FRANCO CARDINI intervistato da Andrea De Angelis, IntelligoNews, 19 marzo 2015
Il giorno dopo l'attentato terroristico di Tunisi si contano le vittime, comprese quelle italiane. Ma chi è l'autore della strage? Quali sono le misure che l'Italia è chiamata a prendere? IntelligoNews lo ha chiesto allo storico Franco Cardini...
La strage di Tunisi è opera dell'Isis o di gruppi locali non inquadrati?
«Qui vale la regola del contagio. Non esiste nessuna organizzazione dell'Isis che sia in grado di provocare cose di questo genere, al massimo possono esserci delle intercomunicazioni che sulla base di suggerimenti e sollecitazioni possono fare azioni del genere. Siamo davanti alla logica della proliferazione spontanea che si sposa con un'altra logica, quella del tentativo di esportazione a raggiera del centro del califfato».
Una novità rispetto al passato?
«La cosa nuova di questa mutazione di un ramo di Al-Qaida è nel tentativo di organizzazione territoriale, un qualcosa che Bin Laden aveva semplicemente teorizzato e che ora ha funzionato per un'area molto ristretta e anche abbastanza frastagliata come l'Iraq orientale. Però l'adesione all'Isis di gruppi nordafricani e via discorrendo è soltanto simbolica».
Forse sono i media a semplificare troppo?
«Sì, diciamo anche che la centrale dell'Isis è fatto da persone abbastanza attrezzate dal punto di vista mediatico. Coglie cioè la palla al balzo per rivendicare certi attentati, a seconda delle convenienze. Ci sono cioè attentanti che possono essere utili secondo il giudizio soggettivo dell'Isis e allora parte la rivendicazione, in caso contrario ciò non accade. Attenzione, i gruppi autonomi possono anche essere composti da quattro, cinque persone isolate, se non addirittura dal singolo.
Qui siamo davanti a una guerra di guerriglia, quindi può accadere anche la proliferazione spontanea. Sarebbe come dire che se uno fa un attentato o un qualunque atto di teppismo e prima di andarsene disegna una svastica, non ci autorizza a dire che esiste il nuovo partito nazionalsocialista».
Qui siamo davanti a una guerra di guerriglia, quindi può accadere anche la proliferazione spontanea. Sarebbe come dire che se uno fa un attentato o un qualunque atto di teppismo e prima di andarsene disegna una svastica, non ci autorizza a dire che esiste il nuovo partito nazionalsocialista».
Occorre dunque prudenza.
«Ma sì, altrimenti si arriva a quella che nella filmologia degli 007 era la potente organizzazione Spectre ramificata in tutto il mondo...».
Perché proprio la Tunisia?
«Diciamo un'altra cosa. In questo momento la Fitna islamica classica alla quale siamo abituati, quella tra sunniti e sciiti che può spiegare ad esempio l'attività di Arabia Saudita e Qatar contro l'Iran, ormai si è generalizzata fino a diventare una guerra civile tra sunniti che noi chiamiamo jihadisti e sunniti che definiamo liberali, democratici o laici, una nomenclatura molto imprecisa che noi abbiamo per indicare la stragrande maggioranza dei musulmani, quelli che vorrebbero lavorare, stare in pace e pregare il loro Dio senza dar noia a nessuno».
Quindi è più una guerra di potere interna che una strategia internazionale quella a cui stiamo assistendo?
«Dico solo che noi ci stiamo inventando un Islam aggressivo che non esiste, è il momento di cacciarci dalla testa questa roba. Non esiste da nessuna parte se non in aree molto distrette e discordi fra loro. Questo è quello che conta, la Fitna si sta scatenando anche fra gli jihadisti perché fra l'Isis e i centri di Al Qaeda tra Yemen e Arabia Saudita che hanno partorito il movimento Taliban in Afghanistan, non c'è nessuna forma di collaborazione o amicizia, anzi si detestano tra loro. Per l'Isis il musulmano apostata, cioè moderato, è peggiore degli infedeli».
Venendo all'Italia da un lato Alfano riunisce l'antiterrorismo, dall'altro non si può non notare la vicinanza geografica di Tunisia e Francia. Cosa dobbiamo fare?
«Non bisogna far niente di più di quello che avremmo dovuto fare da tempo. Questa è una guerra diffusa, contro un nemico che non si qualifica, è una guerra come detto di guerriglia. Per vincerla occorrono tre armi: l'intelligence, l'infiltrazione e una mobilitazione culturale».
In concreto?
«Spero che i nostri servizi stiano prendendo delle misure serie, ben diverse da quelle adottate dalla Lombardia chiudendo le moschee. Anzi le moschee si dovrebbero moltiplicare! Mi risulta che in Italia i musulmani per bene collaborano con i non musulmani, cercano il confronto e il dibattito. Entrando in rapporti con loro si monitorizzano, si conoscono. In questo modo si ottengono due cose: da un lato i musulmani per bene escono definitivamente allo scoperto, dall'altro chi ha cattive intenzioni viene isolato e identificato. Ed è qui che entra in gioco l'infiltrazione e sarà facile anche collaborare con i musulmani ben intenzionati».
Come viene condotta l'infiltrazione in Italia?
«A mio avviso male. Le faccio un esempio concreto. Io sono uno dei membri di un gruppo di persone composto da professori, studenti e amici che hanno interesse per i rapporti con l'Islam. Alcuni di questi sono figli di musulmani e, pur parlando perfettamente l'italiano, anzi il fiorentino, sono di madrelingua araba e conoscono perfettamente la loro lingua. Sono sei, sette ragazzi. Bene, quando tempo fa la Farnesina emise una specie di chiamata, una sorta di censimento delle persone in grado di parlare perfettamente arabo per mansioni di traduzione, ma mi è sembrato di capire che avrebbero potuto collaborare anche in altro modo, questi ragazzi diedero la loro disponibilità. Risultato? Nemmeno una risposta».
Magari ne avranno chiamati altri...
«Sì, magari avranno risposto mille persone e il ministero avrà risposto agli altri 994. Può essere andata così, noi siamo stati una scellerata eccezione, ma qualche dubbio mi rimane...».
Questa intervista andrebbe diramata il più possibile.
Scritto da: elena | 21/03/15 a 18:10