In questa video-lettera, prendo in esame quella che per me è la prima delle parole buone che ci uniscono, dopo aver presentato negli altri filmati le premesse del discorso.
La terra è radice comune e casa comune.
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In questa video-lettera, prendo in esame quella che per me è la prima delle parole buone che ci uniscono, dopo aver presentato negli altri filmati le premesse del discorso.
La terra è radice comune e casa comune.
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La compassione. Manca la compassione. Siamo un paese di brutte passioni senza compassione. O si ricomincia da qui, o siamo senza futuro.
E' una frase di Roberto Cotroneo che ho letto su Twitter, grazie a Stefano Bittasi.
Mi sembra una sintesi azzeccata del nostro tempo. Senza compassione ogni passione diventa brutta, cioè aggressiva, ideologica, ostile, intollerante... L'altro diventa il nemico, il male. Ci si fraziona in tante tribù, in armi le une contro le altre. Isole di incomunicabilità.
In questo modo, non c'è più bene comune. Vengono meno sia la comunità sia la città.
La politica si trasforma in disprezzo dell'avversario. La religione si riduce a identità che demonizza il mondo e le altre fedi. L'economia diventa lotta tra lupi, oppressione del forte sul debole, in nome del Dio profitto.
La compassione è umana e umanizzante.
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Facile gridare “valori non negoziabili” quando si contano i numeri dei ginecologi obiettori di coscienza e quello dei farmacisti che non vendono medicine condannate all’ostracismo. Ma quando si tratta di tutelare la vita quotidiana e ordinaria, chi grida?
E' la conclusione di un articolo di Filippo di Giacomo, pubblicato da l'Unità, sulla questione del lavoro domenicale. Si tratta di un fenomeno sempre più diffuso che provoca forti disagi in tante famiglie. L'ho sentito raccontare in prima persona più volte. In gioco c'è un valore umano, ancora prima della frequenza ai riti religiosi. Il lavoro e il reddito non possono diventare una schiavitù; altrimenti, se ne distorce il senso.
La festa è un diritto e un fatto di libertà che va oltre gli schieramenti politici e le appartenenze religiose.
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Un paradosso di questa stagione ecclesiale è che la messa rischia di divenire segno di divisione, più che di comunione. Nonostante le affermazioni di Benedetto XVI, nel suo tentativo di cercare una riconciliazione con il mondo tradizionalista, per cui la forma ordinaria del rito è quella elaborata dalla riforma liturgica voluta da Paolo VI, c'è chi continua a negarne la legittimità e con essa quella del Concilio Vaticano II da cui ha avuto origine.
Sulla Rivista del Clero Italiano è stata pubblicata una eloquente testimonianza di Enzo Bianchi, il quale racconta com'era la messa preconciliare, da lui vissuta in prima persona, e che cosa ha significato il passaggio alla nuova liturgia: è un confronto tra due forme di celebrazione, tra due riti entrambi capaci di celebrare il mistero di Cristo, ma uno derivante dall’altro e generato dal più antico, nella continuità della crescita della fede e dell’eloquenza della fede che è la liturgia cattolica.
Qui sta il punto del suo racconto e delle sue riflessioni: la messa è stata riformata, non tradita.
Sì, è cambiata nella sua forma, come sempre è cambiata nelle diverse epoche della storia della chiesa; nel contempo, però, la messa è la stessa in una continuità ben più profonda della lingua o dei gesti con i quali è eseguita. In verità, per chi vive una fede autenticamente cristiana ed ecclesiale, la liturgia della Parola non è mutata da quella dell’assemblea presieduta da Esdra al ritorno dall’esilio (cf. Ne 8), e la liturgia eucaristica è sempre la stessa, dallo spezzare il pane della comunità di Gerusalemme nell’ora della Pasqua fino a oggi.
Non mancano, nella rievocazione del priore di Bose, anche alcune notazioni critiche su come la riforma è stata introdotta "a singhiozzo", senza la necessaria preparazione e perciò accolta passivamente dalla maggior parte del popolo di Dio. Inoltre, fa notare come un punto debole sia stata l'improvvisazione che ha riguardato la dimensione musicale della liturgia dove è mancato un autentico rinnovamento nella continuità.
Ma questi aspetti, così come certi "abusi" che gli avversari del nuovo rito denunciano con enfasi, sono difetti nell'applicazione della riforma; non riguardano la sua sostanza e non vanno a inficiare i guadagni che ha apportato.
Poco a poco la riforma liturgica cambiò profondamente il modo di andare a messa. Possiamo sintetizzare tale mutamento attraverso un eloquente cambio di linguaggio: «dal prendere messa (o assistere alla messa)» al «partecipare alla messa». In primo luogo tutti furono grati dell’introduzione della lingua italiana, perché finalmente potevano comprendere parole che fino a quel momento sembravano monopolio del presbitero e del chierichetto. Ciò che il presbitero faceva all’altare non era più oscuro, segreto, per alcuni magico, ma era qualcosa di comprensibile e sempre più riferito a ciò che Gesù aveva fatto e detto. Si pensi poi alla maggior ricchezza di letture nella messa. Per fare solo un esempio, se prima nell’insieme delle messe domenicali e festive si ascoltavano (o meglio erano letti in latino) cinque brani dell’Antico Testamento e dieci del vangelo secondo Marco, con il nuovo lezionario i brani dell’Antico Testamento proclamati erano circa duecento e quelli di Marco quasi quaranta. La gente sentiva per la prima volta pagine mai ascoltate, delle quali la predica poteva diventare una spiegazione e un commento. Dopo un lungo esilio la parola di Dio tornava al cuore del popolo di Dio e, soprattutto, i vangeli venivano conosciuti quasi nella loro interezza. Si cominciò inoltre a rispondere alle parole del prete, si ebbe davvero quella «messa dialogata», come si diceva nell’ora del concilio, tanto desiderata dai pastori e dai fedeli. Scomparve l’uso di far coincidere la messa feriale con la messa «da morto»: anche in queste liturgie le letture scritturistiche erano varie e abbondanti. Insomma, va confessato – e per questo occorre anche ringraziare il Signore – che si tornava veramente a una comunità, a un’assemblea celebrante, anche se la gente non ne aveva piena consapevolezza; inoltre il presbitero nel presiedere la liturgia appariva più chiaramente segno di Cristo verso l’assemblea e segno dell’assemblea verso Dio.
E' possibile che si ponga fine allo scisma che ha portato i lefevriani a una rottura con il corpo ecclesiale. Se questa riconciliazione avverrà, comporterà da parte loro l'accettazione della riforma liturgica e, di conseguenza, che non possano escludere di celebrare secondo il nuovo rito.
Leggi il testo integrale della testimonianza di Enzo Bianchi: Dalla messa tridentina alla riforma liturgica del Vaticano II.
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Il 25 aprile del 1992 un incidente stradale poneva fine alla vita di Ernesto Balducci. A vent’anni di distanza, cosa ci rimane di lui? Nella Chiesa sembra essere stato dimenticato. Le sue idee, esposte in una quantità notevole di libri, articoli, saggi, conferenze, son quasi solo relegate nella cerchia di chi continua a studiarle. Ma Balducci non è affatto “superato”.
Laicità politica del credente
Le sue riflessioni, le sue speranze, e le sue stesse “visioni” del futuro, non appartengono ad una stagione irrimediabilmente passata. Anzi. Per dimostrarlo può bastare un piccolo, ma prezioso contributo che egli portò il 4 febbraio 1979 al “Gruppo per il pluralismo e il dialogo” di Verona. Ha per titolo La laicità nella prassi politica del credente ed è rimasto finora inedito. L’argomento appare di grande attualità. La laicità, infatti,costituisce ancora oggi un problema non risolto, non solo in Italia, nel rapporto tra lo Stato e la Chiesa, e all’interno della stessa Chiesa cattolica. Il tema dell’autonomia della sfera sociale e politica da quella religiosa e della libertà di coscienza nelle scelte temporali dei credenti, era stato affrontato e chiarito nel Concilio Vaticano II. Ma rimaneva molto “caldo”. Nel 1976, era iniziata l’esperienza della “Sinistra indipendente”, che aveva portato un gruppo significativo di cattolici ad essere eletti in Parlamento nelle file di partiti di sinistra, in particolare, del Partito Comunista Italiano. Ma ancora, da parte della gerarchia, di fatto si difendeva, con motivazioni varie, “l’unità politica dei cattolici” nella Dc.
L’induzione conoscitiva
Balducci, nella sua relazione, difende con chiarezza la possibilità che dall’unica fede scaturiscano opzioni politiche diverse. Le scelte temporali e, quindi, anche quelle politiche, non discendono infatti dalla fede, ma da una “induzione conoscitiva” della realtà che è una scelta laica: principio tuttora estremamente valido, di fronte agli integralismi religiosi e non, che emergono nella realtà di oggi. Ma è ancora più importante, per le posizioni che sostiene, il ragionamento con cui Balducci arriva ad esprimere quella posizione. Si tratta di un discorso serrato e coerente, condotto alla luce del Concilio Vaticano II. Questo ha modificato in radice i rapporti tra Chiesa e mondo, ristabilendo le finalità messianiche della Chiesa e facendone, pertanto, la responsabile in toto della storia e non solo dei valori dello spirito. Alla luce del Concilio, quindi, risulta superata la concezione di “laicità” propria di Maritain, che pure ha avuto tanta importanza nell’epoca preconciliare. Quella concezione è infatti basata sulla distinzione tra ordine spirituale, affidato appunto alla Chiesa, e ordine temporale affidato ai laici. Questa “giustificazione” della laicità non è più sostenibile secondo Balducci. Infatti la distinzione tra temporale e spirituale non è fondata sulla Parola di Dio, ma è solo “ideologica”, in quanto prodotta dal dualismo tra materia e spirito proprio del cattolicesimo medievale, di cui il maritenismo costituisce l’ “aggiornamento” nell’epoca contemporanea.
Una Chiesa non clericale
Il Concilio, come si diceva, ha superato questo dualismo, facendo della Chiesa la responsabile dell’adempimento delle finalità messianiche della rivelazione, che non appartengono ad una dimensione solo “spirituale”. Esso inoltre ha abolito anche l’altro dualismo, quello tra gerarchia e fedeli, ricomponendo l’unità del popolo di Dio. A questo, nel suo insieme, è affidata la responsabilità di adempiere la consegna messianica che la Chiesa ha avuto. I ministeri ecclesiali hanno una loro specifica differenza, ma non danno vita nel loro insieme ad un ceto distinto nella Chiesa nella quale “tutti sono laici e tutti sono sacerdoti”.
Balducci, in altri termini, propugna una “Chiesa non clericale”, intesa come segno e strumento del disegno di salvezza del mondo che Dio ha realizzato. Il rapporto prioritario di Dio non è con la Chiesa, perché Dio ama il mondo direttamente e il suo disegno messianico di salvezza la trascende. La Chiesa deve leggere, annunciare e “significare” tale disegno. Essa non è il Regno, ma ne è segno e strumento. Come si legge al numero uno della Lumen Gentium, la “luce delle genti” non è la Chiesa, ma Cristo. Un altro dualismo, allora, va superato, ed è appunto quello tra la Chiesa e il mondo. La “Chiesa messianica” è parte del mondo. Se ne distingue perché è quella parte di esso che ha riconosciuto la Parola e l’ha accettata e che ha come compito specifico vivere il mistero pasquale nei suoi due momenti: quello della croce e quello della resurrezione. Entrambi sono assolutamente non-ideologici. Croce e resurrezione, infatti, non fondano, né giustificano, alcuna “visione del mondo”, compresa quella “cristiana”.
Il principio che struttura la coscienza
Questo punto è fondamentale per definire la laicità. Essa ha compiutamente valore soltanto nella “Chiesa messianica” che vive il mistero pasquale al di fuori da ogni integrismo. La realtà temporale, infatti, non va spiegata con la fede, ma iuxta propria principia, secondo i propri principi. Un fatto politico va giudicato secondo criteri politici, non col mistero pasquale. Questa distinzione valorizza la fede ed esalta la ragione umana. Valorizza la fede nel suo contenuto: che è l’adesione appunto al mistero pasquale – attuazione e promessa della salvezza del mondo operata da Dio – e non fondazione di un “progetto cristiano di società” o, anche, di una “filosofia cristiana”. Ma esalta pure la ragione.
La grazia non sostituisce la natura, ma la presuppone. Così la fede: non distrugge la ragione, ma la presuppone. Bisogna pertanto diffidare dei “risvegli religiosi” che nascono da “malattie della ragione”. Un cristiano messianico non gode mai di una religione che cresce sui fallimenti. Essa finisce con l’aggrapparsi all’idea di un “Dio tappabuchi”, cui si ricorre perché tutti gli altri argomenti non servono più.
Anche tra fede e ragione, dunque, non c’è alcun dualismo. Quando si agisce nella realtà temporale il Vangelo è presente, come principio che struttura la coscienza del credente. Ma i contenuti con cui egli deve vivere la propria coscienza cristiana, dovrà determinarli secondo la ragione: come si diceva all’inizio, compiendo un’ “induzione conoscitiva”, da cui deriveranno le sue scelte operative, comprese quelle politiche. Esse saranno, quindi, con ogni evidenza, laiche. “La vera unità di noi credenti che ci riteniamo laici” conclude Balducci “avviene nella professione della fede attorno alla Parola di Dio e nella testimonianza che noi dobbiamo darne al cospetto degli uomini”. Nelle sue manifestazioni sociali, politiche, culturali, essa non può che essere plurale.
Ancora dal sito dei Viandanti, l'editoriale di Paolo Bertazzolo dedicato a Ernesto Balducci e alla sua concezione della laicità.
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Il Concilio Vaticano II (1962-1965) resta la chiave per comprendere e orientare il futuro della Chiesa cattolica.
Così Giovanni XXIII nel suo discorso inaugurale (11 ottobre 1962):
«Lo spirito cristiano, cattolico ed apostolico del mondo intero attende un balzo innanzi verso una penetrazione dottrinale e una formazione delle coscienze, in corrispondenza più perfetta alla fedeltà all’autentica dottrina, anche questa però studiata ed esposta attraverso le forme dell’indagine e della formulazione letteraria del pensiero moderno».
Il senso è chiaro: la fede cristiana ha bisogno di un nuovo linguaggio per essere compresa e annunciata oggi. Questo è stato l’obiettivo del Vaticano II.
Giovanni Paolo II non ha esitato a definire il Concilio la grande grazia di cui la Chiesa ha beneficiato nel secolo XX (Novo millennio ineunte, 6 gennaio 2001, 57). Le sue parole sono state riprese da Benedetto XVI nel suo primo messaggio del 20 aprile 2005, ricordando il Vaticano II come bussola per il terzo millennio.
Eppure, a fronte di questi ripetuti e autorevoli riconoscimenti, questo evento rimane fortemente controverso.
C’è chi, come il vescovo Luigi Bettazzi che vi ha preso parte, lo considera una vera e propria Pentecoste del nostro tempo e chi un errore da superare e dimenticare. Il Vaticano II è al centro di un conflitto delle interpretazioni.
Nella convinzione che il Concilio mantiene il suo valore e ha indicato alla Chiesa cattolica la direzione di un rinnovamento ancora da realizzare, vogliamo offrire del materiale per farsi un’idea e contribuire al dibattito.
Così ho presentato, sul sito dei Viandanti, la sezione da me curata che raccoglie testi e riflessioni sull'interpretazione del Concilio. Puoi leggere qui i primi inserimenti.
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Come in tempi non lontani era in uso l'espressione "finanza creativa", oggi si dovrebbe parlare delle "statistiche creative" di alcuni media cattolici.
In occasione dell'85° compleanno di Benedetto XVI e del settimo anniversario dell'elezione pontificia, si è avuto un vero e proprio florilegio di articoli trionfalistici volti a delineare l'immagine di un cattolicesimo inarrestabile nella sua ascesa. Queste operazioni si avvalgono di un uso, diciamo così, fantasioso dei numeri.
La chiesa cattolica è una realtà di luci e ombre. E' corretto saper vedere le une e le altre, senza lasciarsi andare al pessimismo che vede tutto nero, ma nemmeno all'esaltazione acritica che può sconfinare in forme di propaganda.
Abbiamo perciò letto di un anglicanesimo allo sbando, soggetto all'attrazione irresistibile della chiesa cattolica. E' vero che la comunione anglicana conosce profonde divisioni e l'arcivescovo di Canterbury Williams non è riuscito a ricondurle all'unità. Di qui l'annuncio delle sue prossime dimissioni. Però, il passaggio al cattolicesimo è nell'ordine di decine di pastori e di alcune centinaia di fedeli, in una realtà ecclesiale di quasi 90 milioni di fedeli. Le ordinazioni femminili hanno più che compensato i preti in uscita e si tralascia di dire che la Traditional Anglican Communion, la quale conta circa 400.000 fedeli, ha rifiutato di unirsi alla chiesa cattolica. Questo segna un sostanziale scacco dell'iniziativa dell'ordinariato personale che era stato istituito nel 2009 proprio con questo fine.
Secondo altri, l'espansione missionaria in Africa e Asia ha comportato un'esplosione mondiale senza precedenti del cattolicesimo. E' vero che ci sono Paesi dove la religione cattolica conosce grande crescita, ma la percentuale dei cattolici sulla popolazione mondiale si mantiene sostanzialmente stabile. Nel 2011 era circa il 17%, come nel 1950.
Un'altra notizia di questi giorni è il "boom" delle vocazioni al sacerdozio negli USA, attribuite alla nuova leva dei vescovi ratzingeriani. Le ordinazioni sono effettivamente aumentate, ma è accaduto lo stesso anche alla popolazione cattolica per effetto dell'immigrazioni. Quindi, dal 2005 al 2011 l'aumento in termini relativi non arriva al 2%. Un dato positivo, dopo anni di calo costante, ma mi sembra azzardato definirlo un boom.
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Vi sono testi biblici che hanno un concetto di mondo del tutto negativo e ve ne sono altri opposti: da un lato il mondo è dominio del “principe di questo mondo”, dall’altro luogo del governo giusto e provvidente di Dio. La contraddizione non va sciolta unilateralmente ma mantenuta. Questo significa che vi sono aspetti per cui la Chiesa deve essere demondanizzata (rapporti con il potere politico ed economico, interessi di parte, gestione delle enormi risorse finanziarie, mentalità carrieristica al proprio interno) e ve ne sono altri per i quali deve essere ancor più unita al mondo (vicinanza agli uomini e alle donne, ascolto dei problemi del tempo, rinnovamento del linguaggio e delle categorie concettuali, democratizzazione delle strutture). La Chiesa non è il mondo, ma senza il mondo essa non è, perché la Chiesa è in funzione del mondo; esattamente come il lievito di cui parlava Gesù, che non è la pasta ma che acquista senso solo in funzione della pasta.
E' un passaggio dell'intervista a Vito Mancuso pubblicata sul sito Vatican Insider in occasione della pubblicazione del suo nuovo libro Obbedienza e libertà (Fazi). Mi sembra positivo che un sito così attento all'ufficialità cattolica riservi questo spazio: la teologia di Mancuso, piaccia o no, ha una diffusione considerevole a livello di opionione pubblica, più di molti studiosi "ufficiali". Pone comunque degli interrogativi con cui la fede cattolica non può fare a meno di misurarsi.
Meglio che se ne parli apertamente, allora, piuttosto che scegliere il metodo poco onesto del silenzio, come ho visto di persona in certi ambienti cattolici.
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Voi cercate Gesù. Non è qui. Questo è il luogo dove l'hanno sepolto (Mt 28,5-6).
Le nostre civiltà, le nostre culture, le nostre tradizioni, le nostre grandezze, perfino le nostre basiliche possono essere divenute il luogo dove gli uomini di un tempo l'avevano deposto
Il comandamento è un altro: Andate a dire ai suoi discepoli e a Pietro che egli vi precede (Mt 28,7). Dove? Dappertutto: in Galilea e in Samaria, a Gerusalemme e a Roma, nel Cenacolo e sulla strada di Emmaus... Ovunque l'uomo pianterà le sue tende, farà la sua giornata di fatica e di avventura, spezzerà il suo pane, costruirà le sue città, piangendo o cantando, sorridendo o imprecando.
Egli vi precede. Questa è la consegna della Pasqua. E se, alzandoci dalla tavola eucaristica, avremo l'animo disposto a tenergli dietro ove egli ci precede, lo vedremo, come egli disse.
don Primo Mazzolari
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