Alle volte, la sfida più grande è restare umani.
Ascoltavo ieri sera, l'amico Brunetto Salvarani, riflettere sulla fragilità dell'uomo e di Dio (cfr. B. Salvarani (a cura di), La fragilità di Dio, EDB). Sulle orme del Giobbe biblico, che perde tutto e diviene un vero e proprio uomo dei dolori, e degli sfollati del terremoto del 2012 di cui Brunetto ha fatto parte, ci siamo inoltrati suoi sentieri di quella precarietà che ci spoglia e ci fa scoprire nudi, indifesi. E' il momento in cui cadono tutte le immagini false e pagane di Dio, che lo vedono come una sorta di mago a cui chiediamo la soluzione dei nostri problemi.
Mi è venuto in mente un fulmineo libretto di Paul Ricoeur, autore di poderosi testi filosofici, intitolato Il male. Una sfida per la filosofia e la teologia. In poche pagine, questo grande pensatore smonta le facili e rassicuranti risposte con cui il pensiero, laico e religioso, ha tentato di spiegare l'interrogativo del male. Le elaborazioni teoriche non reggono di fronte alla dolorosa realtà dei fatti. Ecco perché la fede cristiana non dà risposte. Gesù non ha mai dato risposte. E' stato vicino ai sofferenti, recando loro sollievo, ma non è sfuggito alla morte. E non è lecito fare della risurrezione una scappatoia.
Davvero qui vale la pena di chiedersi, con Paolo De Benedetti nei suoi ultimi scritti pubblicati, Quale Gesù? Nell'approccio cristiano alla fragilità, l'interrogativo sul nazareno è fondamentale. Anche lui è spesso imprigionato nei nostri schemi dottrinali e devozionali. Ma se "era veramente uomo", come il magistero della chiesa ha sempre ribadito, la resurrezione era oltre la sua coscienza, soprattutto nel momento della croce.
"Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?". In certi momenti non si fanno citazioni dai Salmi, come nella redazione di un discorso a tavolino, ma salgono alla bocca le parole più urgenti. Possiamo pensare, con De Benedetti, che Gesù abbia provato pienamente questa angoscia. Fino in fondo, nostro fratello.
Ecco, allora, che la fede non è soluzione a buon prezzo al male, alla nostra fragilità. E' piuttosto la forza di stare nella fragilità, quando non vediamo vie di uscita, di restare umani nel dolore. In questa lotta interiore ci è sostegno l'umanità indifesa di Gesù, il quale sulla croce ha saputo perdonare e amare.
Penso a quei musicisti, nell'inferno dei campi di sterminio, che hanno continuato a suonare e comporre fino a che ne hanno avuto la possibilità; per mantenere barlumi di luce nella marea delle tenebre.
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