Si è concluso oggi al monastero di Bose il convegno liturgico internazionale su "Liturgia e cosmo". Per l'occasione, sto proponendo a puntate un mio testo del 2012, "Per una liturgia della creazione".
Sul senso e sul fine dell’agire umano nell’economia creazionale, risulta particolarmente interessante il contributo del teologo ortodosso Ioannis Zizioulas, metropolita di Pergamo.
Se Teilhard ha formulato il proprio pensiero teologico a partire da una lettura del fenomeno evolutivo, Zizioulas attinge direttamente alla tradizione della chiesa antica e dalla sua esperienza liturgica, pervenendo a conclusione analoghe a quelle del gesuita francese, come si intuisce fin dal titolo della sua opera Il creato come eucaristia[1].
Zizioulas nota che tutte le liturgia della chiesa primitiva, e quelle orientali in particolar modo, comprendevano una santificazione della materia e del tempo, nonché un coinvolgimento di tutti i sensi umani nell’evento liturgico: gli occhi per mezzo delle icone e delle vesti liturgiche, gli orecchi attraverso gli inni e la salmodia, il naso mediante l’odore dell’incenso e così via. Inoltre, rileva che nelle liturgie dei primi secoli sembra essere centrale l’anafora, l’elevazione dei doni del pane e del vino al Padre Creatore, più che la consacrazione in sé e l’anamnesi della Croce. Il rito stesso prendeva il nome di anafora, o anche di rendimento di grazie (eucaristia), come manifestazione di questa centralità della “riofferta” a Dio del pane e del vino, che rappresentavano l’intera creazione, di cui l’uomo era il ministro nella sua azione sacerdotale.
Questo ruolo dell’uomo era ed è giustificato dall’incarnazione, dalla croce e dalla risurrezione. Senza eliminare l’alterità tra creatore e creazione, in Cristo «è nell’essere umano che va cercato il ponte tra Dio e il mondo, ed è precisamente questo fatto che rende l’uomo responsabile del destino della creazione»[2].
Ricollegandosi all’antica tradizione liturgica, Zizioulas considera la liturgia, nella prassi, come l’accettazione più positiva del mondo e della creazione. Chi partecipa alla liturgia porta con sé il mondo e il proprio rapporto con esso; i fedeli non vengono soli in chiesa, bensì recano con sé i doni della creazione: il pane, il vino e l’olio. Queste realtà non vengono offerte nella celebrazione affinché i fedeli dimentichino i propri bisogni quotidiani, ma per pregare per una serie di cose molto concrete, come la salubrità del clima, l’abbondanza dei frutti della terra, i naviganti, i viandanti, i sofferenti… La liturgia non è fuga dal mondo. È al contrario un corteo di tutto il mondo verso la santa Tavola dell’altare, perché possa diventare ciò che è ontologicamente nelle intenzioni di Dio, al di là delle deformazioni del peccato.
Qui c’è una visione del soprannaturale diversa rispetto a come è compreso dall’uomo moderno, e anche come è stato inteso anche dalla teologia cristiana per alcuni secoli, cioè come un qualcosa che si trova “al di là” della natura e che perciò il pensiero scientifico non riesce a concepire. «In una visione liturgica del mondo, tuttavia, non esistono il naturale e il soprannaturale; esistono la natura e la creazione come un’unica realtà, che proviene da Dio e viene offerta a Dio; esiste un incontro completo, fino all’identità, del celeste con la realtà terrena […]»[3].
In Cristo, Dio è divenuto uomo e l’uomo può divenire Dio. La fede cristiana è comunione, è relazione tra umanità e divinità e la liturgia è il luogo dove questa realtà di comunione è percepibile nei segni. In questa realtà di comunione, l’uomo non è un individuo solo, isolato, di fronte a Dio, ma è coinvolto nella sua relazione con l’umanità tutta e con il mondo.
Il dono dello Spirito, che ha luogo nei sacramenti, rende l’uomo persona, così come Dio è persona, e non più solo individuo. È nella dimensione personale che si realizza l’imago Dei nell’uomo (cfr. Gen 1,27), più che nella sola razionalità, come ha ritenuto Boezio e dopo di lui il pensiero moderno. Se la relazione nei confronti del creato fosse concepita solo in termini di uso della ragione, il compito dell’uomo consisterebbe nell’interpretare il libro della natura la quale rimane di fronte a lui come una realtà altra da sé che, una volta compresa e decifrata, può essere custodita o sfruttata.
Il discorso cambia, se lo si considera nella prospettiva personale. La persona si distingue dall’individuo, perché non può essere compresa isolatamente, ma soltanto in relazione a qualcosa d’altro o a qualcun altro: l’uomo è “altro” rispetto alla natura non separandosi, ma ponendosi in relazione con essa, perché la relazione scaturisce dalla comunione a cui Dio chiama l’umanità e il creato tutto intero. Non è casuale che, nel racconto, jahwista della creazione (Gen 2,4b-24), la creazione dell’uomo sia raccontata in relazione con la terra – egli è ‘adam perché è tratto dalla ‘adamah – e che nella narrazione sia racchiusa una teologia dell’alleanza: alleanza tra Dio e l’umanità tutta, ma anche con la creazione[4]. Il comando divino di coltivare e custodire il giardino non assegna all’uomo un arbitrio illimitato, non lo rende padrone del creato, ma lo associa all’atto divino di favorire la vita, di farla crescere.
«L’uomo è dunque, nel suo ruolo, di sacerdote del creato, anche un creatore»[5].
Nella liturgia avviene quello che è il compito peculiare dell’uomo, secondo la prospettiva personalista della comunione e dell’alleanza. Quando egli prende fra le mani la creazione, non vede ogni essere, animato o inanimato, come un oggetto, un numero nelle statistiche, ma come un essere unico e insostituibile. La creazione stessa assume una dimensione personale, viene per così dire umanizzata. Non solo perché viene elevata al livello dell’umanità, ma perché l’uomo la coglie come una totalità, come una cattolicità di entità in reciproca relazione. Egli assume così lo sguardo di Dio e agisce per far raggiungere alla creazione la sua pienezza, diviene un ponte per la sua comunione con Dio, di cui Cristo costituisce il modello.
(4. Continua)
V. anche: La creazione in comunione con Dio e con l'uomo; Creazione e dimensione liturgica; Pierre Teilhard de Chardin e la consacrazione del cosmo.
[1] I. Zizioulas, Il creato come eucaristia. Approccio teologico al problema ecologico, Qiqajon, Bose 1994.
[2] Ibid., p. 45.
[3] Ibid., p. 78.
[4] Cfr. E. Bianchi, Adamo, dove sei?Commento esegetico-spirituale ai capitoli 1-11 del libro della Genesi, Qiqajon, Bose 1999, pp. 170-187.
[5] I. Zizioulas, op.cit., p. 67.