E' notizia di questi giorni la ricerca di una psicologa della Cornell University sulla vita di coppia di tremila persone, monitorate lungo il corso di sei anni.
Pare che le coppie conviventi siano generalmente più felici di quelle sposate.
La psicologa Gianna Schelotto spiega così il dato:
"La convivenza è una conquista con se stessi, è una negoziazione della relazione day by day, al di là delle regole scritte, delle gabbie comportamentali rassicuranti del matrimonio. Per questo la sceglie chi si sente più sicuro di sé in partenza, ma allo stesso tempo, un rapporto così regala maggior autostima perché si è consci che pur potendosi lasciare non lo si fa. E il fatto che ci si scelga quotidianamente diventa ogni giorno una conferma di se stessi, del proprio valore, delle proprie qualità". Della capacità di vivere assieme perché lo si vuole, non perché ci sono state carte, firme, stuoli di parenti che ci hanno lanciato raffiche di riso una mattina.
Sinceramente, questa interpretazione mi lascia perplesso. A quasi undici anni di matrimonio, è impossibile vivere assieme per le carte o i parenti e non perché lo si vuole. Così come tutte le coppie sposate che conosco negoziano la loro relazione giorno dopo giorno. Quelle che non ci riescono non sono già più coppia. Questa mi sembra quindi una lettura "vecchia" che non tiene conto della realtà attuale e di altri fattori, come reddito, figli, stili e condizioni di vita... Anzi, a ben vedere, oggi chi è sposato è quasi più ostacolato che sostenuto dal contesto socio-culturale e forse questo incide non poco.
Comunque, prendiamo pure come punto di partenza il dato che chi si sposa non di per sé più felice di chi convive. Questo dato si cala in un contesto in cui il papa ha appena definito il matrimonio come l'unico luogo degno della nascita dei figli, in cui molti ambienti cattolici si oppongono alla riduzione del tempo necessario al divorzio e si dibatte sulle tutele sociali alle coppie di fatto.
Che cosa ci dice questo dato? Innanzi tutto che la realtà guarda già da un'altra parte. Il matrimonio di fatto è ormai solo un'opzione. Non sono vantaggi economici o legislativi che spingono due persone a sposarsi e tanto meno a stare insieme. E se questo avviene, allora si tratta di un matrimonio falso nella sostanza.
Tendo a vederlo come un fatto positivo: se ci si sposa, è perché si attribuisce a questa scelta un significato e non per ricavarne un utile. Per lo stesso motivo, dal mio punto di vista, i cattolici non dovrebbero tanto puntare a leggi che privilegiano la famiglia. Peggio ancora è discriminare nelle difficoltà le coppie non sposate.
Piuttosto, bisognerebbe valorizzare e testimoniare il significato della scelta matrimoniale, più che renderla conveniente, come se ci si dovesse porre l'obiettivo di massimizzare i matrimoni secondo schemi aziendali. Ciò non toglie che a livello fiscale e politico l'Italia è arretrata nel sostegno alla generazione ed educazione dei figli, ma è un altro discorso.
Perché sposarsi, allora, se non conviene? In fondo, equivale rispondere alla domanda: che cos'è l'amore? Ed è dire che l'amore non è una realtà che inizia e finisce con le due persone coinvolte, è un segno che è una storia iniziata in Dio e accompagnata da lui. Sì, se l'amore è fondamentale nella nostra vita, è fondamentale chiedersi che cosa sia veramente.