Le parole di don Angelo Casati, con la loro forza mite, sono sempre un nutrimento prezioso. Il sito che ospita i suoi scritti, riporta un suo intervento a Castione della Presolana, il 9 di agosto. Ecco la prima parte.
Voi, penso, mi perdonerete una premessa. Sono lettore innamorato di vangeli, non sono un esegeta, scavo nelle parole. Mi emoziono quando incontro e posso portare alla luce l'oro che le abita. Spesso trovo tracce di Gesù sotto polvere di sabbie, che il tempo e la nostra opacità vi hanno in ampia misura depositato.
Quando leggo sento il rumore dei passi, sono leggeri, senza fanfare, senza esibizioni, senza autocelebrazioni. E' l'incanto. L'incanto della realtà, la realtà della sua persona, del suo vangelo, della sua via. La sua via, tanto diversa da tante vie dello spirito che abbiamo disinvoltamente chiamate cristiane, di Cristo.
Seguo il rumore dei passi. Dove portano? A volte, ve lo confesso, mi porto dentro la sensazione che abbiamo immobilizzato Gesù. In una statua. Giorni fa un mio amico, Giovanni, che anni e anni fa ha adottato un giovane psicopatico, Francesco, mi raccontava che alcuni giorni prima Francesco, occhi velati da estrema tristezza, gli confidava: "Sono triste, la gente mi vede e mi guarda male". Giovanni reagì duro dicendo:. "E poi vanno in chiesa! A fare?". Gli risponde Francesco: "Vanno a pregare le statue".
Entriamo allora nella vita vera di Gesù. E' un richiamo per me, una premessa. Vado per sussulti e confido che voi mi perdoniate. E' la modalità, l'unica che mi appartiene. Vi dirò poche cose. Altre le rincorrerete voi inseguendo il silenzio di Gesù nei vangeli.
Vorrei come primo fotogramma indugiare su un silenzio di Gesù poco sottolineato, oserei dire poco onorato, quello della casa di Nazaret. Sono innamorato della casa di Nazareth. Della casa di Nazareth mi sono innamorato leggendo il Vangelo così come è, e non secondo interpretazioni "devote" e "edificanti". Vedete, a volte è come se non sopportassimo la casa di Nazareth così com'è. Prova ne è il fatto che per noi Gesù Cristo - si fa per dire - sembra esistere dai trenta anni in poi. Allora - finalmente! direbbe qualcuno - ha incominciato il suo ministero. L'opera della salvezza - così si pensa - ha avuto inizio quando quel figlio finalmente uscì di casa, dal suo paese, e andò lontano dai suoi.
Trent'anni sprecati, se giudicassimo le cose secondo un modello di efficienza ecclesiastica, quell'efficienza che ti fa pensare che il regno di Dio lo costruisci quando dalla privatezza della casa entri finalmente nei locali della parrocchia e lì ti dai da fare.
Non riesco - sarà per una mia deformazione mentale o biblica - a pensare che Gesù abbia iniziato il suo ministero a trent'anni. Mi è più familiare pensare che Gesù in tutte le ore della sua vita sia stato un racconto, il racconto dell'amore di Dio. Il problema è che noi, Dio, pensiamo lo si debba raccontare con il bla-bla religioso. E se Dio lo si potesse raccontare anche con il silenzio?
Sono innamorato del silenzio di Nazareth. E vorrei difenderlo. Il silenzio - il sacro silenzio - della "non notizia". Perché anche questo, a mio avviso, è un modo strano di pensare, cioè che il silenzio sulla casa di Nazareth sia imputabile a una amnesia, un'amnesia dei redattori del Vangelo: come se in quella casa l'eccezionale fosse all'ordine del giorno, ma non fu raccontato.
E invece no. A raccontare Dio era ogni giorno il silenzio di una vita senza notizia, una vita di cui nessuno si accorgeva. Vale anche oggi per la nostra vita, per le nostre case. Dove il vangelo è vissuto nel silenzio.
Un silenzio, badate bene, che non può essere presentato, se non arbitrariamente, come il silenzio della passività e dell'inerzia, di una resa cieca alla vita e agli altri. Gli esili spiragli che il testo biblico apre sulla vita nascosta della famiglia di Nazareth sono al riguardo luminosissimi: lasciano infatti intravedere una casa dove la pace che vi regna, il silenzio, non è quello dei cimiteri.
Il silenzio non è accettazione senza la domanda: Giuseppe si chiede il perché di quella maternità inattesa e sconcertante; i genitori si chiedono il perché della apparente disobbedienza del figlio: "Perché ci hai fatto questo?"; il figlio si chiede il perché della ricerca e dell'affanno dei genitori: "Perché mi cercavate?".
Casa del silenzio, la casa di Nazareth, e casa dei perché, come le nostre case. L'ideale non è una casa senza domande, ma la casa che lascia spazio alle domande, a tutte le domande. E, di domanda in domanda, ci si metta in cammino verso il mistero, quello della vita, quello di Dio, quello di ciascuno di noi, mistero che non sarà mai svelato una volta per tutte e per sempre. Casa del mistero dell'altro che non ci consente invasioni, ci chiede sosta silenziosa.