La messa è un reperto archeologico, detrito di un passato ormai lontano, o è come una fontata al centro del villaggio, per usare un'espressione di Giovanni XXIII, a cui tutti possono dissetarsi?
Chi segue minimente le vicende della Chiesa cattolica sa che negli ultimi anni la liturgia è divenuta uno dei campi più delicati, dove non mancano conflitti e tensioni. C'è anche chi cerca di approfittarne per lanciare un attacco alla riforma liturgica di Paolo VI e farne un grimaldello per scardinare il Concilio Vaticano II.
Per superare questa situazione è necessario, ne sono sempre più convinto, un nuovo movimento liturgico che faccia conoscere e apprezzare ciò che è veramente centrale e irrinunciabile nella liturgia. Forse, un limite del post-concilio - in questo come in altri ambiti - è stato che l'insegnamento del Vaticano II non ha avuto un'adeguata diffusione e assimilazione, rimaste spesso a un livello superficiale tanto che i più giovani non ne comprendono la portata e l'importanza.
Un contributo importante a questo nuovo movimento liturgico sta venendo certamente dal monastero di Bose ed è evidente in alcune recenti pubblicazioni, che elenco brevemente.
La messa per tutti, di Jean Noel Bezançon che spiega come la riforma liturgica intrapresa da Paolo VI restituisce l’eucaristia a tutto il popolo di Dio: ritornando all’antica celebrazione dei primi secoli, oltre le interpretazioni del medioevo, essa ci ridona la “messa di sempre” nella semplicità delle sue origini. L'autore dimostra che la riforma del concilio Vaticano II, nel rendere tutto il popolo di Dio partecipe della liturgia, torni alla più antica tradizione della chiesa e permetta così a ciascun battezzato di essere cosciente dell’impegno che si assume rispondendo nel corso della celebrazione con il suo “Amen”. Non ci sono quindi rotture o stravolgimenti della fede.
Il fascicolo Eucaristia e società di Goffredo Boselli, in cui si spiega che la messa non è solo un rito fine a se stesso, ma l'origine dell'etica cristiana, perché spezzare il pane e condividere il calice comporta il dovere di condividere i beni della terra con chi ha fame.
Boselli è anche autore di Il senso spirituale della liturgia dove sostiene che la liturgia necessità di essere vissuta, compresa e interiorizzata. Non può essere solo fatto esteriore, esecuzioni di gesti a cui altri assistono, come se avesse un'efficacia magica.
La liturgia, arte e mestiere di François Cassingena Trevedy e gli atti del Convegno Arte e liturgia in cui si mostra come la bellezza e la creatività dell'uomo possono esprimere il mistero di Dio, rendendo la liturgia più comunicativa, senza fissarsi in una ripetizione meccanica di forme ed estetiche del passato.
Infine, sulla rivista Jesus di questo mese, è stato pubblicato un intervento di Enzo Bianchi sul senso profondo della celebrazione eucaristia che idealmente incornicia tutti questi testi e dà loro una prospettiva comune. Riporto due passaggi, invitando a leggerlo integralmente.
Sì, questa è la vera domanda che ci dobbiamo porre davanti all’eucaristia: la sua celebrazione determina qualcosa nella nostra vita, cambia i nostri pensieri e i nostri atteggiamenti sempre tentati dalla mondanità, converte le nostre vite?
È certamente molto importante, anzi decisivo, interessarsi sul “come” l’eucaristia è celebrata, ma non dobbiamo mai dimenticare che tutto ciò che noi predisponiamo o operiamo per la celebrazione può avere un solo fine: immergerci nella dinamica del mistero pasquale, quell’evento che Gesù ha raccontato con parole e gesti sul pane e sul vino. Ricordiamoci allora che partecipare all’eucarestia è innanzitutto accogliere l’invito alla “tavola del Signore” (1Cor 10,21): è il Signore vivente che invita noi, poveri e peccatori bisognosi della sua misericordia, malati assetati di guarigione, affaticati e stanchi in cerca di riposo, umiliati e ultimi che anelano a essere riconosciuti e accettati senza doverlo meritare... Tutti diciamo: “Signore, non sono degno...”. Così il pane è dato a tutti, icona della condivisione, ispirazione e comando di condivisione di tutti i frutti della terra e del lavoro umano, affinché non ci siano bisognosi nella comunità in cui si vive (cf. At 4,32).
(...)
L’eucaristia è il magistero del “ma voi non così!”, della differenza cristiana, perché vuole plasmarci in uomini e donne eucaristici, capaci cioè di vivere e spendere la vita a servizio degli altri, amando gli altri fino all’estremo, fino al nemico stesso: corpo spezzato, sangue versato, sacrificio di una vita offerta e consumata nell’amore autentico dei fratelli.
E affinché comprendessimo che l’eucaristia è questo – altrimenti non è, ma si riduce a scena religiosa, sontuosità e falsità – Gesù ha anche affidato ai discepoli un gesto che la spiega e la interpreta: la lavanda dei piedi. In quel curvarsi di Gesù, in quel compiere il gesto dello schiavo nei confronti dei fratelli, Gesù ha detto parole che risuonano anche per noi oggi: “Avete capito ciò che vi ho fatto?”, avete capito che lo spezzare il pane e bere al calice è servizio ai fratelli, servizio quotidiano assunto come stile, lo stile del Signore e del Maestro?
L’eucaristia è questo! E se lo è autenticamente, allora può solo essere fonte di riconciliazione, di comunione, di amore fraterno. Se invece essa è intesa e vissuta soltanto come celebrazione, rito, come un’occasione di identità e appartenenza culturale e religiosa, se in essa si cerca la solennità come spettacolo che seduce e abbaglia, allora purtroppo è vero che noi ci dividiamo e di fronte all’eucaristia entriamo in conflitto gli uni con gli altri... Ma quello che celebriamo non è più l’eucaristia di Gesù, la cena del Signore (cf. 1Cor 11,21)!
Mi sta a cuore tutto questo, aggiungo per concludere, nonostante sia un periodo per me delicato, perché qui, per chi ci crede, c'è una chiave per imparare ad amare di più, ad amare meglio, diventando più umani. Ed è ciò che conta più di tutti e di tutto...