Di quale riforma ha veramente bisogno la politica italiana?
E' molto avvertita una diffusa e pervasiva alterazione patologica dei rapporti tra privati, partiti e pubblica amministrazione.
Queste parole sembrano una puntuale descrizione della realtà di oggi. Partiti che decidono le candidature dall'alto, nel chiuso delle stanze del potere. Partiti dove pochi manvorano tutto e nella cui vita interna non solo i cittadini, ma persino i militanti non sono in grado di incidere. Partiti che si spartiscono nomine e incarichi nella pubblica amministrazione, nella sanità, nella televisione e in tutti i settori creando veri e propri sistemi di potere. Eppure l’articolo 49 della Costituzione asserisce che tutti i cittadini hanno il diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere "con metodo democratico" a determinare la politica nazionale.
La struttura e la vita interna dei partiti politici italiani sono scarsamente democratiche. In un certo senso, i partiti sono fuori dalla democrazia. Questa situazione, unitamente al loro peso abnorme nella vita pubblica, fa sì che esercitino un influsso patologico sulla vita democratica del Paese. Il loro essere fuori dalla democrazia fa sì che là dove esercitano il proprio potere agiscano in modo non democratico.
Le parole che ho riportato sono state pronunciate da Giuseppe Dossetti nel 1994. Per i cattolici, che dovrebbero partecipare alla vita politica disinteressandosi del tornaconto personale e perseguendo il bene comune, questa dovrebbe essere una priorità. Riporto un passaggio del documento conclusivo della XLVI settimana sociale dei cattolici italiani.
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17. È stata particolarmente apprezzata la scelta di dedicare un capitolo dell’agenda e una sessione tematica della Settimana Sociale al tema del completamento della transizione e della riforma delle istituzioni politiche. Il tema è stato affrontato in un confronto franco e condiviso. In particolare i giovani si sono schierati in modo chiaro contro “lo stare fermi per paura” e contro il ritiro dalla politica, affermando un impegno direttamente collegato con la scelta della fede.
Fortemente condivisa è la necessità di completare la transizione politico-istituzionale, perché il rischio è veder progredire i ricchi e i capaci e lasciar indietro i poveri, i giovani o i non qualificati. Occorre salvaguardare la democrazia: interessano riforme che mettano al centro i cittadini-elettori, che ne facciano i decisori finali della competizione propria della democrazia governante. Sulla scorta di questa forte opzione democratica, sono stati individuati quattro punti e prioritari: due problemi – la democrazia interna ai partiti e la lotta alla criminalità organizzata – sono stati affiancati ai due già presenti nel documento preparatorio: la legge elettorale/forma di governo e il federalismo.
Serve una decisa spinta verso una maggiore democrazia nei partiti. Come sosteneva già don Luigi Sturzo, c’è bisogno di una legge – coerente con i correttivi che vanno apportati alla legge elettorale e alla forma di governo – che disciplini alcuni aspetti cruciali della vita dei partiti, prevedendone la pubblicità del bilancio e regole certe di democrazia interna.
In maniera altrettanto convinta ci si è pronunciati per la revisione della legge elettorale a tutti i livelli e per tutte le istanze. Occorre dare all’elettore un reale potere di scelta e di controllo. Bisogna anche affrontare la questione del numero dei mandati e dell’ineleggibilità di quanti hanno pendenze con la giustizia.
Il nodo della forma di governo è stato affrontato in coerenza con la richiesta di restituire il potere di scelta ai cittadini-elettori. Non è sfuggito il rilievo costituzionale del tema. La Costituzione italiana è frutto di un’esperienza esemplare di alto compromesso delle principali culture politiche del Paese. Eventuali modifiche non devono stravolgerne l’impianto fondante, definito anzitutto nella prima parte.
Quanto al federalismo, si è affermato che, a partire dalla riforma del titolo V della Costituzione, avvenuta nel 2001, esso fa ormai parte della storia nazionale. C’è bisogno di informazione e formazione per “abitare” questa scelta, soprattutto nel momento in cui si procede all’attuazione della parte fiscale del disegno di riforma. Ci troviamo di fronte a un duplice bivio. In primo luogo, si può fare del federalismo una lotta agli sprechi, responsabilizzando chi ha potere decisionale in ordine alle spese e i cittadini a un controllo più deciso, oppure si può passare da un centralismo statale a un centralismo regionale, con il rischio di prevaricazione da parte di poteri non trasparenti. In secondo luogo, si può fare del federalismo un modo diverso di pensare l’unità del Paese, oppure sancire una frattura ancora più insanabile tra Nord e Sud. Di fronte a queste alternative, il principio di sussidiarietà verticale e orizzontale (cioè la poliarchia) si offre come prospettiva dirimente capace di valorizzare due grandi protagonisti della democrazia, l’associazionismo e la città. Dare coerenza di sussidiarietà al federalismo serve anche a offrire al Mezzogiorno «una sfida che potrebbe risolversi a suo vantaggio, se riuscisse a stimolare una spinta virtuosa nel bonificare il sistema dei rapporti sociali, soprattutto attraverso l’azione dei governi regionali e municipali, nel rendersi direttamente responsabili della qualità dei servizi erogati ai cittadini, agendo sulla gestione della leva fiscale»[1] e alimentando nel Paese una sana reciprocità[2]. A queste condizioni, il federalismo costituisce un obiettivo realistico di migliore unità politica e di maggiore solidarietà. Tanto una riforma in senso federalista dà respiro di sussidiarietà al sistema politico, quanto un rafforzamento dell’esecutivo nazionale pone le condizioni di efficaci politiche di solidarietà.
Ai temi sopra enunciati – la centralità decisionale dei cittadini nei momenti cruciali della vita democratica e il federalismo sussidiario bilanciato da un esecutivo nazionale più forte – si è voluto aggiungere un ulteriore punto dell’agenda: la lotta alla mafia in tutte le sue denominazioni e in ogni area del Paese. Tale lotta va accompagnata da una coerente azione educativa e dotando l’amministrazione giudiziaria delle risorse atte a favorire la certezza del diritto.
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