Se l’evangelizzazione è una sfida che mette in crisi le sicurezze del passato e richiede un rinnovamento della chiesa cattolica e della pastorale, è indispensabile comprendere le ragioni di questo passaggio travagliato. È questo l’argomento del secondo capitolo dell’Evangelii Gaudium (nn. 50-109), divisibile in due parti: la prima è un’analisi del nostro tempo e dei cambiamenti che interpellano il nostro stile ecclesiale (nn. 52-75), mentre la seconda è dedicata alle patologie che dentro la chiesa rendono poco credibile o efficace l’annuncio (nn. 76-109).
Papa Francesco è consapevole che in molti documenti ecclesiali c’è un eccesso di analisi, senza una corrispondente offerta di proposte adeguate. Egli infatti dichiara che non è suo compito offrire una lettura completa e dettagliata della realtà contemporanea ed esorta tutte le comunità cristiane a impegnarsi a propria volta nella lettura dei “segni dei tempi”. Questa espressione, proveniente dal Vangelo (cfr. Mt 16,2-3), è stata impiegata in particolare nella teologia francese del Novecento ed è divenuta ricorrente nel linguaggio di papa Giovanni XXIII, il quale se ne avvalse per descrivere le tracce nascoste della venuta del Signore nel mondo che solo lo sguardo di fede sa riconoscere. Uno sguardo che sa cogliere il positivo attorno a sé e non è condizionato da un pregiudizio di contrapposizione tra la chiesa e la modernità.
Non si tratta di elaborare interpretazioni sociologiche, quanto di operare un “discernimento evangelico” (EG 50), cioè saper leggere il proprio mondo e il proprio tempo con occhi allenati dall’ascolto della Parola e dalla preghiera. Più che emanare giudizi e direttive, bisogna riconoscere che cosa va nella direzione del Regno di Dio e che cosa no, che cosa ci rende più umani e che cosa invece ci disumanizza, a prescindere dal fatto che abbia o meno un’etichetta cattolica. Ecco perché la priorità di Francesco, nel descrivere la nostra epoca, è evidenziare gli effetti perversi di quella che definisce “cultura dello scarto”.
«Così come il comandamento “Non uccidere” pone un limite chiaro per assicurare il valore della vita umana, oggi dobbiamo dire “no a un’economia dell’esclusione e dell’iniquità”. Questa economia uccide. Non è possibile che non faccia notizia il fatto che muoia un anziano ridotto a vivere per strada, mentre lo sia il ribasso di due punti di borsa. Questo è esclusione. Non si può più tollerare il fatto che si getti il cibo, quando c’è gente che soffre la fame. Questo è iniquità» (EG 53).
Qui si chiarisce che cosa sia il male del relativismo: non è una sorta d’inferiorità etica di chi non condivide la visione del mondo cattolica, come spesso è stato inteso usandola quale arma dialettica nei dibattiti pubblici. C’è stato un uso di questo concetto tale per cui il disaccordo con l’etica cattolica è stato inteso come relativismo, come assenza di valori e del senso della verità e del bene. Papa Francesco presenta piuttosto il relativismo come non riconoscimento della persona umana e del suo volto, al punto da considerarla irrilevante, persino nella sua indifferenza.
Alla radice c’è un’idolatria del denaro, un nuovo dio a cui si offrono sacrifici umani: l’esclusione di molti per il benessere di pochi (cfr. EG 54-56). A tale proposito, ambienti conservatori, soprattutto negli USA, hanno accusato il papa di essere socialista. Appartiene a loro, invece, l’ideologia che fa diventare la crescita economica e l’accumulo di profitto un dogma, anche quando in suo nome si producono vittime. Il monito del papa è la denuncia di un’economia fine a se stessa per cui l’etica dimentica l’uomo invece di essere in suo favore. Non è un fatto di sistema politico o di partiti, ma di essere consapevoli del fine delle attività umane economiche e di governo.
«In tal senso, esorto gli esperti finanziari e i governanti dei vari Paesi a considerare le parole di un saggio dell’antichità: “Non condividere i propri beni con i poveri significa derubarli e privarli della vita. I beni che possediamo non sono nostri, ma loro”» (EG 57).
Sono parole di un padre della chiesa, Giovanni Crisostomo. Il discorso del papa va alla radice spirituale delle scelte economiche e politiche. la cultura dell’individualismo e della gratificazione istantanea suscita l’illusione di salvarsi per messo del denaro e del consumo, comprando il soddisfacimento dei propri bisogni. È un’assolutizzazione dell’eco che non sa più vedere l’altro uomo e Dio (cfr. EG 67).
La povertà degli esclusi crea le condizioni per il diffondersi di una violenza che non si risolve con l’ossessione per la sicurezza e le risposte armate, le quali non fanno altro che alimentarla. Il punto è cambiare un sistema che è ingiusto a partire dalla sua origine, la quale sta in una malattia interiore, una falsa visione del mondo e dell’uomo. Tutte le relazioni ne sono corrose, da quelle familiari a quelle civili.
In un contesto del genere, si rende necessario educare a una fede che non si limiti a pratiche esteriori, devozioni sentimentali, assolutizzazione di pretese rivelazioni private. Sarebbe un vissuto individualistico che si concentra sulla rassicurazione personale e su un miracolismo emozionale per cui ci si rinchiude in un proprio guscio separato dove ci si sente protetti. È una forma di indifferenza religiosa. Il papa auspica una vita ecclesiale e di fede che sappia intersecarsi con le culture che palpitano, si progettano e coesistono nelle nostre città ormai pluraliste.
Non è possibile giudicare e rifiutare tutto ciò che non appartiene alla tradizione. Si tratta piuttosto di abitare la città e le sue culture rendendo possibile nei tanti percorsi esistenziali una ricerca di senso, all’insegna della semina, e non di un’irrealistica e anti-evangelica riconquista.
«Si rende necessaria un’evangelizzazione che illumini i nuovi modi di relazionarsi con Dio, con gli altri e con l’ambiente, e che susciti i valori fondamentali. È necessario arrivare là dove si formano nuovi racconti e paradigmi, raggiungere con la Parola di Gesù i nuclei più profondi dell’anima della città» (EG 74). Il Vangelo non è un prodotto da collocare sul mercato o un’idea da propagandare; è una voce che dischiude all’uomo nuove possibilità di vita e di fiducia nell’incontro con ogni cultura e ogni percorso esistenziale. Nel Vangelo c’è un messaggio perenne che scalda il cuore, che risponde al desiderio di autenticità e vita buona presente in ogni fede, cultura e vicenda umana. Si tratta di farlo emergere, senza perdere le ricchezze della tradizione cristiana, ma anche senza ristagnare nell’immobilismo di pratiche e linguaggi più adatti ad altre epoche.
Affinché questo possa avvenire, l’esortazione passa in rassegna una serie di tentazioni a cui sono soggetti i cattolici impegnati nella pastorale per mettere in guardia contro di esse. Questo, però, non senza aver prima ricordato l’enorme apporto attuale della chiesa nel mondo d’oggi nei più diversi contesti di servizio gratuito all’uomo (cfr. EG 76).
La prima tentazione segnalata è il confondere la vita spirituale, che dovrebbe essere il fondamento dell’esperienza cristiana, «con alcuni momenti religiosi che offrono un certo sollievo ma che non alimentano l’incontro con gli altri, l’impegno nel mondo, la passione per l’evangelizzazione» (EG 78).è il rischio di una religione su misura che diventa rifugio e gratificazione per l’io. Ad esso si ricollega quell’accidia che è la fatica a perseverare nei tempi lunghi, nella mancanza di risultati immediati a fronte di sogni irrealizzabili, nelle contraddizioni. Ne derivano un ripiegamento disimpegnato su se stessi e una riduzione della vita ecclesiale a grigio pragmatismo abitudinario che è all’opposto della gioia del Vangelo (cfr. EG 82-83). Ancora Francesco mette in guardia dal pessimismo sterile che immobilizza, perché “tanto è tutto inutile”, come già fece Giovanni XXIII aprendo il Concilio quando prese le distanze dai profeti di sventura che annunciano sempre il peggio e non vedono altro che rovine e guai (cfr. EG 84). Quando prevalgono questi atteggiamenti, manca allora un contatto vivificante con il Vangelo che alimenta nuove relazioni, nuove opportunità d’incontro e solidarietà, superando il sospetto e la sfiducia permanente (cfr. EG 87-88).
«L’isolamento, che è una versione dell’immanentismo, si può esprimere in una falsa autonomia che esclude Dio e che però può anche trovare nel religioso una forma di consumismo spirituale alla portata del suo morboso individualismo. Il ritorno al sacro e la ricerca spirituale che caratterizzano la nostra epoca sono fenomeni ambigui. Ma più dell’ateismo, oggi abbiamo di fronte la sfida di rispondere adeguatamente alla sete di Dio di mola gente, perché non cerchino di spegnerla con proposte alienanti o con un Gesù Cristo senza carne e senza impegno con l’altro» (EG 89).
La differenza tra vera e falsa spiritualità si coglie nella misura in cui l’esperienza di fede porta all’incontro, all’accoglienza, al farsi prossimi, al fare comunità.
Per gli stessi motivi, papa Francesco dice no alla mondanità spirituale, propria di chi cerca nella fede solo una conferma dei propri sentimenti o ragionamenti o di chi si sente superiore agli altri in forza della propria adesione a un certo stile cattolico del passato. Significa in definitiva contare su se stessi, sulla propria integrità religiosa, più che su Dio. «È una presenta sicurezza dottrinale o disciplinare che dà luogo a un elitarismo narcisista e autoritario, dove invece di evangelizzare si analizzano e si classificano gli altri, e invece di facilitare l’accesso alla grazia si consumano le energie nel controllare» (EG 94). Bergoglio riserva le parole più dure non ai non cattolici, ma a quei cattolici che smentiscono il Vangelo mettendolo al servizio di se stesso.
Vale anche per la ricerca di potere dentro la chiesa o di conquiste sociali e politiche, alimentando la vanagloria e respingendo la profezia (cfr. EG 95-97). E così si perdono energie in illusori piani di espansionismo apostolico o in guerre contro altri fratelli di fede, fino ad assumere atteggiamenti persecutori, perché la diversità di idee mette in discussione l’ego di chi conta su se stesso e lo proietta sulla religione (cfr. EG 98-100).
Il secondo capitolo dell’EG si chiude richiamando alcuni soggetti ecclesiali a cui prestare particolare attenzione in una comunità cristiana che non si identifica con la gerarchia:
- i laici, che non assumono in pieno responsabilità importanti sia per mancanza di formazione sia per non aver trovato spazio nelle loro chiese particolari a causa di un eccesivo clericalismo (cfr. EG 102);
- le donne, i cui legittimi diritti derivanti dalla loro pari dignità «pongono alla chiesa domande profonde che la sfidano e che non si possono facilmente eludere» (EG 104);
- i giovani, che «nelle strutture abituali spesso non trovano risposte alle loro inquietudini, necessità, problematiche e ferite» (EG 105);
- i seminaristi, rispetto ai quali bisogna operare una selezione per escludere motivazioni legate a insicurezze affettive, a ricerca di forme di potere, gloria umana o benessere economico (cfr. EG 107).
Il capitolo si chiude con l’invito alle comunità a proseguire in queste riflessioni, mantenendosi sempre in una prospettiva di rinnovamento e di dinamismo fiducioso.
«Le sfide esistono per essere superate. Siamo realisti, ma senza perdere l’allegria, l’audacia e la dedizione piene di speranza! Non lasciamoci rubare la forza missionaria!» (EG 103).
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