vale un velo, un burqa, un niqab o un turbante! E che riduce ogni forma di pratica religiosa ad un'espressione comunitarista e la laicità alla sua concezione più intransigente, che non è certo quella che difendevano i suoi fondatori. Giù la maschera!
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