Nel centenario di David Maria Turoldo, che è stato coscienza critica della chiesa italiana e ha tracciato una vera e propria "poesia di Dio" con la sua vita e la sua opera, MARIANGELA MARAVIGLIA ha pubblicato per Morcelliana un'importante biografia: "David Maria Turoldo - La vita, la testimonianza (1916-1992)". Il libro è notevole per quantità e qualità del lavoro, frutto di una ricerca pluriennale che ricostruisce in modo dettagliato e appassionante la vicenda turoldiana. Riporto qui l'introduzione dell'autrice.
Questo lavoro non è nato da una predilezione originaria per David Maria Turoldo. Pur essendo per appartenenza generazionale una potenziale seguace dell’appassionato predicatore o del prolifico poeta, confesso di aver piuttosto avvertito una certa distanza da alcune sue declamazioni poetico-profetiche nel corso di qualcuno dei convegni per la pace organizzati negli anni Ottanta dalla rivista fiorentina «Testimonianze», salvo poi essere stata profondamente toccata dall’intensità della sua ultima poesia e della sua morte “in pubblico”.
Mi sono comunque occupata di figure a lui vicine per sensibilità spirituale ed ecclesiale, come don Primo Mazzolari e Sorella Maria di Campello. Per questi miei interessi accolsi molto volentieri nel gennaio 2011 la proposta che mi giungeva dalla Fondazione per le scienze religiose per una ricerca dottorale sulla figura del frate friulano. L’istituto bolognese rispondeva così alla richiesta dei Servi di Maria, di avere una rigorosa ricostruzione storica dell’itinerario biografico del famoso confratello, studiato con finezza nella sua produzione poetica, ma piuttosto celebrato che indagato nella sua vicenda esistenziale.
Una prima ricognizione bibliografica da me condotta permetteva di verificare la qualità e la quantità di opere da Turoldo prodotte e a lui dedicate. Da una parte risaltava la prolificità e il «poligrafismo» della sua scrittura, originati dalla volontà di misurarsi con molteplici generi letterari e comunicativi; dall’altra la persistente attenzione rivolta alla sua figura da quanti, amici o discepoli, ne avevano condiviso istanze ecclesiali, sociali, culturali, ma pure da numerosi giovani lettori disposti a dedicare alla sua produzione poetica e biblica le loro tesi di laurea o di dottorato, premiate più volte con la pubblicazione. (1) Dalla bibliografia turoldiana emergeva, attraverso una letteratura molto spesso indulgente all’aneddotico, il fascino esercitato da padre David su più generazioni: per quelle coeve la sua capacità di suscitare energie e di levarsi come voce eloquente delle istanze di tanti; di esprimere le domande su Dio, il male, la morte, il senso del tutto per quanti, assai numerosi, nel passato e nel presente, si erano riconosciuti e si riconoscono nei versi della sua poesia.
Nel corso della ricerca la vita di Turoldo si dipanava, attraverso gli eventi della storia del Novecento, su una quantità di scenari e con una profluvie di intersezioni che ne facevano un attore particolarmente significativo: oltre agli accadimenti interni all’Ordine dei Servi di Maria, le sofferenze della povertà nell’infanzia friulana; la Resistenza al fascismo e le speranze della ricostruzione negli anni milanesi; la vitalità ecclesiale della stagione fiorentina; le sfide innovatrici del Concilio Vaticano ii e dei movimenti sociali degli anni Sessanta e Settanta; le delusioni e i disincantamenti politici e religiosi dei decenni successivi.
In questi diversi momenti e in queste diverse dislocazioni, si levava la voce e si concretizzava la presenza di padre Turoldo per dire e, con il dire, sempre per fare. Con fiducia immensa di poter rinnovare, Vangelo alla mano, l’Ordine e la Chiesa; con abilità singolare di catalizzare energie per offrire sollievo ai diseredati, mai gesto di carità beneficienza ma atto di giustizia e restituzione, prefigurazione di un Regno promesso e creduto.
Dalle carte d’archivio e dalle parole dei testimoni affioravano o si precisavano vicende e rapporti, si sfatavano o si ricollocavano racconti e leggende: la vita familiare nel Friuli degli anni Venti; la vocazione e gli studi nell’Ordine servita nei Trenta; la partecipazione alla Resistenza e il fervore degli anni della ricostruzione; le relazioni con il cardinal Ildefonso Schuster e con il fondatore dell’Università cattolica Agostino Gemelli negli anni Quaranta; la fondazione della Corsia dei Servi; scambi e legami con gli amati confratelli Camillo De Piaz e Giovanni Vannucci; con Mario Apollonio, Carlo Bo, Luigi Santucci; con Giuseppe Dossetti, Giuseppe Lazzati, don Primo Mazzolari; con don Zeno Saltini e la sua Nomadelfia. Si ricostruiva e situava in un’esistenza già molto popolata l’imperiosa vocazione poetica, che avrebbe fatto dire ad Alda Merini, sua estimatrice, conosciuta negli anni milanesi, essere padre David «un uomo quasi costretto a prendere la materia della vita e farne un canto»(2).
Concluso il percorso di studio bolognese con la ricerca ferma al 1952 - anno della “cacciata” di Turoldo da Milano per il primo dei suoi “esili” -, l’ingente quantità di documentazione raccolta, ma forse ancor più il desiderio di seguire il “mio” personaggio nelle promettenti stagioni successive, mi spingevano a continuare il lavoro intrapreso.
L’avventura del Servo di Maria non tradiva le aspettative. Gli archivi dei conventi serviti riconsegnavano documenti utili per ripercorrere il primo (1953) e il secondo (1958) peregrinare turoldiano, i ricchissimi incroci della stagione fiorentina, i successi della predicazione americana, gli entusiasmi per il papato roncalliano, le vie di approdo a Sotto il Monte. Da lì il tumultuoso e appassionato partecipare alle speranze di una generazione che ritenne a portata di storia il proprio desiderio di giustizia e di pace; lo sguardo all’America Latina e alla sua Chiesa, modello di fede cristiana incarnata nella storia; l’impegno per una restaurazione di laicità nella politica italiana. E poi il declinare dei sogni egualitari sotto il fuoco delle Brigate rosse e del “riflusso nel privato”, e l’inesausta vena poetica di padre David che si completava di una nuova ispirazione di traduttore di Salmi. I personaggi incrociati erano questa volta Giorgio La Pira, Lorenzo Milani, Ernesto Balducci, Mario Gozzini, Divo Barsotti, e poi Loris Capovilla, Enzo Bianchi, Raniero La Valle, Arturo Paoli, Ernesto Cardenal, Gianfranco Ravasi, Carlo Maria Martini. Ma altrettanto interessanti risultavano le intersezioni con personaggi meno noti in Italia, per esempio le scrittrici svedesi Gunnel Vallquist e Eva Alexanderson, o con le tante presenze di cui si animava la vita nella Casa di Emmaus costruita a Sotto il Monte. Con arrivi e partenze che restituivano la creatività e l’inquietudine di quel tempo, e l’esercizio di pedagogia, per lo più involontaria, svolto da padre David per permettere a ognuno - «la libertà innanzitutto» - di seguire la propria vocazione.
Dalla ricostruzione emergeva un’attività che non si può fare a meno di definire quantitativamente prodigiosa, non sempre condotta con lo stesso rigore, come gli rimproverava padre Camillo De Piaz soprattutto in riferimento all’impegno di scrittura. Carenza di rigore riscattata da una passione e da un entusiasmo che risultavano incontenibili e finivano per contagiare quanti avvertivano le sue stesse istanze. I grandi consensi erano accompagnati da non meno vigorosi dissensi e repressioni da parte di quanti, nei vertici gerarchici ma non solo, credevano che il depotenziamento delle voci critiche e la loro condanna all’isolamento fossero le strategie più utili per salvaguardare la verità della fede cristiana.
Le opposizioni venivano tacitate, seppur non vinte, nell’ultima stagione della vita di Turoldo, con la sua testimonianza di morte cristiana, con l’intensità dell’ultima poesia, con il pubblico riconoscimento di Carlo Maria Martini.
Questa ricostruzione ora presento al lettore nella speranza di offrire un contributo utile per l’approfondimento di qualche tassello del Novecento religioso italiano: per restituire alla storia una figura più volte rievocata in termini mitizzati; per recuperare la memoria di vicende, aspirazioni, disincanti che hanno percorso il secolo scorso, non solo in ambito cattolico.. Un tempo che appare lontanissimo e in cui si è avuta la volontà e la fiducia di pensare un bene possibile, e «possibile qui sulla terra» (3).
Dopo questo percorso più che mai mi sembrano penetranti e necessarie le parole dedicate a padre David da un testimone affettuoso ma non apologetico come Michele Ranchetti, che, ricordando la sua figura ancora «vibrante e serena e persuasa» nella sofferenza degli ultimi anni, invitava a «riconoscere nella sua vita una estrema coerenza: di chi ha sempre e solo perseguito il bene»(4).
1.M. Maraviglia, David Maria Turoldo. Ricognizione bibliografica su un protagonista della Chiesa italiana del Novecento, in «Cristianesimo nella storia» 3(2013), pp. 879-926.2.M. Campedelli, La ferita e il canto. Per una poetica della liturgia, Prefazione di A.N. Terrin, Messaggero, Padova 2009, p. 168.
2. Cfr. R. La Valle, Oltre la notte, in Id., Prima che l’amore finisca. Testimoni per un’altra Storia possibile, Ponte alle Grazie, Milano 2003, p. 202.
3. M. Ranchetti, David Maria Turoldo, servo della parola, in Id., Scritti diversi. II. Chiesa cattolica ed esperienza religiosa, a cura di F. Milena, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 2009, p. 109.
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