Oggi, sulla capacità di Roma di riprendersi dalla crisi generata dal «sex abuse scandal» si gioca il futuro della chiesa, e non solo in Occidente. Dall’elezione di Benedetto XVI in poi si è tentato di fare chiarezza sulle regole che la chiesa cattolica si dà quando emergono sospetti e casi di abusi sessuali. Ma molto resta da fare: da una parte, l’ultimo passo del Vaticano, nel maggio scorso, è stato approvare delle «linee guida» che non hanno la forza legale di norme vere e proprie.
Di fronte ad una reazione vaticana che ricorda le patch di Windows, le pezze che di volta in volta si attaccano ad un vestito vecchio, la politica di difesa da parte del pontificato, finora, è stata una politica delle nomine: affidarsi a vescovi fidati, non solo nominati dal papa (come da diritto canonico), ma anche scelti personalmente da Benedetto XVI.
Il loro profilo è quello di un cattolicesimo visibilmente identitario: le nomine più importanti annunciate di recente per sedi cardinalizie, a Milano, Berlino, Los Angeles, New York e Philadelphia, tentano di costruire un’immagine di una chiesa al contrattacco, cosciente di una sfida epocale portata dall’esterno.
Della sfida che viene dall’interno della chiesa, invece, non vi sono tracce.
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Il problema della chiesa mondiale di oggi è la dissociazione tra la sua immagine ufficiale e i problemi aperti: in un’epoca senza movimenti politico-sociali significativi, la chiesa ha dei “movimenti cattolici” che in larga misura perpetuano l’illusione di una chiesa in pace con se stessa perché in guerra col mondo.
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Sono due passaggi di un articolo di Massimo Faggioli su Europa (Lo scisma irlandese). A partire dalla recente tensione politico-diplomatica tra il Vaticano e il governo irlandese sui casi di pedofilia nel clero, sviluppa un'analisi largamente condivisibile dell'attuale stato di salute del cattolicesimo.
Si vuole dare un'immagine di compattezza e di successo, sorvolando su molte ombre, come se la soluzione dei problemi fosse avere un episcopato omogeneo, dove tutti mancano la stessa meolodia. Basti pensare a come un sito istituzionale come Vatican Insider sta dando risalto a figure come Chaput, Dolan e Scola.
Tutte persone valide, per carità, ma la Chiesa ha bisogno della ricchezza della pluralità nell'unità. Perché si moltiplicano gli appelli a un cambiamento e che sono espressione di un disagio? Penso alla Conferenza dei battezzati in Francia, a varie iniziative in Italia come gli incontri de Il Vangelo che abbiamo ricevuto, al memorandum dei teologi tedeschi, agli appelli di 150 preti USA, di 300 preti austriaci e di un gruppo di cattolici australiani.
C'è una serie di questioni sistematicamente ignorate: l'allontanamento di molti giovani e adulti, la scarsità dei preti, la subalternità delle donne, il deficit di sinodalità e corresponsabilità che lascia i laici sempre in secondo piano... La gerarchia ritiene forse che questi fenomeni di disagio siano rigurgiti di dissenso sessantottino e di rifiuto dell'autorità? Io ritengo che sia la manifestazione di un malessere profondo che riguarda la distanza che molti percepiscono tra il contenuto evangelico e la forma ecclesiale. Il dare corpo a un autentico stile evangelico non si decreta per autorità; è un'opera di conversione e di discernimento che richiede di camminare insieme come chiesa, mettendosi tutti in gioco.
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