Fino a pochi mesi fa, i "bene informati" dell'informazione cattolica davano per certo il ritorno in comunione con Roma dei tradizionalisti lefebvriani che rifiutano il Vaticano II. I loro simpatizzanti all'interno della Curia romana e della gerarchia cattolica avevano alimentato il più possibile questa convinzione, forti della volontà del papa di sanare l'unico scisma del XX secolo e delle sue concessioni in campo liturgico.
Nel giro di poco tempo, la situazione ha avuto come un rovesciamento, per la non accettazione da parte dei lefebvriani del testo dottrinale che avrebbe dovuto sancire la riconciliazione. Il fatto in sé è semplice: i tradizionalisti intransigenti erano convinti che il Vaticano II potesse essere ormai messo in un cassetto e dimenticato. La loro visione ha alla base un dato storico, ben sintetizzato da Massimo Firpo in un articolo sul Sole 24 Ore:
Al concilio di Trento, per combattere il sola Scriptura dei protestanti, la Chiesa cattolica elevò il suo magistero, fondato sulla tradizione apostolica, al rango di fonte dalla rivelazione al pari della parola di Dio. Quella tradizione in realtà conobbe molteplici mutamenti nel corso dei secoli e la Chiesa "di sempre" dei lefebvriani altro non è che l'arcigna Chiesa tridentina protrattasi da Pio V a Pio XII che il Vaticano II cercò almeno in parte di superare.
E' vero che Joseph Ratzinger non condivide certi sviluppi post-conciliari (si veda il famoso libro-intervista con Messori, Rapporto sulla fede, del 1985) e che condivide molte istanze tradizionaliste. E' anche vero, però, che egli è teologo troppo attrezzato per non sapere che la visione di tradizione di certi ambienti è troppo chiusa e non sostenibile, perché assolutizza la forma di quella che è una stagione della Chiesa. La tradizione, in realtà, è più ampia e variegata.
Inoltre, "resettare" di fatto un concilio che ha impegnato tutto l'episcopato e che è stato condiviso da quattro pontefici avrebbe effetti devastanti per la coerenza interna e la tenuta del cattolicesimo, perché ne relativizzerebbe la gerarchia per subordinarla all'arbitrio di alcune frange.
Al di là della vicenda del famoso preambolo dottrinale, infatti, nell'ultimo periodo si sono registrati una serie di interventi con i quali Benedetto XVI ha riaffermato quegli aspetti del Vaticano II più indigesti per i lefebvriani.
A giugno, incontrando una delegazione del patriarcato di Costantinopoli, ha indicato nel Concilio un punto di partenza per l'ecumenismo. Nel messaggio per la chiusura del congresso eucaristico di Dublino ha ribadito la riforma liturgica. A Frascati ha indicato nei documenti conciliari una ricchezza per la formazione delle nuove generazioni. Insomma, il papa sembra consapevole del rischio di presentare una chiesa sbilanciata su una parte sola, che si chiude nel museo di un periodo della sua storia, che non va rinnegato ma nemmeno assolutizzato. Sarebbe un'auto-ghettizzazione micidiale!
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