L'editrice Morcelliana pubblica cinque brevi testi di Karl Barth (1886-1968), teologo protestante, in assoluto tra i maggiori del Novecento (Ultime testimonianze, a cura di Andrea Aguti). La postfazione è scritta dall’allievo e biografo del grande teologo per l’edizione originale, uscita nel 1969.
(Eberhard Busch) Gli scritti e le interviste di Karl Barth, qui raccolti, sono semplicemente contributi minori, con cui egli nelle forze e nelle possibilità a lui concesse nei giorni della sua vecchiaia, volle ancora (come diceva volentieri) partecipare «un pochino» all’attualità teologica. Ciò che li lega tra loro è appunto il fatto che essi sono effettivamente le sue ultime espressioni destinate alla pubblicazione. Essi sono nati tutti dopo la grave crisi della sua salute nell’agosto del 1968 e del resto anche dopo che egli aveva avuto chiara coscienza di non poter proseguire in inverno i suoi colloqui condotti nei precedenti quattro semestri all’università di Basilea.
Sono nati tutti nel fiore di un bell’autunno, che fu concesso ancora una volta alla sua vita nelle ultime settimane dopo quella malattia. La prima delle espressioni offerte qui è la sua risposta concisa all’interrogativo postogli da una rivista francese di una “testimonianza” su chi o che cosa fosse per lui Gesù Cristo.
Il lavoro pubblicato per ultimo è in senso assoluto la sua ultima opera. Si riallaccia a una richiesta del professore cattolico Johannes Feiner (mutatis mutandis paragonabile all’uomo misterioso che recapitò a Mozart la commissione per il suo Requiem): che egli volesse, in occasione della Settimana di preghiera ecumenica, tenere una conferenza nella Paulusakademie di Zurigo davanti a un pubblico di uditori cattolici e riformati. Fino alla sera del 9 dicembre egli si applicò con zelo e lietamente alla stesura di questa conferenza del resto di tratto in tratto interrotta dalla lettura dei libri di Gertrud Lendorff, che hanno come sfondo colorito l’antica Basilea.
Egli sospese lo scrivere a metà di una frase con l’intenzione di mettere completamente nero su bianco la conferenza, pronta per metà, nel giorno seguente. Ma non poté più vivere l’esperienza del mattino successivo. Morì nella notte immerso nel sonno, improvvisamente, in tutta serenità... Anche in questo caso è evidente pur sempre che “non esiste il caso”.
No, non è un accidente che alla fine della vita di Karl Barth sia sonata manifestamente con tanta forza, con tanta centralità e potenza dominatrice la professione di fede in Gesù Cristo! Non è un caso fortuito che nelle sue ultime dichiarazioni, la partecipazione al dialogo ecumenico occupi uno spazio tanto ampio! Non è un accidente che il suo ultimo lavoro sia stato proprio quello di invitare i cristiani “positivi” [“ortodossi” in rapporto alla tradizione] e quelli “liberali” dalla parte evangelica e da quella cattolica al movimento uno e necessario del mettersi in cammino, convertirsi e professare la fede! Anzi, non è un caso che la penna gli sia stata tolta di mano alla fine esattamente nel punto in cui egli ricordava, nella fiducia nel «Dio non dei morti, ma dei viventi», il debito di ascoltare anche i Padri della Chiesa nostri antecessori nella fede.
Di fatto può, è consentito e certo dunque avverrà che le sue “testimonianze”, accidentalmente “ultime”, ci parlino post eventum mortis in modo particolare come un retaggio estremo. Di fatto già ci è lecito accogliere come un lascito importante che merita riflessione, la circostanza che egli, anche nei limiti sempre più avvertibili della sua caducità, anzi letteralmente fino all’estremo, con tanta semplicità sia rimasto nel suo impegno e abbia continuato a lavorare. Ed effettivamente noi dovremo prendere più che mai conoscenza come suo prezioso testamento indicante la via, del suo aver parlato fino all’ultimo, come fece e gli fu possibile: con tanta letizia e divertimento, ma anche tanto liberamente e oggettivamente, con tanta concretezza e responsabilità e anche in tono così stimolante e incoraggiante.
Se abbiamo ascoltato di che cosa egli parlava nelle sue ultime testimonianze, allora possiamo soltanto rammaricarci di una morte imprevista, rapida e pur sempre di gran lunga troppo precoce; poi ora non è consentito far memoria di lui se non nella gratitudine confortata: Lux aeterna luceat ei perpetua.
Se abbiamo realmente ascoltato ciò di cui parlava e il modo in cui lo faceva nelle sue “ultime testimonianze”, allora si sentirà come proibito qualsiasi “ornamento” da apporre alla tomba del Profeta (cfr. Matteo, 23, 29). Allora ci si sentirà ormai invitati e stimolati solo a essere coraggiosi e umili, nella supplica e nella fiducia al tempo stesso a «mettersi in cammino, convertirsi e professare la fede». E certamente nel farlo diverrà opportuno e non vano, guardando al «Dio dei viventi», ascoltare ora anche questo Padre della Chiesa e quindi lasciarci doverosamente istruire pure da lui sul motivo, sulla meta e sul senso del nostro nuovo necessario metterci in cammino, convertirci e professare la fede.
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