La chiesa non può essere auto-referenziale, è “chiesa in uscita” (cfr. EG 24), perché la Parola di Dio chiama il credente, lo manda verso terre nuove, lo sprona ad andare verso l’altro (cfr. Gn 12,1-3; Es 3,10; Ger 1,7).
Dopo la sezione introduttiva, che presenta in un certo senso lo sfondo del suo programma pastorale, l’Evangelii Gaudium affronta in cinque capitoli alcune delle questioni più rilevanti per l’evangelizzazione oggi. La prima è quella di una trasformazione missionaria, la quale comporta una vera e propria riforma della chiesa (EG 19-49).
L’approccio di papa Francesco può essere spiegato ricorrendo alla categoria dello stile, studiata dalla riflessione teologica di Christoph Theobald, tra i principali interpreti del Vaticano II. Lo stile, a grandi linee, è la corrispondenza tra la forma e il contenuto. Perciò, una pastorale di evangelizzazione che assume una determinata fisionomia richiede, per realizzarsi, un volto di chiesa coerente con essa. È la medesima questione sottesa all’interpretazione del Vaticano II, il quale è stato un concilio pastorale e non convocato per definire delle dottrine. Per questo si è tentato di sminuirne l’importanza. Invece, la presa di coscienza di un nuovo rapporto tra la chiesa e il mondo contemporaneo, all’insegna del dialogo e dello scambio, piuttosto che dell’estraneità e della contrapposizione, implica anche una rinnovata comprensione della dottrina cattolica.
È importante identificare i riferimenti della conversione missionaria prospettata dal papa. Il più prossimo è il documento della conferenza dell’episcopato latinoamericano ad Aparecida nel 2007, ma il fondamento è costituito dalla visione di chiesa elaborata da Paolo VI a partire dall’enciclica Ecclesiam suam e sviluppata dal Vaticano II. Massimo Faggioli ha parlato di «riabilitazione pubblica di un magistero conciliare e post-conciliare».
Tornando al testo dell’esortazione, la missione è l’effetto della gioia del Vangelo che vuole comunicarsi. Non alla maniera del proselitismo, ma di una diffusione di sé che è farsi prossimo, coinvolgimento con chi si incontra alla maniera alla maniera del Signore. «Gesù ha lavato i piedi ai suoi discepoli. Il Signore si coinvolge e coinvolge i suoi, mettendosi in ginocchio davanti agli altri per lavarli. Ma subito dopo dice ai discepoli: “Sarete beati se farete questo” (Gv 13,17). La comunità evangelizzatrice si mette mediante opere e gesti nella vita quotidiana degli altri, accorcia le distanze, si abbassa fino all’umiliazione se è necessario, e assume la vita umana, toccando la carne sofferente di Cristo nel popolo. Gli evangelizzatori hanno così “odore di pecore” e queste ascoltano la loro voce. Quindi, la comunità evangelizzatrice si dispone ad “accompagnare”. Accompagna l’umanità in tutti i suoi processi, per quando duri e prolungati possano essere. Conosce le lunghe attese e la sopportazione apostolica. L’evangelizzazione usa molta pazienza, ed evita di tenere conto dei limiti» (EG 24).
Non è una posizione ideologica o l’adeguamento a una moda. È lo stile di Gesù nel suo relazionarsi alle persone e accogliendole con le loro fatiche e i loro peccati, senza la pretesa di separare subito il grano dalla zizzania, con il rischio di perdere l’uno con l’altra. Così i cristiani non devono avere l’ansia di etichettare e giudicare le persone, bensì lasciare loro la possibilità della crescita, della piena maturazione. Devono anzi incoraggiarla.
Affinché questo avvenga, tutta la chiesa deve approfondire la coscienza di se stessa per riconoscere che c’è una differenza tra come il Signore la sogna e la sua realtà storica: da qui scaturisce il bisogno di una riforma perenne dell’istituzione ecclesiale, che nasce dall’esigenza di fedeltà a Cristo e alla propria vocazione (cfr. EG 26; Paolo VI, Ecclesiam suam 10; Concilio Vaticano II, Unitatis redintegratio 6).
Il rinnovamento è ritenuto improrogabile da papa Francesco e dovrebbe trasformare ogni aspetto della vita ecclesiale (consuetudini, stili, orari, linguaggi, strutture…) in senso missionario, in vista di una pastorale più espansiva e aperta (cfr. EG 29).
Il punto di partenza è la parrocchia, che rimane la “prima linea” della missione, in quanto chiesa tra le case degli uomini (cfr. Giovanni Paolo II, Christifideles laici, 26), a patto che sappia assumere con plasticità forme molto diverse che richiedono la docilità e la creatività del pastore e della comunità (cfr. EG 28). Bergoglio riconosce che il rinnovamento delle parrocchie è uno dei capitoli inattuati della riflessione ecclesiale recente. Per definire le parrocchie, egli ricorre alla terminologia delle “comunità di comunità”, ma a indicare che non devono essere grandi strutture anonime, ma comunione di realtà diversificate e vive, dove si sperimentano rapporti ravvicinati, si condivide il quotidiano e la ricerca di fede, si vive la fraternità.
In questo discorso s’inserisce il riferimento ai movimenti, ridimensionati rispetto all’enfasi di altri pronunciamenti, insieme ad associazioni e comunità di base, la cui originalità è vista in funzione dell’integrazione nella realtà parrocchiale e non per costituirsi come realtà parziali e separate (cfr. EG 29).
L’appello al rinnovamento è esteso alle diocesi e ai loro vescovi. A questi ultimi, in particolare, l’invito è a valorizzazione gli organismi di partecipazione e altre forme di dialogo per esercitare il proprio ministero di guida e sintesi a partire dall’ascolto di tutti e non da un assenso servile (cfr. EG 31).
Neppure il papato è esentato dal rinnovamento e qui abbiamo il fatto insolito di un pontefice che chiede suggerimenti al riguardo. Viene così recuperata la richiesta inevasa di Giovanni Paolo II di ripensare la forma di esercizio del ministero petrino (cfr. Ut unum sint, 95). L’enciclica si riferiva all’ecumenismo, ma implica, e l’esortazione lo specifica, di dare corpo alla collegialità stabilita dalla Lumen gentium: non il papa da solo, come un monarca, ma il papa insieme ai vescovi e alle conferenze episcopali, intese come veri e propri soggetti ecclesiali dotati anche di una qualche autorità dottrinale (cfr. EG 32). Questa potrebbe essere una reale decentralizzazione che darebbe corpo al pluralismo di una chiesa mondiale unita nella fede.
L’esortazione non offre indicazioni molto dettagliate per il rinnovamento, proprio perché intende attivare la corresponsabilità audace e creativa dei battezzati a tutti i livelli e non dettare ogni decisione dall’alto (cfr. EG 33).
Ciò che conta, vale la pensa di ribadirlo, è assumere lo stile evangelico. Il che per Bergoglio significa anche un annuncio che non si fissa su aspetti secondari, senza manifestare il cuore del messaggio di Gesù. «Una pastorale in chiave missionaria non è ossessionata dalla trasmissione disarticolata di una moltitudine di dottrine che si tenta di imporre a forza di insistere. Quando si assume una pastorale e uno stile missionario, che realmente arrivi a tutti senza eccezioni né esclusioni, l’annuncio si concentra sull’essenziale, su ciò che è più bello, più grande, più attraente e allo stesso tempo più necessario» (EG 35). Richiamando il Vaticano II e ancora prima Tommaso d’Aquino, il papa ricorda che c’è una gerarchia delle verità in campo sia dogmatico sia morale, per cui va evidenziato quel che è centrale e dà significato a tutto il resto.
«Il Vangelo invita prima di tutto a rispondere al Dio che ci ama e ci salva, riconoscendolo negli altri e uscendo da se stessi per ricercare il bene di tutti. Quest’invito non va oscurato in nessuna circostanza!» (EG 39). Il centro è la fiducia nell’amore di Dio per noi che ci rende capaci di amare e ci salva.
È detto per chi riduce l’annuncio cristiano a messaggio etico e ne fa metro per giudicare gli altri; è detto per chi sbandiera la propria ortodossia, ma dice parole cristiane senza Cristo riducendole a un falso Dio o a un ideale umano. «In tal modo siamo fedeli a una formulazione ma non trasmettiamo la sostanza» (EG 41).
Il Vangelo deve parlare oggi. La ricerca delle modalità di comunicare l’essenziale in un mondo che cambia richiede di armonizzare una varietà di visioni teologiche e pastorali, più che la difesa senza sfumature di una dottrina monolitica (cfr. EG 40). Tutto ciò incoraggia ad abbandonare norme e precetti non essenziali e non incisivi nel nostro tempo (cfr. EG 43), così da tenere conto della condizione reale delle persone su cui non si possono esercitare forme d’ingerenza spirituale. «Un piccolo passo, in mezzo a grandi limiti umani, può essere più gradito a Dio della vita esteriormente corretta di chi trascorre i suoi giorni senza importanti difficoltà» (EG 44).
È una chiesa aperta, quella evocata dal documento, che invita a entrare e accoglie. «Tutti possono partecipare in qualche modo alla vita ecclesiale, tutti possono far parte della comunità, e nemmeno le porte dei Sacramenti si dovrebbero chiudere per una ragione qualsiasi» (EG 47). Vale in particolare per il Battesimo e l’Eucaristia che non sono riservati a una ristretta cerchia di perfetti, ma sono dono, cibo, medicina, sostegno… Una chiesa così privilegia i poveri, gli infermi, i disprezzati e li cerca anche a costo di essere accidentata e ferita, piuttosto che rinchiudersi nelle proprie sicurezza e nei propri procedimenti.
«Più della paura di sbagliare spero che ci muova la paura di rinchiudersi nelle strutture che ci danno una falsa protezione, nelle norme che ci trasformano in giudici implacabili, nelle abitudini in cui ci sentiamo tranqulli» (EG 49).
Continua questa lettura, per me impegnativa ed entusiasmante, con cui sto cercando di presentare l'esortazione di papa Francesco e la sua importanza per il futuro della chiesa cattolica. Vedi anche:
Commenti