MAURIZIO VIROLI, Il Fatto Quotidiano, 11 aprile 2016
Spesso contrapposto al coetaneo Principe di Machiavelli (1513) , il Principe cristiano di Erasmo da Rotterdam (1516) è un ammonimento sempre utile rivolto a chi ha l’onore e la responsabilità di governare. Una delle perle che il trattato offre è il principio, che Erasmo annuncia fin dalla lettera dedicatoria al futuro imperatore Carlo V, che governare sudditi con il loro consenso e per il pubblico bene è opera che eleva e nobilita chi la esercita. Il governo dispotico, invece, degrada moralmente e intellettualmente sia chi lo esercita sia chi lo subisce. Governare, chiarisce Erasmo, vuol dire in primo luogo servire, caricarsi sulle spalle il peso della pubblica responsabilità. Per assolvere un compito tanto arduo e delicato, non servono le ricchezze, né le nobili origini, né la bellezza del corpo, né le amicizie influenti, ma soltanto la saggezza, il senso della giustizia, la moderazione, l’amore del pubblico bene. Sono davvero così invecchiate queste semplici idee cristiane, o dovremmo piuttosto, ammaestrati dall’esperienza di quanto è bello essere governati da politici che le deridono, riscoprirle ed esigere che siano rispettate?
Dai più vari pulpiti ci sentiamo ripetere da anni che la bontà non può essere virtù di chi governa. Erasmo sostiene il principio opposto: se puoi essere al tempo stesso un uomo buono e un principe, la tua sarà opera magnifica, ma se non puoi, rinuncia ad essere principe piuttosto che diventare un uomo cattivo. È certo possibile trovare un uomo buono che non è in grado di essere un buon principe, ma non si può essere buon principe senza essere al tempo stesso un uomo buono. Erasmo sapeva bene che anche ai suoi tempi questa massima era considerata ingenua. Ma all’opinione comune opponeva l’argomento che non può certo governare bene chi non sa governare se stesso; chi, per effetto dell’eccessiva ambizione e della sconfinata brama di potere e ricchezze, non ha né buon giudizio né buon senso. Chi crede che la sua volontà, per il solo fatto di essere sua volontà, debba essere legge non può essere buon principe e dovrebbe essere tenuto più lontano possibile dal potere politico.
La differenza con Machiavelli è netta, anche se non ritengo che Erasmo abbia avuto fra le mani copia del manoscritto del Principe (la prima edizione a stampa è del 1532). L’umanista olandese ammonisce il principe a non dimenticare mai di essere prima cristiano e poi principe e di essere pronto a rinunciare al principato piuttosto che violare i precetti della morale cristiana. Il segretario fiorentino insegna che un principe, soprattutto un principe nuovo “non può osservare tutte quelle cose per le quali gli uomini sono tenuti buoni, sendo spesso necessitato, per mantenere lo stato, operare contro alla fede, contro alla carità, contro alla umanità, contro alla religione. E però bisogna che egli abbia uno animo disposto a volgersi secondo ch’è venti della fortuna e le variazioni delle cose li comandano, e [...] non partirsi dal bene, potendo, ma sapere intrare nel male, necessitato”. Più che di contrasto fra un principe cristiano e un principe al di sopra o al di fuori della morale cristiana, è più giusto parlare di due diverse interpretazioni della Scrittura: Erasmo guarda al Vangelo di Cristo, Machiavelli al Dio dell’Antico testamento, il Dio amico dei fondatori di stati e dei redentori, come Mosè, che per condurre il popolo d’Israele dalla schiavitù in Egitto alla terra promessa fece “ammazzare.
“Chi loda la guerra non l’ha mai vista in faccia” (“Dulce bellum inexpertis”) recita uno degli adagi di Erasmo, giustamente famoso. Ne L’educazione del principe cristiano Erasmo elabora l’adagio in una critica severa all’idea della guerra giusta. Come la storia dimostra, non mancano ai principi pretesti per invocare il diritto a muovere guerra. Dovere del buon principe è piuttosto cercare ogni via per evitare la guerra, anche a costo di rinunciare ad un diritto o a parte del territorio, e in nessun caso iniziare una guerra. Anche se alcuni padri della Chiesa e alcuni papi hanno sostenuto che la guerra è legittima, sottolinea Erasmo, Cristo e gli apostoli ci insegnano il contrario.
Se avesse vissuto la tragedia delle guerre hitleriane e fasciste, Erasmo avrebbe probabilmente riconsiderato le sue idee sulla guerra. Ma noi che abbiamo visto e vediamo guerre combattute in nome dei principi del diritto che hanno prodotto soltanto nuove guerre e massacri di innocenti, faremmo bene a prendere molto seriamente l’insegnamento del vecchio umanista.
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