La scorsa settimana, sono stato uno degli spettatori de Il Divo di Paolo Sorrentino.
Il video che qui riporto è uno dei passaggi centrali del film, un monologo in cui viene esposta la tesi che l'esercizio del potere comporta la necessità del ricorso al male in nome di un bene maggiore. Non si capisce se sia una convinzione reale o una giustificazione e infatti uno dei punti chiave della rappresentazione cinematografica è l'ambiguità del personaggio principale.
Con la potenza evocativa del cinema, qui viene enunciata una tesi ricorrente nel dibattito pubblico sui più svariati argomenti, dalla guerra all'evasione fiscale. Non mi interessa più di tanto entrare nel merito sulla persona di Giulio Andreotti. Nelle opere d'arte, spesso i personaggi storici sono rappresentati in una chiave allegorica, non necessariamente aderente alla realtà. Lo hanno fatto, per esempio, Shakespeare e Dante. L'immagine di Andreotti che il film costruisce è efficace in quanto dà forma a un modo di intendere il potere che è reale e che può assumere mille altri volti.
Io credo che questa tesi sia sbagliata, perché diventa un paravento dietro il quale si può lasciar passare di tutto a seconda delle convenienze. Però, ritengo anche che sia un modo di pensare più diffuso e accettato di quanto non si immagini. Quella del film è una rappresentazione volutamente esagerata e grottesca, ma possiamo trovare attorno a noi esempi molto più sottili, accattivanti e subdoli. A cominciare dalla nostra interiorità. E' la sostanza che non cambia. Il potere è una tentazione a cui stare attenti, in politica ma anche nelle realtà religiose.
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