Christian Albini, VINO NUOVO, 28 gennaio 2014
Sul recente documento della Commissione teologica internazionale che affronta il tema del rapporto tra monoteismo cristiano e violenza.
La fede in Dio è causa di violenza o antidoto alla violenza?
Lo scrittore portoghese José Saramago, premio Nobel per la Letteratura, in un suo articolo ha scritto: «Le religioni, tutte, senza eccezione, non serviranno mai per avvicinare e riconciliare gli uomini e, al contrario, sono state e continuano a essere causa di sofferenze inenarrabili, di stragi, di mostruose violenze fisiche e spirituali che costituiscono uno dei più tenebrosi capitoli della misera storia umana».
La frase esprime bene l'accusa gravissima, condivisa da molte persone, che una componente della cultura laica muove alla fede religiosa. In particolare, è il monoteismo a essere posto sul banco degli imputati: la fede in un Dio unico implicherebbe una visione assolutista e intollerante della verità traducendosi comportamenti oppressivi e persecutori.
Una risposta è venuta dal recente testo della Commissione Teologica Internazionale, un organismo vaticano che riunisce studiosi di tutto il mondo per affrontare tematiche di particolare importanza, pubblicato il 17 gennaio: Dio trinità, unità degli uomini. Il monoteismo cristiano contro la violenza. I trenta teologi che lo hanno redatto hanno esaminato i fondamenti biblici e teologici di una lettura autenticamente cristiana della realtà della violenza e invitato il pensiero filosofico e politico contemporaneo a uscire da una prospettiva pregiudizialmente ostile alla fede religiosa, nonché a essere altrettanto attento ai rischi di negazione della dignità umana di cui esso stesso è portatore, in vista di un dialogo costruttivo.
I punti cruciali del discorso, a mio avviso, sono in estrema sintesi tre:
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Aspetto biblico. La fede cristiana riconosce nella persona di Gesù Cristo la pienezza della rivelazione monoteista, il cui vertice è la Croce, manifestazione di un amore che non cerca il dominio e «rende per sempre contraddittoria la violenza tra gli uomini "in nome di Dio"» (n. 38).
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Aspetto teologico. Il monoteismo trinitario crede in un Dio che è comunione, amore che unisce: è questa la comprensione teologica della fede in Gesù che «rende ragione dell'eterna positività e dignità dell'altro» (n. 90). La prassi di Gesù è fondata teologicamente nel Dio Trinità, la cui unica potenza è l'amore che agisce nella Risurrezione.
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Aspetto ecclesiologico. Si tratta di un volto e di uno stile di chiesa coerenti con questa fede. «L'icona ecclesiale, dal canto suo, deve suscitare l'immagine di una religio che si è definitivamente congedata - in anticipo sulla storia che deve seguire - da ogni strumentale sovrapposizione della sovranità politica e della Signoria di Dio» (n. 100).
Per la fede cristiana, insomma, che unisce inseparabilmente amore di Dio e amore del prossimo, ogni violenza in nome di Dio è una corruzione dell'esperienza religiosa.
Il documento è stato discusso da Vito Mancuso (la Repubblica, 22 gennaio), il quale lamenta troppa reticenza sulla storia di violenza che ha accompagnato il cristianesimo e una considerazione insufficiente delle altre religioni, soprattutto quelle orientali, di cui non riconoscerebbe il raggiungimento dell'ideale nonviolento in anticipo rispetto al cristianesimo. E conclude: «L'intento della Cti è più che lodevole, ma su temi tanto delicati la Chiesa di papa Francesco avrebbe meritato un documento diverso, più umile sul passato e più coraggioso sul presente, capace così di vero dialogo con i non cristiani e di smuovere le acque nella Chiesa».
A mio avviso Mancuso ha accentuato troppo i demeriti del testo rispetto ai meriti, pur avendo fatto delle osservazioni condivisibili. Io lo considererei una tappa in un itinerario da proseguire.
Da un certo punto di vista, non dice niente di nuovo, perché contiene posizioni che sono già parte del dibattito teologico dell'ultimo mezzo secolo. Con una novità rilevante, però: le attesta ormai come parte integrante e decisiva della fede cristiana. Non dimentichiamoci che a lungo non è stato così e che ancora oggi molti cattolici giudicano pace e nonviolenza come questioni secondarie. Penso al testo di Thomas MertonLa pace nell'era post-cristiana (Qiqajon), che era una presa di posizione contro le armi atomiche e le giustificazioni date dai cattolici occidentali al loro proliferare, scritto negli anni Sessanta e stampato solo nel 2004. L'ordine trappista a cui Merton apparteneva ne bloccò la pubblicazione e il testo circolò di mano in mano attraverso fotocopie e ciclostilati. Merton ha anticipato molto di quello che dice oggi la Commissione.
Il documento parla della violenza come di una tentazione perenne per la religione cristiana e si sofferma su un processo di conversione e purificazione che non si deve considerare concluso. I cattolici che vorrebbero armarsi contro un nemico sono fortuntamente rari, ma c'è una violenza più sottile e diffusa fatta di parole, atteggiamenti, modi di relazionarsi. È quella a cui fa riferimento papa Francesco quando dice di evitare il proselitismo, l'ingerenza spirituale, la costruzione di muri di risentimento piuttosto che ponti di dialogo...
Proprio per questo sarebbe stato utile che il documento, oltre a riconoscere che c'è stata una compromissione del cristianesimo con la violenza religiosa che oggi si sta abbandonando (affermazioni importante), entrasse più nello specifico del passato, ma anche del presente. Il rischio è quello di fare affermazioni condivisibili, senza però calarle nella storia e ogni buon discorso teologico oggi non può prescindere da un'aderenza storica, limitandosi a presentare dei concetti. Bisogna invece saper identificare le violenze da abbandonare.
Dell'aderenza storica fa parte anche una visione equilibrata della propria epoca. Il testo sembra attribuire il pregiudizio contro il monoteismo a una cultura moderna genericamente associata a un relativismo radicale. Faccio solo un nome per farmi capire: uno come Habermas, in quanto rappresentativo di una corrente importante del pensiero occidentale, è tutt'altro che un relativista. Attenzione a queste etichette usate alla leggera! Mi sembra più obiettivo Pierangelo Sequeri - il quale ha partecipato alla stesura - quando afferma che questa ostilità appartiene a una parte dell'intellighenzia occidentale e non a tutta indiscriminatamente. Così come in termini di presa di coscienza della violenza religiosa la modernità ha comunque provocato positivamente il cristianesimo.
Un altro aspetto toccato da Mancuso riguarda le altre religioni, la cui storia ha comunque anche delle ombre. Resta vero, però, che nel nostro tempo l'adesione cristiana alla nonviolenza deve molto a stimoli che vengono dal di fuori. Basti pensare all'influenza di Gandhi su figure come Mazzolari e Martin Luther King. Sequeri lo riconosce implicitamente, quando dice che un linguaggio di fede nonviolento è un linguaggio obiettivamente cristiano, da qualunque parte provenga. Però, al tempo della convivenza di culture la teologia cristiana deve essere necessariamente teologia comparata: abbiamo bisogno di conoscenza delle altre fedi e confronto serio con esse, per riconoscere i doni dello Spirito di cui sono depositarie, come già invitava a fare il Vaticano II. Altrimenti, perché ci lamentiamo dei pregiudizi che altri hanno nei nostri confronti?
È vero, infatti, che il documento della Commissione ha una valenza in primo luogo intraecclesiale, ma nel momento in cui vuole sollecitare il dialogo, la teologia non può considerare sommariamente le altre visioni del mondo. E soprattutto deve porre attenzione al linguaggio. Ci sono esigenze dottrinali di chiarezza ed esattezza per non suscitare ambiguità, ma una teologia che non si vuole relegare in un proprio cantuccio deve essere accessibile. Molti passi del documento sono invece incomprensibili per chi non padroneggia una certa terminologia e un certo apparato concettuale. Così non si aiuta la Chiesa a "uscire da sé".
Ecco perché considero il testo come parte di un cammino che va proseguito, soprattutto quando ricorda che non ci può essere commistione tra potenza divina e potere mondano, rifiutata radicalmente da Gesù. Sappiamo leggere davvero i cedimenti al potere dentro e fuori le nostre comunità?