Un santo triste è un triste santo, recita un detto popolare di origine spagnola, caro a Raimon Panikkar.
Mi sembra una buona presentazione del tema di Torino Spiritualità 2012, che inizia oggi: la sapienza del sorriso. La fede religiosa è spesso associata alla pesantezza, a una severità sospettosa nei confronti dell'allegria e della festa, all'intolleranza arcigna dei fondamentalismi... In realtà, la leggerezza del cuore è una delle caratteristiche di un'autentica esperienza spirituale.
Ricordo, anni fa, durante una delle mie visite alla comunità di Taizè, uno dei fratelli che ha presentato così la loro vita insieme: "Da noi si ride molto...". Gli ambienti religiosi più sani che ho conosciuto sono quelli dove si incontrano volti distesi, senza euforie e forzature.
Varie voci, in questi giorni, hanno presentato questa sapienza del sorriso.
Moni Ovadia:
All'inizio dell'avventura del monoteismo ebraico, c'è un'annunciazione che precede di 1.500 anni quella cristiana. Abramo, circonciso e centenario, è in comunicazione col divino e apprende che sua moglie Sara, novantenne e sterile, gli darà un figlio. Per tutta reazione, Abramo si scompiscia dalle risate, è ovvio che non ci crede, mentre il riso di Sara è più vergognoso ma non meno scettico. Nove mesi dopo, il Santo Benedetto si presenta per annunciare che il nascituro si chiamerà Isacco, nome che in italiano dice poco ma in ebraico è il futuro del verbo ridere. Eccolo, il figlio per quei due che tanto risero nel momento dell'annunciazione. L'identità ebraica è uno scoppio di risa, come l'aprirsi all'utopia, al cortocircuito tra senso e controsenso.
Enzo Bianchi:
Il vero sorriso è accoglienza, è apertura del volto all'altro: si muovono tutti i muscoli del viso, e si aprono di più gli occhi. Il vero sorriso parla senza bisogno di parole, anzi le precede, altrimenti è solo egoismo e freddezza. Il linguaggio del sorriso è il più carnale, il più corporeo: nessuno può dire buongiorno facendo il muso. Purtroppo si è scambiata la bontà col buonismo, ed è diabolico, è come spogliare l'uomo delle sue più profonde capacità. Lo stesso trattamento riservato alla mitezza.
Massimo Cacciari:
Il cristianesimo è lieto e deve far ridere. Guai, dunque, a una predicazione triste. Chi annuncia non può che avere il sorriso, anzi il riso di Beatrice che percorre tutta l’ultima cantica: «Tu la vedrai sulla vetta di questo monte ridere felice». Se tu non fai capire che il Paradiso è riso, come ha dimostrato Dante con Beatrice, la tua evangelizzazione sarà nebulosa e quindi non sarà un’evangelizzazione perché annunci un Vangelo triste, quindi non un eu-angelion, una "buona notizia".
Il discorso vale anche nella tradizione islamica, come dimostra l'intervento di Paolo Branca pubblicato dal Sole 24 Ore.
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