"Vino Nuovo" riporta una pagina dall'ultimo libro del teologo siciliano Carmelo Torcivia ("E se domani...? Oltre le paure di un cristianesimo nostalgico")
La nostra epoca è fortemente segnata dalla complessità, intesa sia come categoria analitica della società sia come paradigma d’intervento. In questo contesto risulta veramente difficile immaginare percorsi, sia teorici sia pratici, pieni di idee chiare e distinte. Tranne a volere a tutti i costi mascherare la realtà, ammantandola di certezze che non le appartengono. E questo avviene – eccome! – sia nell’ambito politico sia in quello manageriale-aziendale, dove c’è più bisogno di leadership e, soprattutto oggi, di leaders. La Chiesa, nella misura in cui vuole mantenere un’identità di grande istituzione, può essere tentata dall’assumere questo ruolo di comunicatrice di certezze, soprattutto a fronte di un complesso di verità che come religione “possiede” e gestisce.
Il problema, però, è teologico e filosofico, più che politico. Dal punto di vista teologico la verità, infatti, prima ancora che essere un complesso di dottrine, è una persona: Gesù Cristo, che ci rivela il mistero grande del Dio uno e trino. Da questo punto di vista la verità non la si possiede mai, caso mai si è dentro la verità e s’intrattiene con essa una relazione ampia e costitutiva della stessa persona umana. Ogni uomo si autocomprende a partire da questo rapporto con la verità. L’individuazione e la formulazione di verità-dottrine, che è il prezioso cammino dogmatico che la Chiesa compie nel corso dei secoli, non contraddice quanto detto prima. Esse, infatti, sono ritenute sempre più grandi della stessa Chiesa, che si pone così al loro servizio, e sono soggette ad un complesso, plurisecolare e permanente cammino ermeneutico, della cui autenticità e conformità con la fede cristiana il Magistero si rende garante.
Dal punto di vista filosofico, ancora, è impossibile pensare alla verità senza l’obbligato e laborioso esercizio del dialogo. Non è così possibile che si pervenga ad essa in modalità solipsistica. Essa è frutto del contributo di tante persone e di tante idee. Bisogna, allora, imparare a non essere assolutisti, a non offrire verità-certezze granitiche – alla fin fine false e nocive – ma a costruire percorsi dialogici aperti all’alterità, alle diverse sfaccettature che le riflessioni contemporanee offrono. Questo può permettere sia alla Chiesa sia alla teologia e alla catechesi di purificare idee, comportamenti, linguaggi. Questo può permettere, altresì, di raggiungere quasi la soglia dello stupore nel costatare che, in un mondo complesso, non è più possibile assumere un solo modo di vedere, di pensare, di parlare.
Il pluralismo non è una iattura, è un valore, è una ricchezza. Anche se l’esercizio concreto del confronto comporta fatica, incomprensione, conflitti. Certo, bisogna prendere decisioni – dal punto di vista etico, bioetico, politico – e non si può restare solo nell’ambito beato del confronto più o meno accademico. Che si prendano, allora, queste decisioni, ma con spirito laico e non confessionale, sapendo che ogni scelta porta con sé precarietà ed è suscettibile nel tempo di essere modificata. Che il ruolo della Chiesa, anche qui, sia di essere portatrice di esigenze di unità, di fraternità, di servizio agli ultimi, senza alcuna voglia di difendere posizioni e ruoli di prestigio, tipici del passato, anche di quello recente. Questa operazione, che teologicamente può essere riletta quasi come una sorta di kenosi ecclesiale, non può che portare molto giovamento alla Chiesa.
Ciò, però, comporta coerentemente la messa al bando, da parte della stessa Chiesa, di tutti quegli atteggiamenti e comportamenti – presenti sia in persone singole sia in alcuni gruppi e movimenti – che non solo non giovano a questo franco e coraggioso dialogo con tutti, ma addirittura rendono un cattivo servizio a Gesù Cristo e al cristianesimo. E non è un problema estetico, come se le grida in piazza, gli insulti contro coloro che si presume che sbaglino siano fuori luogo all’interno di una corretta comunicazione. Il problema è evangelico e teologico: la memoria di Gesù di Nazareth vietano tassativamente ogni comportamento in tal senso. Il nostro Dio non ha crocifisso nessuno, si è lasciato piuttosto crocifiggere nel suo Figlio. E non debba accadere che per difendere la vita nascente, una morte degnamente umana, il crocifisso di legno nelle scuole, etc. si crocifiggano, seppur moralmente, altri uomini e donne che non pensano così.
«Se la Chiesa intraprenderà questi inediti sentieri, forse riuscirà a fare all’uomo di oggi, che vive in un contesto caratterizzato da varie forme di molteplicità, una proposta particolarmente significativa, senza mettere nessuno all’angolo e senza dichiarare nessuno sconfitto. L’evangelizzazione è nuova perché fa della debolezza il suo punto di forza, favorisce l’incontro con Dio senza mettere in pericolo l’identità dell’uomo, la sua soggettività, la sua libertà ela sua creatività e propone all’uomo moderno e postmoderno l’esperienza della salvezza come incontro di due libertà, quella di Dio e quella dell’uomo»*.
* Quest'ultimo paragrafo è tratto da un articolo del prof. don Giuseppe Alcamo – pubblicato in “Catechesi” 1 (2009-2010) 29-45 – che è frutto di una sintesi personale della relazione “Il silenzio di Dio e la ricerca del uomo”, tenuta dal prof. don Francesco Conigliaro in un Convegno delle équipes catechistiche diocesane della Sicilia, svoltosi dal 2 al 4 gennaio del 2009.
Commenti