«L’ideologia marxista è sbagliata. Ma nella mia vita ho conosciuta tanti marxisti buoni come persone, e per questo non mi sento offeso».
Questa frase di papa Francesco, nell’intervista su La Stampa del 15 dicembre 2013, ha fatto il giro del mondo. Il riferimento è alle polemiche sollevate da alcuni ambienti conservatori, per lo più statunitensi, che lo hanno accusato di essere marxista per le sue prese di posizione in materia sociale, soprattutto nel quarto capitolo della Evangelii Gaudium (nn. 176-258). Da sempre, il Vangelo è una contestazione del potere e della ricchezza iniqua, ma quando lo si ricorda ci sono reazioni di rifiuto proprio da parte di chi corteggia la chiesa cattolica sui temi etici. È un fatto che dovrebbe far ricordare come non si possa identificare la fede cristiana con l’adesione a un’ideologia politica o economica.
Il capitolo dedicato alla dimensione sociale dell’evangelizzazione è il più esteso dell’esortazione apostolica, a dimostrazione di quanto il tema stia a cuore al papa. I paragrafi iniziali ne spiegano le motivazioni.
Alla radice c’è il contenuto sociale del kerygma, del primo annuncio, perché nel Vangelo sono essenziali la vita comunitaria e l’impegno con gli altri (cfr. EG 177). Poiché Dio è Trinità, comunione di amore, ci ha voluti e ci ama in comunione, insieme: da soli non c’è vera umanità, da soli non c’è salvezza.
Comprendere che siamo amati gratuitamente da Dio ci apre a dare e ricevere amore nei rapporti con gli altri (cfr. EG 178). «La Parola di Dio insegna che nel fratello si trova il permanente prolungamento dell’Incarnazione per ognuno di noi» (EG 179; cfr. Mt 25,40). La vita di Dio è “uscita da sé” verso l’altro, e solo nell’uscire da noi stessi realizziamo pienamente la nostra vita, perché non ci rinchiudiamo nella stagnazione e nell’isolamento.
Si parla, beninteso, di un amore concreto, che non ha nulla di sentimentale. Quando Gesù annunciava il regno di Dio, faceva riferimento a un’umanità che sa vivere in giustizia, fraternità, pace, dignità per tutti (cfr. EG 180). Ecco perché la chiesa cattolica non può accontentarsi di insegnare dottrine, ma deve essere esperienza di immersione in tutto ciò che è umano.
Da qui deriva la partecipazione dei credenti e dei pastori al confronto pubblico, in nome dell’uomo e non per acquisire una rilevanza sociale, per contribuire alla costruzione di un mondo migliore e non per esercitare un’egemonia etica (cfr. EG 182-183). Il punto di riferimento è l’insegnamento sociale della chiesa cattolica, ma con una specificazione decisiva: «né il Papa né la Chiesa posseggono il monopolio dell’interpretazione della realtà ecclesiale o della proposta di soluzione per i problemi contemporanei. Posso ripetere qui ciò che lucidamente indicava Paolo VI: “Di fronte a situazioni tanto diverse, ci è difficile pronunciare una parola unica e proporre una soluzione di valore universale. Del resto non è questa la nostra ambizione e neppure la nostra missione. Spetta alle comunità cristiane analizzare obiettivamente la situazione del loro paese”» (EG 184; cfr. Paolo VI, enciclica Octogesima adveniens, 4).
Qui c’è una chiesa che si pone come voce dei senza voce, per richiamare i grandi principi della dignità umana, ma allo stesso tempo rinuncia a porsi come autorità sovralegislativa che pretende di determinare norme e decisioni. Non c’è un ordine politico ed economico che si può dedurre dal messaggio cristiano nel quale trovare la risposta a tutte le problematiche sociali.
La chiave di lettura della dimensione sociale dell’evangelizzazione è l’assunzione del punto di vista dei poveri, l’ascolto del loro grido come fa il Dio biblico (cfr. EG 187; Es 3,7-8,10). Le ideologie dominanti escludono i soggetti deboli, si costruiscono sull’indifferenza. La solidarietà cristiana corrisponde perciò a una nuova mentalità, la cui logica è quella della comunità, della priorità della vita di tutti rispetto all’appropriazione dei beni da parte di alcuni (cfr. EG 188). Le conseguenze pratiche sono di vasta portata. Il papa, infatti, ricorda qui la funzione sociale della proprietà e la destinazione sociale dei beni come realtà anteriori alla proprietà privata, come affermato già dai padri della chiesa (cfr. EG 189).
È un principio che ha una radice spirituale, da cui deriva un vero e proprio cambio di prospettiva nella vita sociale ed economica e richiede trasformazioni strutturali nelle relazioni tra le persone e tra i popoli: «il pianeta è di tutta l’umanità e per tutta l’umanità» (EG 190) ed è pertanto necessario intervenire sulla iniqua distribuzione dei beni, del reddito e delle opportunità di accesso all’educazione, all’assistenza sanitaria e al lavoro (cfr. EG 191-192).
Da questo punto di vista, sbaglia chi tenta di minimizzare questo discorso presentandolo in chiave di appello a ricordarsi dei poveri, tralasciando però di mettere in discussione il sistema che produce quella stessa povertà. La carità viene così circoscritta a un’elemosina che affronta le emergenze e tranquillizza la coscienza, ma lascia i poveri nella loro condizione. La predicazione cristiana ha spesso indebolito e tralasciato il significato diretto ed eloquente della tradizione biblica e patristica sui temi della fraternità e della giustizia, preferendo concentrarsi su un messaggio religioso in senso stretto: «Non preoccupiamoci solo di non cadere in errori dottrinali, ma anche di essere fedeli a questo cammino di vita e di sapienza. Perché “ai difensori dell’ortodossia si rivolge a volte il rimprovero di passività, d’indulgenza o di colpevoli complicità rispetto a situazioni di ingiustizia intollerabili e verso i regimi politici che le mantengono”» (EG 194; cfr. Congregazione per la Dottrina della Fede, istruzione Libertatis nuntius, 18). Questo avviene per il contagio alienante della mentalità consumistica che distoglie dal volto dell’altro (cfr. EG 196).
Se assumere il punto di vista dei poveri corrisponde allo stile di Dio che manifesta una speciale predilezione per loro e si è fatto povero e servo per tutti noi, la chiesa deve assumere un’opzione per i poveri: essere chiesa povera e per i poveri che sa anche imparare da loro, lasciarsi evangelizzare, dal momento che la loro condizione gli permette di accedere a una propria sapienza nel conoscere Dio e la realtà fuori dal condizionamento illusorio del benessere (cfr. EG 198). Tornano qui le istanze maturate negli anni del Vaticano II attorno a personalità come Helder Camara e Giacomo Lercaro, a lungo lasciate nel silenzio, e che hanno dato impulso all’elaborazione della teologia della liberazione. Senza l’opzione per i poveri, l’annuncio del Vangelo è svuotato di significato (cfr. EG 199).
Sul piano della posizione della chiesa nel confronto pubblico, ciò si traduce in una contestazione dell’iniquità che è alla radice di tutti i mali sociali e si deve all’autonomia assoluta dei mercati e della speculazione finanziaria: il profitto per il profitto, il primato del profitto sulla persona, è il nome di questa iniquità (cfr. EG 202).
«Quante parole sono diventate scomode per questo sistema! Dà fastidio che si parli di etica, dà fastidio che si parli di solidarietà mondiale, dà fastidio che si parli di distribuzione dei beni, dà fastidio che si parli di difendere i posti di lavoro, dà fastidio che si parli della dignità dei deboli, dà fastidio che si parli di un Dio che esige un impegno per la giustizia. Altre volte accade che queste parole diventino oggetto di una manipolazione opportunista che le disonora» (EG 202).
Non si può confidare solo sulle forze cieche del mercato, anche perché di per sé non esistono. La realtà è fatta di relazioni che possono rispondere solo a criteri di potere e interesse, oppure essere in qualche modo orientate e regolate. È il compito della politica, che declina la carità a misura del bene comune, a patto che sappia assumere uno sguardo più alto del tornaconto personale, delle lotte di parte e dei calcoli elettorali (cfr. EG 204-206). Tutto ciò non può essere ignorato dalle comunità cristiane, se non vogliono cadere preda di una mondanità spirituale mascherata da pratiche religiose e discorsi vuoti (cfr. EG 207).
Papa Francesco chiude questa sezione del capitolo segnalando alcune fragilità di cui avere particolarmente cura ai nostri giorni: i migranti, da accogliere nella ricerca di nuove sintesi culturali, le vittime delle tratte, le donne che in quanto tali sono doppiamente svantaggiate, i nascituri, senza dimenticare le situazioni che spingono molte madri a cercare l’aborto, e l’insieme del creato di cui siamo custodi (cfr. EG 209-216).
Un altro aspetto della portata sociale del Vangelo è il suo essere seme di pace, a patto di intenderla non solo come assenza di conflitti, che può avvenire quando un parte si impone sulle altre (cfr. EG 217-218). La pace è una condizione per il conseguimento del bene comune, quando scaturisce dallo sviluppo integrale di tutti. Altrimenti, non si fa altro che creare i presupposti di nuove forme di violenza, come attesta la storia recente (cfr. EG 219).
Bergoglio propone quattro principi, ispirati alla dottrina sociale della chiesa, per la costruzione di una convivenza pacifica orientandosi tra le tensioni che attraversano la vita della società (cfr. EG 221).
- Il tempo è superiore allo spazio: significa lavorare a lunga scadenza, senza dare la precedenza ai risultati immediati e preoccupandosi di iniziare processi, più che occupare spazi (cfr. EG 222-225).
- L’unità prevale sul conflitto: quest’ultimo non va ignorato ma accettato, a patto di trasformarlo in anello di collegamento a un nuovo processo che conservi tutti i beni in gioco (cfr. EG 226-230). L’esperienza di Mandela in Sud Africa mi sembra un ottimo esempio.
- La realtà è più importante dell’idea: le elaborazioni concettuali aiutano a comprendere meglio la realtà, ma non possono adattarla a forza nei propri schemi, o degenerano in ideologie (cfr. EG 231-233).
- Il tutto è superiore alla parte: vuol dire saper riconoscere e perseguire il bene più grande che porta benefici a tutti e tiene conto di tutti (cfr. EG 234-237).
«L’evangelizzazione implica anche un cammino di dialogo» (EG 238). È la sezione finale del capitolo (nn. 238-257) che torna su una delle grandi svolte del Vaticano II: in una società pluralista la chiesa deve essere capace di un dialogo aperto e senza preconcetti. Non per strategia, ma perché è un’espressione intima e indispensabile della fede cristiana, come ha sottolineato Francesco scrivendo al giornalista Eugenio Scalfari.
È la questione, ancora da approfondire e sviscerare, del valore teologico del dialogo. L’esortazione indica varie soglie, che ripercorriamo brevemente.
L’annuncio del Vangelo della pace (cfr. Ef 6,15) è il dialogo consistente nella collaborazione con le autorità nazionali e internazionali in vista del bene comune (cfr. EG 239). Entro uno Stato e una società particolari è dialogo con le diverse forze sociali, proponendo con chiarezza i valori fondamentali dell’esistenza umana, ma senza pretendere di risolvere tutte le singole questioni (cfr. EG 240).
C’è poi il dialogo con la ragione e con le scienze, con cui la fede non si sente in opposizione, come ricerca di nuovi orizzonti del pensiero nel rispetto reciproco (cfr. EG 242-243).
Il dialogo ecumenico è un apporto all’unità della famiglia umana, cogliendo come un dono quello che lo Spirito ha seminato nei fratelli separati (cfr. EG 244-246).
Tra le altre religioni, un posto speciale ha l’ebraismo, la cui Alleanza con Dio non è mai stata revocata, e con cui esiste una ricca complementarietà nella lettura dei testi biblici in comune con la tradizioni cristiana (cfr. EG 247-248). Nel rapporto con ogni religione, l’ascolto reciproco può essere occasione di purificazione e arricchimento, che non si oppone all’evangelizzazione, ma ha particolare importanza la relazione con l’Islam: è importante assicurare la libertà dei cristiani vittime del fondamentalismo violento, distinguendolo dal vero Islam e da un’adeguata interpretazione del Corano che si oppone a ogni violenza (cfr. EG 247-253). In ogni religione si trovano canali suscitati dallo Spirito che incoraggiano il cammino verso Dio (cfr. EG 254).
Infine, c’è il dialogo che nasce dalla vicinanza con tutti i ricercatori sinceri di verità, bontà, bellezza e giustizia, anche se non si riconoscono in una fede religiosa, in cui si possono mettere in comune le rispettive scoperte (cfr. EG 257).
Le puntate precedenti di questa presentazione:
- guida alla lettura 1, guida alla lettura 2, guida alla lettura 3, guida alla lettura 4
Sui temi del rapporto tra fede cristiana, povertà ricchezza e sulla chiesa povera rinvio per un approfondimento al mio recente e-book:
Liberaci dal denaro. Fede, povertà e ricchezza da Gesù a papa Francesco.
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