Dalla relazione tenuta dal teologo valdese Paolo Ricca a Pistoia, l'1 giugno 2013.
Non è impossibile incamminarsi verso un modello di «Chiesa povera» che forse non si riuscirà mai a raggiungere pienamente. Ma al quale ci si può avvicinare. Quali potrebbero essere i primi passi di questo cammino? 1) Occorrerebbe effettivamente fare un convegno mondiale sulla povertà per sapere chi è oggi il povero nelle diverse economie del mondo, ricordando – come è ovvio - che come vi sono vari tipi di ricchezza, così ci sono vari tipi di povertà e, naturalmente, vari livelli di povertà. 2) Occorre distinguere molto bene tra la povertà ereditata, imposta o subita, e la povertà scelta. Se quest’ultima può essere un atto di libertà e persino di letizia (ricordiamo la «perfetta letizia» dei Fioretti francescani), la prima è una condizione di pena e sofferenza. C’è una povertà che si può desiderare e scegliere, e una povertà che occorre combattere e vincere. 3) Chiesa dei poveri è una Chiesa che mette il povero al centro non solo della sua diaconia, ma anche della sua vita, dei suoi interessi, delle sue preoccupazioni, della sua intercessione, della sua predicazione, della sua teologia: ripensare l’intera religione cristiana a partire dal povero, dall’ultimo. È qualcosa che non è mai stato fatto. Sarebbe una novità assoluta. Si tratta di dare loro la parola, ascoltarli, trasmettere al mondo la loro voce, diventare cassa di risonanza o tribuna attraverso la quale i poveri possano farsi sentire. Tutto questo è possibile solo vivendo con i poveri. 4) Infine, una Chiesa povera è una Chiesa che si autofinanzia, cioè che è finanziata dai fedeli. Chi vuole la Chiesa, se la paghi. Una regolazione del rapporto Stato-Chiesa come quella presupposta dal Vaticano con l’Otto per mille, è altamente problematica. Così pure lo sono tutti i Concordati che hanno attribuito alla Chiesa cattolica una serie di privilegi. Una Chiesa povera di potere temporale.