La laicità fa parte del bene comune della nostra società. E' uno dei pilastri del nostro patto repubblicano, un supporto della nostra democrazia, uno dei fondamenti della nostra volontà di vivere assieme.
Sono parole tratte da un comunicato della Conferenza dei responsabili di culto in Francia a cui aderiscono i più alti rappresentanti della chiesa cattolica, delle chiese protestanti, delle chiese ortodosse, dei buddisti e delle comunità ebraiche e musulmane. I suoi obiettivi: incontro e dialogo tra le religioni per conoscersi meglio e contribuire alla coesione sociale nel rispetto reciproco.
In questo la laicità gioca un ruolo fondamentale come metodo, come condizione irrinunciabile.
La novità è che l'apprezzamento per la laicità non viene da una parte sola, come quando esponenti cattolici invocano una "sana laicità", ma è condiviso. Si esce dal rischio che una parte religiosa reclami una laicità "su misura", e quindi a proprio uso e consumo, per cui la si accetta solo quando è conforme alla propria immagine della persona umana e della società. Se questo atteggiamento degenera, può diventare un modo indiretto per aggiudicarsi un ruolo di "religione civile" in veste di suprema ed esclusiva istanza etica. La ricerca del prestigio sociale finirebbe così per occultare la testimonianza di fede.
Una laicità condivisa dalle religioni, invece, è neutralità, che non vuol dire relativismo, ma costruzione di uno spazio di convivenza a partire dalla ricerca e dal riconoscimento di alcuni valori comuni. Senza con ciò negare le differenze che restano.
La laicità, in tal caso, diventa una scuola di libertà, perché aiuta le religioni a non perseguire un proprio primato nella società. Per il cattolicesimo, ciò vorrebbe dire attuare quanto affermato dal Concilio Vaticano II in Lumen Gentium 8:
Come Cristo ha compiuto la redenzione attraverso la povertà e le persecuzioni, così pure la Chiesa è chiamata a prendere la stessa via per comunicare agli uomini i frutti della salvezza. Gesù Cristo "che era di condizione divina... spogliò se stesso, prendendo la condizione di schiavo" (Fil 2,6-7) e per noi "da ricco che era si fece povero" (2 Cor 8,9): così anche la Chiesa, quantunque per compiere la sua missione abbia bisogno di mezzi umani, non è costituita per cercare la gloria terrena, bensì per diffondere, anche col suo esempio, l'umiltà e l'abnegazione.
La laicità, allora, non è un'istanza nemica o estranea al cristianesimo, ma trova corrispondenza con lo "stile" di Gesù.
Il sociologo Luca Diotallevi propone abbandonare l'idea di laicità in favore del modello anglosassone di presenza delle religioni nella società all'insegna della libertà religiosa. Quest'ultima ha sicuramente molti aspetti positivi, ma in definitiva mi sembra porsi come una sorta di "mercato delle religioni" dove ciascuna opera liberamente per perseguire il proprio "profitto" e i propri interessi, detto in modo crudo e semplicistico. L'esperienza francese della Conférence, invece, aggiunge qualcosa perché va nella direzione del dialogo e dell'incontro. E', se vogliamo, più comunitaria e meno individualistica. Non ce n'è bisogno, in un tempo tentanto dalla barbarie e dal tribalismo?