Dal mio e-book "L'umanità di Gesù. Tra storia e fede".
La questione più rilevante per chi si interroga oggi su Gesù è: come prendere posizione nei suoi confronti? Come proseguire personalmente questa ricerca? Il problema, in ultima analisi, è quello della fede, un atto personale e libero, il quale ammette tanto una risposta positiva (cfr. la vocazione dei primi discepoli in Mt 4,18-24; Mc 4,16-20; Lc 18,18-23) quanto negativa. Qui l’autore non da risposte, bensì indica delle direzioni, dei cammini che sta al singolo percorrere. Mi congedo, perciò, con una sorta di vademecum affidato al lettore.
I. Approfondire la conoscenza su Gesù a partire dalle fonti e dalle ricerche disponibili. Gesù di Nazaret è forse la personalità più conosciuta, discussa e studiata dell’intera storia umana. L’interesse nei suoi confronti è molto alto, ma spesso non è accompagnato da un livello di informazione proporzionale. È uno dei motivi che favoriscono la diffusione di tesi tanto sensazionalistiche, quanto prive di fondamento, come quelle di certi libri o film anche di successo. Acquisire una conoscenza solida è allora indispensabile e significa innanzitutto leggere e padroneggiare il Nuovo Testamento, in particolare i vangeli, che è comunque la fonte principale su Gesù. È indispensabile che sia una conoscenza diretta e non di seconda mano. Altrettanto importante è la frequentazione dell’Antico Testamento, a cui il Nuovo fa riferimento di continuo. L’uno non può essere pienamente compreso senza l’altro.
La lettura della Bibbia richiede di entrare nel suo mondo e nel suo linguaggio, storicamente distanti da noi. In particolare, bisogna sapersi orientare tra i diversi generi letterari che costituiscono i codici in cui sono scritti i libri biblici. Si può iniziare da un’edizione della Bibbia corredata da un serio e affidabile apparto di note e introduzioni ai singoli libri[1].
Sono utili anche opere di introduzione alla Bibbia e al suo universo culturale, per poi passare a testi più specifici. Vale la pena di accostarsi alle migliori esposizioni d’insieme della ricerca storica su Gesù, già menzionati in queste pagine. Ricordo almeno i nomi di Barbaglio, Meier, Theissen.
II. Non è sufficiente leggere la Bibbia; il passo successivo è leggerla nella preghiera. Studiare la Bibbia serve a conoscerla, ma non bisogna dimenticare che si tratta di testi scritti nella fede, per essere letti nella fede.
Una conoscenza precisa è indispensabile, però non consente di raggiungere conclusioni definitive, perché ciò che è decisivo riguardo a Gesù non è dimostrabile, ma appartiene alla sfera di un’esperienza personale e interiore di incontro con Cristo , conosciuto come il vivente. Può anche essere solo la luce di un momento, ma, se manca, il solo ragionamento a un certo punto entra in stallo. Lo studio della Bibbia e la ricerca storica consentono al più di delineare una cornice di plausibilità dell’annuncio cristiano, ma non di stabilire a tavolino, o in laboratorio, la realtà dell’incontro con il Risorto.
Tutta la storia della fede ebraico-cristiana è attraversata dall’affermazione che “Dio parla” (cfr. Dt 4,32-33; Is 55,8-11), è uscito da sé e si è auto-comunicato. Il vertice del manifestarsi di Dio è Gesù Cristo (cfr. Gv 1,14; Eb 1,1-3): la sua vita è la Parola di Dio, la buona notizia (evangelo, cfr. Mc 8,35; 10,29) che da sempre Dio vuole comunicare all’umanità. La tradizione cristiana è concorde nell’affermare che, per conoscere Cristo e compiere il passo della fede, bisogna ascoltare la Parola di Dio, trasmessa innanzitutto nelle Scritture. L’ascolto della Parola contenuta nella Bibbia segue vie rispetto alla sola lettura biblica. La chiesa cattolica ne ha identificate principalmente due. In primo luogo, a livello ecclesiale, comunitario, la liturgia in cui l’ascolto avviene attraverso l’agire simbolico e sacramentale. Sollecitando varie facoltà comunicative e ricorrendo a più codici linguistici, la liturgia lascia parlare la Scrittura attraverso una molteplicità di segni, i quali rendono visibile la relazione tra l’uomo e Dio. C’è poi un ascolto più personale che è stato codificato nella pratica della lectio divina, riscoperta a partire dal Vaticano II dopo un lungo oblio, in cui l’accoglienza della Parola diventa preghiera che trasforma la vita. Il testo non viene letto come se fosse una pagina neutra, ma un messaggio rivolto direttamente al lettore, per consentire un’assimilazione interiore. La Parola ha un valore universale in cui c’è qualcosa per tutti.
Qui siamo in un campo dove le questioni speculative contano poco, perché vale il vissuto. La liturgia e la lectio richiedono un’immersione, così come si può conoscere il nuoto solo tuffandosi in acqua[2]. L’una non può stare senza l’altra: il cristianesimo è una realtà comunitaria, prima che individuale. La Parola raduna, convoca, unisce: la chiesa, l’ek-klesía è la riunione dei chiamati (ek-kletoí) e traduce l’ebraico qahal (convocazione). Gesù non si è relazionato ai discepoli solo singolarmente, a tu per tu, ma ha instaurato un legame tra loro e con lui, un’unità, una comunione (cfr. l’allegoria della vite e dei tralci in Gv 15,1-8). Allo stesso tempo, l’ascolto liturgico ed ecclesiale risulta inutile, senza un’interiorizzazione e un vissuto spirituale che riconosce nella Bibbia una parola buona per la propria vita.
III. Il confronto con la Parola richiede di verificarne la verità. Non può trattarsi di una verifica empirica delle vicende narrate, fuori dalla portata di un lettore del XXI secolo. È piuttosto una verifica, per così dire, pratica, esistenziale. Ciò che Gesù ha fatto e insegnato è attuale nel mondo di oggi? Qui entra in campo il fatto della testimonianza cristiana. La continuazione della missione di Gesù è stata affidata ai discepoli: sono loro, se si dimostrano coerenti e credibili, a far parlare il Vangelo oggi.
Non si può tacere che la vicenda della chiesa racchiude realtà di scandalo e di peccato. Molte sono sotto gli occhi di tutti e costituiscono per tante persone la principale obiezione alla fede. Ne erano consapevoli già i padri della chiesa e gli stessi vangeli riportano episodi alquanto scomodi di incomprensione del messaggio di Gesù da parte degli apostoli e persino di Pietro, che è arrivato al tradimento nell’ora della passione.
Qualsiasi pretesa di una comunità di puri e di perfetti finisce con il risultare irreale, settaria, prestando il fianco a degenerazioni oppressive e integraliste. Il che non significa lasciar passare tutto, minimizzare, giustificare a ogni costo o, peggio ancora, nascondere dei fatti per salvaguardare il buon nome della chiesa, come è avvenuto in certe vicende legate alla pedofilia. Il discepolo è colui o colei che riconosce la propria condizione di peccatore e se ne assume la responsabilità, rinunciando ad atteggiamenti di arroganza e di superiorità. Essere discepoli significa sentirsi sempre bisognosi di conversione, di fronte alla radicalità del vangelo e alla statura d’amore di Gesù. Proprio questa umiltà è apertura all’azione dello Spirito che sa operare grandi cose servendosi della nostra povertà.
Ecco, allora, che nella storia della chiesa non mancano mai, anche nei periodi più bui, segni di vera santità ed esperienze che profumano di vangelo. Con esse si dovrebbe confrontare il cercatore di oggi.
Senza trascurare un aspetto altrettanto importante: non basta cercare il vangelo all’opera negli altri, bisogna anche cercarlo all’opera in sé. Se è l’esperienza, la vita, il criterio di verità della Parola, bisogna metterla in pratica, oltre che ascoltarla (cfr. Gc 1,25). Chi ama, chi osserva la Parola, è chi davvero conosce Dio. Il vangelo si dimostra vero se suscita una vita trasformata, trasfigurata. Il criterio ultimo di verifica non è lo studio, o un’inesistente risultato di laboratorio, ma l’eloquenza di una vita bella, buona e felice che assume i tratti di quella di Gesù. Allora, si può dire a ragion veduta: «Forse, è proprio vero! Ci posso credere!».
Nella vicenda dei discepoli di Emmaus, modello di ogni storia di fede, Gesù non è riconosciuto a partire dall’aspetto fisico, da una “visione” (di cui tanti oggi hanno fame) e neppure da una qualche prova da lui fornita. Egli viene riconosciuto attraverso l’ascolto della Parola, che narra la sua vicenda umana alla luce della fede, e il gesto del pane spezzato, che riassuma la logica di amore gratuito su cui si è fondata interamente.
La Parola e il pane eucaristico sono i segni, i sacramenti da sempre presenti, come elementi costitutivi, nella Messa che è la fonte e il culmine della vita della chiesa e della trasmissione della fede. Entrambi rinviano alla croce di Gesù come vertice della sua rivelazione del volto del Padre e del suo amore sconfinato.
È lì che, come il centurione nel racconto di Marco, si può dire:
«Davvero quest’uomo era Figlio di Dio» (Mc 15,39).
[1] Tra le migliori, La Bibbia di Gerusalemme, EDB, a cura dell’Ècole Biblique de Jérusalem, e la Bibbia TOB(Traduction Oecumenique de la Bible), LDC.
[2] Cfr. Enzo Bianchi, Pregare la Parola, Qiqajon, Bose 2008.