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Oggi è la festa di s. Ignazio di Loyola, fondatore dei gesuiti ed esploratore della vita interiore. Nei suoi Esercizi spirituali ha formulato delle "regole di discernimento"; sono dei principi per conoscere il proprio cuore, per leggerne i movimenti nella fede e orientare le proprie scelte senza lasciarsi trascinare dall'emotività. Il gesuita Francesco Occhetta, de La Civiltà Cattolica, le ha commentate sul suo blog personale.
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Dopo che papa Francesco ha nominato Enzo Bianchi, fondatore e priore del monastero di Bose, consultore al Pontificio Consiglio per l'unità dei cristiani, in rete piccole cerchie di tradizionalisti hanno cominciato a far circolare con insistenza una serie di accuse false e senza bussola.
E' un esempio di quello che definisco cattolicesimo del risentimento, che individua un nemico e comincia ad attaccarlo con dicerie e denigrazioni, come è avvenuto in passato verso credenti come Giuseppe Dossetti e Carlo Maria Martini. Sono ambienti in cui hanno poco spazio il Vangelo e la prossimità, rispetto a una dottrina rigidamente immobilizzata in formule proprie di una certa epoca.
Diceva un padre del deserto: Non disprezzare chi ti sta accanto, perché non sai se lo Spirito santo è in te o in lui. Negli atteggiamenti e nei discorsi del cattolicesimo del risentimento, invece, il disprezzo è evidente e privo di dubbi, perché ci si sente possessori della verità.
Scrive papa Francesco in Evangelii gaudium 40:
La Chiesa, che è discepola missionaria, ha bisogno di crescere nella sua interpretazione della Parola rivelata e nella sua comprensione della verità. Il compito degli esegeti e dei teologi aiuta a maturare «il giudizio della Chiesa». [...] Inoltre, in seno alla Chiesa vi sono innumerevoli questioni intorno alle quali si ricerca e si riflette con grande libertà. Le diverse linee di pensiero filosofico, teologico e pastorale, se si lasciano armonizzare dallo Spirito nel rispetto e nell’amore, possono far crescere la Chiesa, in quanto aiutano ad esplicitare meglio il ricchissimo tesoro della Parola. A quanti sognano una dottrina monolitica difesa da tutti senza sfumature, ciò può sembrare un’imperfetta dispersione. Ma la realtà è che tale varietà aiuta a manifestare e a sviluppare meglio i diversi aspetti dell’inesauribile ricchezza del Vangelo.
Queste parole sono la migliore smentita di chi si pone a tribunale e giudice della fede altrui, nel momento in cui incontra posizioni diverse dalle proprie, e quel che è peggio lo fa senza rispetto per la verità dei fatti. E infatti papa Francesco mette in guardia dalle guerre intestine alla chiesa, in cui gruppi autoreferenziali, in nome di presunte certezze dottrinali e disciplinari ricavate da uno stile cattolico proprio del passato, analizzano, classificano, diffamano (cfr. Evangelii gaudium 93-101). E' una delle manifestazioni della mondanità spirituale.
Il caso di Enzo Bianchi è emblematico. La nomina di papa Francesco, al di là della sua persona, è un riconoscimento dell'esperienza ecumenica di Bose che si fonda sull'incontro con l'altro, in nome della comune fede nel Signore Gesù, che diviene amicizia e riconoscimento dei doni che lo Spirito gli ha affidato. E' la medesima prospettiva in cui si muove Bergoglio, come si può riscontrare nell'incontro di lunedì scorso con i pentecostali di Caserta (v. il discorso di papa Francesco e il commento di Massimo Faggioli):
Sono tante e tanto preziose le cose che ci uniscono! E se realmente crediamo nella libera e generosa azione dello Spirito, quante cose possiamo imparare gli uni dagli altri! Non si tratta solamente di ricevere informazioni sugli altri per conoscerli meglio, ma di raccogliere quello che lo Spirito ha seminato in loro come un dono anche per noi. Solo per fare un esempio, nel dialogo con i fratelli ortodossi, noi cattolici abbiamo la possibilità di imparare qualcosa di più sul significato della collegialità episcopale e sulla loro esperienza della sinodalità. Attraverso uno scambio di doni, lo Spirito può condurci sempre di più alla verità e al bene (Evangelii gaudium 246).
Concludo, poiché quel che si afferma va sempre argomentato, facendo alcuni esempi delle falsità fatte circolare a proposito di Enzo Bianchi.
Si dice che, nell'intervista concessa a Iacopo Scaramuzzi dopo la notizia della nomina, abbia attribuito a papa Francesco posizioni non sue affermando la sua intenzione di riformare il papato per favorire l'ecumenismo, guardando alla sinodalità ortodossa. In realtà, papa Francesco ha scritto nero su bianco che intende muoversi nel senso di una riforma della chiesa e del papato stesso, un aspetto della quale è il decentramento, richiamando anche l'appello di Giovanni Paolo II nell'enciclica Ut unum sint del 1995 (cfr. Evangelii gaudium 16, 26, 27, 32) e nel brano sopra riportato fa esplicito riferimento alla sinodalità praticata dal cristianesimo ortodosso.
Un altro esempio è quando si afferma che Enzo Bianchi non crede nell'Eucaristia come sacramento e come sacrificio. Gli scritti e gli interventi che dimostrano come questa sia una sciocchezza sono numerosi. Mi limito a citarne uno pronunciato a Milano nel 2005, dal momento che è facilmente reperibile, in cui afferma che per lui l'Eucaristia è il sacramento dei sacramenti, la cosa più straordinaria lasciata da Gesù:
Io credo che nella nostra vita di cristiani l'Eucaristia è davvero tutto, è davvero tutto. E' come dicevano i Padri, la sintesi di tutta la fede, di tutta la nostra speranza e di tutta la nostra capacità di amore. La sintesi che è stata vissuta fino all'estremo da Gesù, l'Eucaristia è questo.
E più oltre aggiunge:
Pane e vino eucaristici seguono il cammino di ogni cibo e, nel digerire, il pane e il vino sono trasformati e nella Eucaristia, vedete, contemporaneamente a questo movimento in cui pane e vino sono trasformati perché sono digeriti, avviene il processo inverso, noi siamo trasformati in Corpo di Cristo. I Padri della Chiesa, Giovanni Crisostomo per esempio, parlano di metabolismo eucaristico. Il metabolismo eucaristico consiste in questo: una volta che io ho mangiato il pane, corpo di Cristo e ho bevuto il vino, sangue di Cristo, io sono trasformato nel Corpo e nel Sangue di Cristo a tal punto che "non sono più io che vivo ma è Cristo che vive in me". Sant'Agostino dice: "Cristiani, se volete vedere l'Eucaristia e capirla, guardate quel che c'è sull'altare, sull'altare ci siete voi; sull'altare c'è il Corpo di Cristo, voi diventate Corpo e Sangue di Cristo nell'Eucaristia".
Che ci sia l'aspetto del sacrificio lo dice apertamente, ma il punto è considerare questo aspetto insieme a tutta l'ampiezza di significati e dimensioni del sacramento:
Concludo. Io sono di quelli che l'Eucaristia non si sente di viverla tutti i giorni, è una cosa che mi dà le vertigini. Ve lo confesso. Perché quando si celebra l'Eucaristia, io penso che nell'Eucaristia c'è tutta la vita del Figlio, la vita del Figlio presso il Padre, la vita del Figlio che viene in questo mondo, la sua nascita, la sua vita umana, la sua morte, la sua resurrezione, la sua ascensione al cielo, la sua intercessione presso il Padre, la sua venuta gloriosa, tutto è nell'Eucaristia... E poi penso che nell'Eucaristia devo fare entrare la mia vita, ciò che amo, i miei amori così maldestri e a volte così sbagliati, devo fare entrare quello che faccio tutti i giorni con fatica, devo fare entrare anche quello che mi dà gioia e che è ebbrezza, devo fare entrare l'amicizia, e devo fare entrare la solidarietà con gli uomini, e devo fare entrare il mio spezzare il pane coi poveri, perché l'Eucaristia mi ricorda che i beni della terra sono per tutti, non solo per alcuni privilegiati, e che l'Eucaristia, sacramento di Cristo, mi chiama al sacramento del povero... C'è da tremare, ma c'è anche da adorare e da stupire per un dono così grande. In quel pane e in quel vino, trasfigurati in Corpo e Sangue di Cristo, in una sintesi di tutta la vita del Figlio, io devo mettere la mia povera vita e la vita dei miei fratelli e delle mie sorelle. Questa è l'Eucaristia. E voi capite perché, dicevo all'inizio, che è davvero la sintesi di tutta la nostra fede, di tutta la nostra speranza, di tutta la nostra carità. Ma per dire questo, ci sono volute realtà umane: il pane, il vino, una tavola, il mangiare insieme, qualcuno che narra e ricorda, il canto, la festa... L'Eucaristia è festa.
Essendomi dilungato, dedico solo una battuta veloce al sacramento della riconciliazione, che a Bose è celebrato regolarmente e di cui il priore ha scritto:
Attraverso la remissione dei peccati facciamo già qui e ora un’esperienza di salvezza. La Confessione preannuncia il Regno, è memoria della morte e della resurrezione di Cristo, e ha un valore ecclesiale perché riconduce alla comunione con la chiesa.
Essere chiesa non significa uniformità e accordo su tutto, ma le critiche vanno fatte nella fraternità e nella verità. Ecco perché è importante dire quando ciò non avviene, un costume purtroppo diffuso.
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Ho ricevuto lunedì, dall'amica Giusy Gusmaroli, instancabile costruttrice di speranza e di ponti, questa mail che propongo come un segno della convivenza che si può realizzare.
Giornata intensa, oggi, e credo, nella piccola storia della nostra "piccola" chiesa", storica.
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Discorso di papa Francesco nella chiesa pentecostale della Riconciliazione
Caserta, 28 luglio 2014
Buongiorno, fratelli e sorelle.
Mio fratello il pastore Giovanni ha incominciato parlando del centro della nostra vita: stare alla presenza di Gesù. E poi ha detto “camminare” alla presenza di Gesù. E questo è stato il primo comandamento che Dio ha dato al suo popolo, al nostro padre Abramo: “Va’, cammina alla mia presenza e sii irreprensibile”. E poi il popolo ha camminato: alcune volte alla presenza del Signore, tante volte non alla presenza del Signore. Ha scelto gli idoli, gli dei… Ma il Signore ha pazienza. Ha pazienza con il popolo che cammina. Io non capisco un cristiano fermo! Un cristiano che non cammina, io non lo capisco! Il cristiano deve camminare! Ci sono cristiani che camminano, ma non alla presenza di Gesù: bisogna pregare per questi fratelli. Anche per noi, quando in certi momenti camminiamo non alla presenza di Gesù, perché anche noi siamo tutti peccatori, tutti! Se qualcuno non è peccatore, alzi la mano… Camminare alla presenza di Gesù.
Cristiani fermi: questo fa male, perché ciò che è fermo, che non cammina, si corrompe. Come l’acqua ferma, che è la prima acqua a corrompersi, l’acqua che non scorre… Ci sono cristiani che confondono il camminare col “girare”. Non sono “camminanti”, sono erranti e girano qua e là nella vita. Sono nel labirinto, e lì vagano, vagano... Manca loro la parresia, l’audacia di andare avanti; manca loro la speranza. I cristiani senza speranza girano nella vita; non sono capaci di andare avanti. Siamo sicuri soltanto quando camminiamo alla presenza del Signore Gesù. Lui ci illumina, Lui ci dà il suo Spirito per camminare bene.
Penso al nipote di Abramo, Giacobbe. Era tranquillo, là, con i suoi figli; ma a un certo punto è arrivata la carestia e ha detto ai suoi figli, ai suoi 11 figli, 10 dei quali erano colpevoli di tradimento, di aver venduto il fratello: “Andate in Egitto, camminate fin là a comprare cibo, perché noi abbiamo soldi, ma non abbiamo cibo. Portate i soldi e compratene là, dove dicono che ce n’è”. E questi si sono messi in cammino: invece di trovare cibo, hanno trovato un fratello! E questo è bellissimo!
Quando si cammina alla presenza di Dio, si dà questa fratellanza. Quando invece ci fermiamo, ci guardiamo troppo l’uno all’altro, si dà un altro cammino… brutto, brutto! Il cammino delle chiacchiere. E si incomincia: “Ma tu, non sai?”; “No, no, io non so di te. Io so di qua, di là…”; “Io sono di Paolo”; “Io di Apollo”; “Io di Pietro”…. E così incominciano, così dal primo momento è incominciata la divisione nella Chiesa. E non è lo Spirito Santo che fa la divisione! Fa una cosa che le assomiglia abbastanza, ma non la divisione. Non è il Signore Gesù che fa la divisione! Chi fa la divisione è proprio l’Invidioso, il re dell’invidia, il padre dell’invidia: quel seminatore di zizzania, Satana. Costui si immischia nelle comunità e fa le divisioni, sempre! Dal primo momento, dal primo momento del cristianesimo, nella comunità cristiana c’è stata questa tentazione. “Io sono di questo”; “Io sono di quello”; “No! Io sono la chiesa, tu sei la setta”… E così quello che ci guadagna è lui, il padre della divisione. Non il Signore Gesù, che ha pregato per l’unità (Giovanni 17), ha pregato!
Cosa fa lo Spirito Santo? Ho detto che fa un’altra cosa, che forse si può pensare che sia divisione, ma non lo è. Lo Spirito Santo fa la “diversità” nella Chiesa. La prima Lettera ai Corinzi, capitolo 12. Lui fa la diversità! E davvero questa diversità è tanto ricca, tanto bella. Ma poi, lo stesso Spirito Santo fa l’unità, e così la Chiesa è una nella diversità. E, per usare una parola bella di un evangelico che io amo tanto, una “diversità riconciliata” dallo Spirito Santo. Lui fa entrambe le cose: fa la diversità dei carismi e poi fa l’armonia dei carismi. Per questo i primi teologi della Chiesa, i primi padri – parlo del secolo III o IV – dicevano: “Lo Spirito Santo, Lui è l’armonia”, perché Lui fa questa unità armonica nella diversità.
Noi siamo nell’epoca della globalizzazione, e pensiamo a cos’è la globalizzazione e a cosa sarebbe l’unità nella Chiesa: forse una sfera, dove tutti i punti sono equidistanti dal centro, tutti uguali? No! Questa è uniformità. E lo Spirito Santo non fa uniformità! Che figura possiamo trovare? Pensiamo al poliedro: il poliedro è una unità, ma con tutte le parti diverse; ognuna ha la sua peculiarità, il suo carisma. Questa è l’unità nella diversità. E’ in questa strada che noi cristiani facciamo ciò che chiamiamo col nome teologico di ecumenismo: cerchiamo di far sì che questa diversità sia più armonizzata dallo Spirito Santo e diventi unità; cerchiamo di camminare alla presenza di Dio per essere irreprensibili; cerchiamo di andare a trovare il nutrimento di cui abbiamo bisogno per trovare il fratello. Questo è il nostro cammino, questa è la nostra bellezza cristiana! Mi riferisco a quello che il mio amato fratello ha detto all’inizio.
Poi ha parlato di un’altra cosa, dell’Incarnazione del Signore. L’Apostolo Giovanni è chiaro: “Colui che dice che il Verbo non è venuto nella carne, non è da Dio! E’ dal diavolo”. Non è nostro, è nemico! Perché c’era la prima eresia – diciamo la parola fra di noi – ed è stata questa, che l’Apostolo condanna: che il Verbo non sia venuto nella carne. No! L’incarnazione del Verbo è alla base: è Gesù Cristo! Dio e uomo, Figlio di Dio e Figlio dell’uomo, vero Dio e vero uomo. E così lo hanno capito i primi cristiani e hanno dovuto lottare tanto, tanto, tanto per mantenere queste verità: il Signore è Dio e uomo; il Signore Gesù è Dio fatto carne. E’ il mistero della carne di Cristo: non si capisce l’amore per il prossimo, non si capisce l’amore per il fratello, se non si capisce questo mistero dell’Incarnazione. Io amo il fratello perché anche lui è Cristo, è come Cristo, è la carne di Cristo. Io amo il povero, la vedova, lo schiavo, quello che è in carcere… Pensiamo al “protocollo” sul quale noi saremo giudicati: Matteo 25. Amo tutti costoro, perché queste persone che soffrono sono la carne di Cristo, e a noi che siamo su questa strada dell’unità farà bene toccare la carne di Cristo. Andare alle periferie, proprio dove ci sono tanti bisogni, o – diciamolo meglio – ci sono tanti bisognosi, tanti bisognosi… Anche bisognosi di Dio, che hanno fame – ma non di pane, ne hanno tanto di pane – di Dio! E andare là, per dire questa verità: Gesù Cristo è il Signore e Lui ti salva. Ma sempre andare a toccare la carne di Cristo! Non si può predicare un Vangelo puramente intellettuale: il Vangelo è verità ma è anche amore ed è anche bellezza! E questa è la gioia del Vangelo! Questa è proprio la gioia del Vangelo.
In questo cammino abbiamo fatto tante volte la stessa cosa dei fratelli di Giuseppe, quando la gelosia e l’invidia ci hanno diviso. Loro sono arrivati prima a voler uccidere il fratello – Ruben è riuscito a salvarlo – e poi a venderlo. Anche il fratello Giovanni ha parlato di quella storia triste. Quella storia triste in cui il Vangelo per alcuni era vissuto come una verità e non si accorgevano che dietro questo atteggiamento c’erano cose brutte, cose non del Signore, una brutta tentazione di divisione. Quella storia triste, in cui pure si faceva la stessa cosa dei fratelli di Giuseppe: la denuncia, le leggi di questa gente: “va contro la purezza della razza…”. E queste leggi sono state sancite da battezzati! Alcuni di quelli che hanno fatto questa legge e alcuni di quelli che hanno perseguitato, denunciato i fratelli pentecostali perché erano “entusiasti”, quasi “pazzi”, che rovinavano la razza, alcuni erano cattolici… Io sono il pastore dei cattolici: io vi chiedo perdono per questo! Io vi chiedo perdono per quei fratelli e sorelle cattolici che non hanno capito e che sono stati tentati dal diavolo e hanno fatto la stessa cosa dei fratelli di Giuseppe. Chiedo al Signore che ci dia la grazia di riconoscere e di perdonare… Grazie!
Poi il fratello Giovanni ha detto una cosa che condivido totalmente: la verità è un incontro, un incontro tra persone. La verità non si fa in laboratorio, si fa nella vita, cercando Gesù per trovarlo. Ma il mistero più bello, più grande è che quando noi troviamo Gesù, ci accorgiamo che Lui ci cercava da prima, che Lui ci ha trovato da prima, perché Lui arriva prima di noi! A me, in spagnolo, piace dire che il Signore ci primerea. E’ una parola spagnola: ci precede, e sempre ci aspetta. Lui è prima di noi. E credo che Isaia o Geremia – ho un dubbio – dice che il Signore è come il fiore del mandorlo, che è il primo che fiorisce nella primavera. E il Signore ci aspetta! E’ Geremia? Sì! E’ il primo che fiorisce in primavera, è sempre il primo.
Questo incontro è bello. Questo incontro ci riempie di gioia, di entusiasmo. Pensiamo a quell’incontro dei primi discepoli, Andrea e Giovanni. Quando il Battista diceva: “Ecco l’agnello di Dio, che toglie i peccati dal mondo”. E loro seguono Gesù, rimangono con Lui tutto il pomeriggio. Poi, quando escono, quando tornano a casa, dicono: “Abbiamo sentito un rabbino”… No! “Abbiamo trovato il Messia!”. Erano entusiasti. Alcuni ridevano… Pensiamo a quella frase: “Da Nazareth può venire qualcosa di buono?”. Non credevano. Ma loro avevano incontrato! Quell’incontro che trasforma; da quell’incontro viene tutto. Questo è il cammino della santità cristiana: ogni giorno cercare Gesù per incontrarlo e ogni giorno lascarsi cercare da Gesù e lasciarsi incontrare da Gesù.
Noi siamo in questo cammino dell’unità, tra fratelli. Qualcuno sarà stupito: “Ma, il Papa è andato dagli evangelici”. E’ andato a trovare i fratelli! Sì! Perché – e questo che dirò è verità – sono loro che sono venuti prima a trovare me a Buenos Aires. E qui c’è un testimone: Jorge Himitian può raccontare la storia di quando sono venuti, si sono avvicinati… E così è cominciata questa amicizia, questa vicinanza fra i pastori di Buenos Aires, e oggi qui. Vi ringrazio tanto. Vi chiedo di pregare per me, ne ho bisogno… perché almeno non sia tanto cattivo. Grazie!
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MASSIMO FAGGIOLI, Europa, 28 luglio 2014
Papa Francesco è un papa che non va in vacanza: uno dei tanti elementi della sua cultura anti-borghese e radicalmente evangelica. Questa sua identità cristiana è anche ecumenica senza imbarazzi, e lo si è visto dalla visita alla comunità cristiana pentecostale di Caserta: una visita importante per molti motivi, due in particolare.
Un primo motivo riguarda il messaggio che questa visita papale trasmette al mondo dell’ecumenismo mondiale e all’ecumenismo cattolico. Il cristianesimo pentecostale è quella parte del cristianesimo mondiale in forte crescita in tutto il mondo, tranne l’Europa, ed è quella parte di cristianesimo con cui è più difficile dialogare, specialmente per la chiesa cattolica: frammentato in mille rivoli (per scelta, non per caso), privo di una gerarchia chiaramente identificabile (ancora una volta, non per caso), mutevole a seconda delle latitudini.
Papa Francesco relativizza in misura senza precedenti le evidenti difficoltà teologiche di dialogo con queste chiese (ora in crescita anche in Italia, pur se in misura minore che in Africa, Asia e le Americhe), dimostrando ancora una volta la differenza portata in Vaticano da un papa proveniente dal sud del mondo.
Non è solo un ecumenismo dei rapporti personali: Francesco torna all’ecumenismo delle origini, di matrice “faith and work”, basato sullo scambio e sulla cooperazione fraterna, ma senza dimenticare le aperture rese possibili dalla svolta ecumenica del concilio Vaticano II.
Il secondo motivo è legato a quanto Francesco ha detto ai fratelli incontrati a Caserta, in merito alle leggi fasciste contro le minoranze religiose. Non è solo una richiesta di perdono, ma è anche una rilettura della storia dei rapporti tra chiesa cattolica, fascismo, e altre presenze religiose in Italia – un paese in cui, al contrario di molte altre democrazie avanzate, non c’è ancora una legge vera e propria sulla libertà religiosa.
In Italia in materia di libertà religiosa c’è a tutt’oggi un vuoto legislativo che sta ancora a cuore a molti cattolici, segretamente contenti di poter contare sul privilegio accordato alla chiesa cattolica romana dalla legislazione e dal quadro politico. È un segreto ancora ben custodito alla gran parte del popolo cattolico che in Italia, ancora dopo la Seconda guerra mondiale, i non cattolici erano soggetti a vessazioni e controlli tipici di un regime dittatoriale: la lunga durata del fascismo nell’Italia repubblicana e democristiana.
Proprio nel giorno dell’anniversario della Prima guerra mondiale, Francesco trae delle conclusioni di prima rilevanza per la politica vaticana circa i rapporti tra chiesa e regimi politici: viene qui a ulteriore maturazione la svolta del Vaticano II per una chiesa “post-costantiniana”, cioè di una chiesa che archivia nel museo della storia l’interessata protezione accordata alla chiesa dai regimi illiberali.
Ci voleva un papa non europeo per toccare apertis verbis il nervo scoperto dei prezzi pagati dalla credibilità della chiesa ai “cattolicesimi di regime” nel secolo Ventesimo.
@MassimoFaggioli
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Incontro con i presbiteri della diocesi di Caserta, 26 luglio 2014
Il dialogo è tanto importante, ma per dialogare sono necessarie due cose: la propria identità come punto di partenza e l’empatia con gli altri.
Se io non sono sicuro della mia identità e vado a dialogare, finisco per barattare la mia fede. Non si può dialogare se non partendo dalla propria identità, e l’empatia, cioè non condannare a priori. Ogni uomo, ogni donna ha qualcosa di proprio da donarci; ogni uomo, ogni donna, ha la propria storia, la propria situazione e dobbiamo ascoltarla. Poi la prudenza dello Spirito Santo ci dirà come rispondervi. Partire dalla propria identità per dialogare, ma il dialogo, non è fare l’apologetica, anche se alcune volte si deve fare, quando ci vengono poste delle domande che richiedono una spiegazione.
Il dialogo è cosa umana, sono i cuori, le anime che dialogano, e questo è tanto importante! Non avere paura di dialogare con nessuno. Si diceva di un santo, un po’ scherzando – non ricordo, credo fosse San Filippo Neri, ma non sono sicuro – che fosse capace di dialogare anche con il diavolo. Perché? Perché aveva quella libertà di ascoltare tutte le persone, ma partendo dalla propria identità. Era tanto sicuro, ma essere sicuro della propria identità non significa fare proselitismo. Il proselitismo è una trappola, che anche Gesù un po’ condanna, en passant, quando parla ai farisei e sadducei: “Voi che fate il giro del mondo per trovare un proselito e poi vi ricordate di quello …” Ma, è una trappola.
E Papa Benedetto ha un’espressione tanto bella, l’ha fatta ad Aparecida ma credo che l’abbia ripetuta in altra parte: “La Chiesa cresce non per proselitismo, ma per attrazione”. E cosa è l’attrazione? È questa empatia umana che poi viene guidata dallo Spirito Santo.
Pertanto come sarà il profilo del prete di questo secolo così secolarizzato? Un uomo di creatività, che segue il comandamento di Dio – “creare le cose” -; un uomo di trascendenza, sia con Dio nella preghiera, sia con gli altri, sempre; un uomo di vicinanza che si avvicina alla gente. Allontanare la gente non è sacerdotale e di questo atteggiamento la gente a volte è stufa, eppure viene da noi lo stesso. Ma chi accoglie la gente ed è vicino ad essa, dialoga con essa lo fa perché si sente sicuro della propria identità, che lo spinge ad avere il cuore aperto all’empatia.
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In un comunicato diffuso lo scorso venerdì, Kamel Kabtane, rettore della grande moschea di Lione, e Laid Bendidi, presidente del consiglio regionale del culto musulmano, esprimono la loro "solidarietà e la loro fraternità con i cristiani d'Oriente":
Ci teniamo a riaffermare, una volta di più, che ogni crimine di terrorismo è un'aggressione contro l'umanità intera. La tutela del culto di tutti i figli delle religioni monoteiste è allo stesso tempo una missione e un dovere per chiunque. In quanto musulmani ne siamo naturalmente sostenitori.
Ciò che i cristiani d'Oriente stanno subendo, così come lo riportano i mezzi di comunicazione, è inaccettabile e va condannato severamente e senza equivoco.
Va ricordato che le persecuzioni del nuovo califfato non colpiscono solo i cristiani, ma anche i sufi e i musulmani sciiti con la distruzione di moschee. Non è uno scontro di civiltà tra musulmani e cristiani, ma una divaricazione antropologica tra il fondamentalismo violento e la fede che tende alla convivenza pacifica.
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Un editoriale interessante. Alcuni passaggi andrebbero discussi, ma mi sembra interessante la sottolineatura che i cristiani perseguitati sono poveri nei paesi poveri. L'intolleranza e il fondamentalismo andrebbero quindi ricollegati anche al disinteresse dell'Occidente ricco (e cristiano) nei confronti di un'ampia parte del mondo e della sua popolazione.
CLAUDIO SARDO, l'Unità, 25 luglio 2014
Le immagini di Meriam a Roma con il marito e i due figli piccoli sono un simbolo. Un simbolo di libertà, davanti alle autentiche persecuzioni che centinaia di migliaia di cristiani (di diverse confessioni) patiscono oggi in varie parti del mondo e che talvolta, in Occidente, si fatica riconoscere come tali. Il governo Renzi ha ottenuto un risultato di grande valore etico e politico, portando in Italia, su un aereo della presidenza del Consiglio, questa giovane donna condannata a morte in Sudan per apostasia, cioè in quanto cristiana, e costretta a sofferenze in carcere anche quando era incinta dei suoi bambini. Del resto, il premier italiano l’aveva detto chiaramente a Strasburgo inaugurando il semestre di presidenza italiana: se l’Europa non è capace di indignarsi e di reagire di fronte a casi come quelli di Meriam, o di Asia Bibi in Pakistan (anche lei in carcere perché cristiana), o delle ragazze nigeriane detenute da Boko Haram, «allora l’Europa non è degna del proprio destino». E’ questo uno dei grandi temi del nostro tempo.
Meriam è sbarcata a Ciampino grazie al lavoro della Farnesina, della ministra Mogherini, e in particolare del viceministro Pistelli che ha personalmente condotto con le autorità sudanesi le trattative per l’espatrio. In quel Paese il radicalismo islamico si sta facendo più aggressivo, il presidente Omar al Bashir è inseguito da un mandato di cattura internazionale per genocidio in Darfur, e tuttavia in Sudan la persecuzione religiosa non è neppure tra le più sanguinose. Molto peggio vanno le cose in Siria e in Iraq, a Mosul, dove il califfo al Baghdadi spinge apertamente i suoi all’eliminazione dei cristiani: uccisioni, intimazioni alla fuga, segni sulle porte delle case. In Siria – dove da tempo è stato rapito un uomo di pace come padre Dall’Oglio – vivevano prima della guerra cristiani sirio-ortodossi, e anche cattolici. In Iraq la presenza ortodossa e caldea era più che millenaria. Ora i pochi rimasti sono trincerati in Kurdistan. E l’avanzata jihadista, anzi lo scontro tra i sunniti, sta occupando l’intera scena nel segno del più intransigente totalitarismo religioso.
L’incendio dal Medio-Oriente si propaga in Asia e in Africa. L’integralismo religioso è il motore politico delle componenti più radicali. Mentre la speranza laica delle Primavere arabe è stata sconfitta. Persino la contrapposizione storica tra sciiti e sunniti non è più in grado da sola di spiegare quel che accade, ora che nel campo sunnita si è aperta la battaglia più feroce. Tutte prove ulteriori, se ancora ve ne fosse bisogno, di quanto folle sia stata la guerra in Iraq decisa da Bush e Blair.
Papa Francesco aveva detto un paio di mesi fa che «ci sono più martiri cristiani oggi che nei primi tempi della Chiesa». Affermazione incontestabile sul piano dei numeri. Il Medio-Oriente resta l’epicentro del terremoto. E tuttavia i cristiani vivono sopraffazioni e limitazioni della propria libertà non solo nel mondo islamico ma anche in altri Paesi totalitari, dove la libertà religiosa è mal sopportata o esplicitamente negata come la Cina.
I «martiri» cristiani del XXI secolo sono quasi tutti poveri. La persecuzione colpisce i più umili. Segno evangelico, per chi crede. Ma forse questa è anche una ragione dello scarso interesse nelle società ricche (dove pure i cristiani sono una minoranza cospicua, e politicamente influente). Eppure il tema religioso ha una sua forte valenza geopolitica. Non si tratta certo di ingaggiare una nuova guerra di civiltà, dopo i danni del passato. La reazione non può essere quella di contrapporre all’estremismo jjhadista l’integralismo cristiano, o peggio la cultura della crociata. Al contrario, il tema è come aprire canali di dialogo tra le religioni, come dar voce a quella parte del mondo islamico che non segue l’idea della guerra santa per eliminare tutti gli infedeli. Non è una piccola parte. E proprio le comunità di immigrati in Europa possono svolgere un ruolo importante per ridurre i pregiudizi e aprire un confronto sulla laicità degli Stati e sulla convivenza tra culture diverse.
Stiamo parlando di una questione decisiva per il futuro dell’umanità. Senza un dialogo tra le religioni rischiamo di precipitare in un conflitto globale. E senza il riconoscimento della libertà religiosa, come libertà fondativa delle libertà umane, sarà difficile preservare i valori della convivenza e della pace. E’ la distinzione tra Cesare e Dio che porta alla democrazia. Bisogna dirlo in un’Europa dove talvolta c’è fastidio a parlare della proiezione pubblica delle fedi religiose. Bisogna dirlo anche se ciò non può essere imposto con la forza, né con l’integralismo degli Stati confessionali. La libertà richiede adesione. La laicità non è rifiuto del religioso, ma riconoscimento pieno della libertà di tutte le coscienze. Il governo Renzi fa bene a tenere alto questo simbolo. In Occidente il tema è sottovalutato. La sfida di oggi è affrontarlo senza crociate.
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