In un'intervista pubblicata da "Vatican Insider", Sean Patrick O'Malley, arcivescovo di Boston che fa parte del gruppo dei consiglieri di papa Francesco, interviene sulla riforma su cui gli otto cardinali si stanno confrontando.
“La cultura dell’incontro” del Papa, come la chiama O’Malley, giocherà eccome nelle riforme in discussione, che – nella sua visione - dovranno avere i laici come protagonisti. “Non ci può essere riforma della Chiesa senza di loro” afferma il francescano inoltrandosi poi in un appassionato mea culpa. “Siamo noi a clericalizzarli” argomenta. “Quando qualche laico si avvicina alla Chiesa corriamo per dargli funzioni liturgiche anziché lanciarlo nel mondo per trasformarlo…”. Ricorda un detto popolare: “Costruiamo lo stadio e la gente verrà”. Per molto tempo ha funzionato, osserva, adesso non più. Lo considera il retaggio di un cattolicesimo identitario. ”Sono cresciuto in un’epoca dove se eri irlandese, italiano o lituano, eri un cattolico che andava in Chiesa e che pagava e obbediva (paid and obeyed)”.
La pubblicazione di questo testo sembra quasi un "riequilibrio" di un articolo precedente, molto ripreso dai siti tradizionalisti per la frase di O'Malley: "La chiesa non è una democrazia". Pochi hanno sottolineato ciò che aveva detto subito dopo, "è preghiera e dialogo".
Qui in Italia, Enrico Peyretti aveva opportunamente commentato che la chiesa è certamente altro, è un'adelfocrazia. E' regolata, cioè, dal principio della fraternità e non è assimilabile a una sorta di monarchia.
L'episodio in questione mi sembra far parte di una sorta di "guerra mediatica" con cui si sta cercando di imprimere una caratterizzazione al pontificato di papa Francesco.
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