Lettura di Amoris Laetitia - 1
Quando cambia l'orizzonte, si aprono tante porte. E' questione di responsabilità, perché l'amore è una storia, una sfida, una scommessa affidata a noi. E' difficile commentare un testo ampio come l'esortazione Amoris Laetitia di papa Francesco. Si tratta di un documento che ha alle spalle un percorso lungo e vivace, con un dibattito aperto e franco che non si conosceva da decenni nella chiesa cattolica.
Papa Francesco non ha scelto una soluzione da autocrate che decide in solitudine. Nello logica della sinodalità, ha tenuto conto di tutte le voci e di tutte le sensibilità e affidato i passi concreti alle chiese locali. Però, ha tracciato un orizzonte che è radicalmente diverso da quello dei documenti del passato. Il percorso e le posizioni della chiesa cattolica non vengono dimenticati o stravolti, ma cambia la chiave interpretativa. Qui bisogna cogliere la logica di Bergoglio che è quella del processo, di un cammino che viene avviato. Non è quella del centralismo che decide per tutti e di una chiesa come agenzia che emana elenchi di regole. Quindi, chi si dice deluso, perché non ci sono state rivoluzioni, e chi afferma che non è cambiato niente, perché non ci sono norme nuove che contrastano con le precedenti, non ha capito e non sa leggere (o non vuole farlo) il documento.
I dibattiti che si trovano nei mezzi di comunicazione o nelle pubblicazioni e perfino tra i ministri della Chiesa vanno da un desiderio sfrenato di cambiare tutto senza sufficiente riflessione o fondamento, all’atteggiamento che pretende di risolvere tutto applicando normative generali o traendo conclusioni eccessive da alcune riflessioni teologiche (AL, 2).
La riflessione inizia ora. Non finisce, perché il papa apre dei percorsi, invece che chiudere delle porte come spesso avveniva in passato. Amoris Laetitia è uno spazio di possibilità, non un elenco dei divieti, perché la dottrina è per le persone e non viceversa. In primo piano ci sono la gioia dell'amore e la bellezza della famiglia, che non sono automatiche e scontate. Si realizzano dentro i nostri percorsi fatti di fatiche, errori e contraddizioni.
C'è già chi ha fatto analisi e commenti. La più ampia e profonda è di Antonio Spadaro per la Civiltà Cattolica. Segnalo poi quelle di Enzo Bianchi, Massimo Faggioli, Giacomo Costa e Gianfranco Brunelli.
Qui, mi limito a segnalare alcuni passaggi che mettono in evidenza il cambio di orizzonte a cui ho accennato.
Ricordando che il tempo è superiore allo spazio, desidero ribadire che non tutte le discussioni dottrinali, morali o pastorali devono essere risolte con interventi del magistero. Naturalmente, nella Chiesa è necessaria una unità di dottrina e di prassi, ma ciò non impedisce che esistano diversi modi di interpretare alcuni aspetti della dottrina o alcune conseguenze che da essa derivano. Questo succederà fino a quando lo Spirito ci farà giungere alla verità completa (cfr Gv 16,13), cioè quando ci introdurrà perfettamente nel mistero di Cristo e potremo vedere tutto con il suo sguardo. Inoltre, in ogni paese o regione si possono cercare soluzioni più inculturate, attente alle tradizioni e alle sfide locali (AL, 3).
Al tempo stesso dobbiamo essere umili e realisti, per riconoscere che a volte il nostro modo di presentare le convinzioni cristiane e il modo di trattare le persone hanno aiutato a provocare ciò di cui oggi ci lamentiamo, per cui ci spetta una salutare reazione di autocritica. D’altra parte, spesso abbiamo presentato il matrimonio in modo tale che il suo fine unitivo, l’invito a crescere nell’amore e l’ideale di aiuto reciproco sono rimasti in ombra per un accento quasi esclusivo posto sul dovere della procreazione. Né abbiamo fatto un buon accompagnamento dei nuovi sposi nei loro primi anni, con proposte adatte ai loro orari, ai loro linguaggi, alle loro preoccupazioni più concrete. Altre volte abbiamo presentato un ideale teologico del matrimonio troppo astratto, quasi artificiosamente costruito, lontano dalla situazione concreta e dalle effettive possibilità delle famiglie così come sono. Questa idealizzazione eccessiva, soprattutto quando non abbiamo risvegliato la fiducia nella grazia, non ha fatto sì che il matrimonio sia più desiderabile e attraente, ma tutto il contrario (AL, 36).
Per molto tempo abbiamo creduto che solamente insistendo su questioni dottrinali, bioetiche e morali, senza motivare l’apertura alla grazia, avessimo già sostenuto a sufficienza le famiglie, consolidato il vincolo degli sposi e riempito di significato la loro vita insieme. Abbiamo difficoltà a presentare il matrimonio più come un cammino dinamico di crescita e realizzazione che come un peso da sopportare per tutta la vita. Stentiamo anche a dare spazio alla coscienza dei fedeli, che tante volte rispondono quanto meglio possibile al Vangelo in mezzo ai loro limiti e possono portare avanti il loro personale discernimento davanti a situazioni in cui si rompono tutti gli schemi. Siamo chiamati a formare le coscienze, non a pretendere di sostituirle (AL, 37).
Come nota Faggioli:
Un significativo compromesso, ma con una chiara apertura si ha sulla questione dei divorziati risposati: il documento non cita la "comunione spirituale" (fin qui prospettata dalla chiesa pre-Francesco ai divorziati risposati come alternativa all'eucarestia); rigetta l'esclusivismo che fa sentire i cattolici in situazioni difficili come scomunicati (par. 243); parla delle forme non matrimoniali di unione come "occasioni da accompagnare verso il matrimonio" (par. 293); parla di "gradualità nell'esercizio prudenziale degli atti liberi in soggetti che non sono in condizione di comprendere, di apprezzare o di praticare pienamente le esigenze oggettive della legge" (par. 295); rende chiaro che "non esistono semplici ricette" per i casi difficili (par. 298) e in un'importante nota a pie' di pagina 329 riconosce i rischi insiti nel chiedere ai divorziati risposati di "vivere come fratello e sorella".
Un altro passaggio fondamentale è al n. 304:
È meschino soffermarsi a considerare solo se l'agire di una persona risponda o meno a una legge o a una norma generale, perché questo non basta a discernere e ad assicurare una piena fedeltà a Dio nell'esistenza concreta di un essere umano.
Qui si coglie come salti un'impostazione moralistica e lagalistica basata sulla distinzione che separa "chi è dentro" e "chi è fuori" sulla basa di un'osservanza esteriore di alcune regole, facendo prevalere una logica di esclusione su una logica di integrazione.
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