Lorenzo Biondi, EUROPA, 12 dicembre 2013
È un passaggio breve, nella lunghissima esortazione Evangelii gaudium. Papa Francesco accenna al ruolo del movimenti ecclesiali nella Chiesa. Esprime apprezzamento per quella «ricchezza della Chiesa», per il loro «fervore evangelizzatore». Poi aggiunge: «Ma è molto salutare che non perdano il contatto con questa realtà tanto ricca della parrocchia del luogo, e che si integrino con piacere nella pastorale organica della Chiesa particolare. Questa integrazione eviterà che rimangano solo con una parte del Vangelo e della Chiesa, o che si trasformino in nomadi senza radici». E lo ripete una seconda volta, più avanti, negli stessi termini.
Non è un dettaglio di poco conto, e lo si capisce bene sfogliando l’ultimo libro di Massimo Faggioli (Nello spirito del Concilio. Movimenti ecclesiali e recezione del Vaticano II, San Paolo, 150pp., 17,50 euro), seconda puntata di un lungo lavoro di ricerca sul peso dei movimenti nella Chiesa di oggi. Un peso che è diventato determinante durante il pontificato di Giovanni Paolo II, ribattezzato «il papa dei movimenti».
A Loreto, nel 1985, papa Wojtyla li aveva definiti «canale privilegiato» per la formazione dei laici cattolici. Di fronte alla crisi delle parrocchie e dell’associazionismo cattolico tradizionale, il pontefice polacco aveva individuato un’alternativa. I movimenti diventano il modello di un’altra Chiesa, con strutture distinte – in alcuni casi – da quelle delle diocesi.
È il caso dell’Opus Dei, «prelatura personale» del papa: il rapporto col pontefice è diretto, non mediato dai vescovi e dalle altre gerarchie. Ed è il significato della proposta avanzata dal settimanale ciellino Il Sabato, nel 1982, di nominare un vescovo apposito per i movimenti, indipendente dalla giurisdizione delle Chiese locali. I critici, come Carlo Maria Martini, parlano esplicitamente della tentazione di istituire delle «Chiese parallele».
L’esortazione di papa Francesco esalta, non contesta, il pluralismo della Chiesa, l’esistenza di «carismi» diversi. Ma questa «varietà» – e qui l’analisi di Faggioli viene in aiuto – può portare più frutto se si inserisce nella vita delle parrocchie, delle Chiese locali, piuttosto che nella ricerca di un rapporto diretto col Santo Padre. In qualche modo Francesco si mette nel solco di Paolo VI, ad esempio nel tentativo di appianare i contrasti tra Comunione e liberazione e la gerarchia nella “sua” Milano.
Quel breve passaggio della Evangelii gaudium può essere la base per un’altra delle tante “svolte” di papa Francesco. Anche se la questione dei movimenti, e il problema del loro rapporto con l’istituzione e le Chiese locali, in parte era stata già posta da Benedetto XVI.
Faggioli vede nel papato di Ratzinger una sostanziale continuità con quello di Giovanni Paolo II sul tema dei movimenti. Il papa tedesco riconosce la «molteplicità» delle esperienze di fede, che convivono, come in un «condominio», sotto il tetto comune della Chiesa cattolica. Allo stesso tempo però vede i «pericoli», mette in guardia i movimenti dai «particolarismi» e dai «rischi di chiusura». Se i movimenti si aggrappano ad una parte sola del Vangelo (per dirla con papa Francesco) perdono anche parte della loro ricchezza.
Così Benedetto sanziona il fondatore dei Legionari di Cristo, Marcel Maciel, ma non manca di attribuire a personalità che provengono dai movimenti ruoli di spicco nel governo della Chiesa. «Chi si attendeva da Benedetto XVI un cambio di rotta sui movimenti – commenta Faggioli – è rimasto deluso. È chiara al papa la problematicità dell’inserimento dei movimenti nelle Chiese locali», ma non si configura «un’inversione di tendenza».
Sta di fatto che papa Ratzinger, segnalando il problema, indica – magari solo per accenni – anche la risposta. Spetta a Francesco, dopo le dimissioni del suo predecessore, proseguire su quella strada.
@lorbiondi
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