Che cosa direbbe, oggi, don Primo Mazzolari, grande figura novecentesca di prete delle nostre terre di pianura? Ha affrontato l'interrogativo anche un'amica, Mariangela Maraviglia, autrice di diversi studi su Mazzolari e di un nitido profilo biografico di questo testimone della fede (Don Primo Mazzolari. Con Dio e con il mondo, Qiqajon). Riporto la prima parte di un suo intervento che ho ricevuto.
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E’ una domanda, quella posta, che risuona immancabilmente in occasione di ogni incontro dedicato al grande parroco di Bozzolo, voce critica e profetica della Chiesa e della storia del Novecento.
La prima risposta sorge spontanea in chi voglia preservare un rigore di lettura storica e una fedeltà non strumentalizzante alla biografia mazzolariana: non possiamo chiederci cosa direbbe oggi il prete cremonese ma cosa dobbiamo dire noi, credenti e pensanti, anche facendo tesoro della sua vigorosa lezione.
Un lezione che ci restituisce una fede viva nel Vangelo di Cristo ma collocata decisamente nello spazio della testimonianza piuttosto che in quello della imposizione; la nitida consapevolezza che a fronte della incalzante secolarizzazione è del tutto inefficace l’innalzamento di argini di difesa nei confronti dei “lontani” ma occorre invece puntare sulla formazione delle coscienze; la chiara percezione che nel suo progresso denso di contraddizioni l’umanità ha bisogno di una Chiesa piuttosto compagna di cammino e di discernimento che dispensatrice di sentenze di condanna.
Una lezione che raccomanda un rapporto di estrema libertà della Chiesa nei confronti del potere politico, il rifiuto di “privilegi per sé soltanto” – come scriveva lucidamente Mazzolari negli anni del Concordato tra Chiesa e fascismo - che le impediscano la franca espressione della profezia di cui è erede e messaggera nella storia.
Una lezione che raccoglie dal cattolicesimo francese – in primo luogo da Jacques Maritain - la irrinunciabile distinzione dei diversi ruoli che nella moderna democrazia spettano al clero e ai laici, il primo proteso ad annunciare i fondamenti evangelici della vita cristiana, i secondi chiamati a discernere dai principi le concrete realizzazioni che si rendono possibili nelle contingenze della storia e nel confronto fattivo con le differenti forze sociali e politiche.
L’abissale distanza da queste prospettive della realtà ecclesiastica contemporanea si staglia con lampante evidenza di fronte a noi e non poche voci si vanno levando a denunciare l’emergenza di una situazione che in Italia mette a rischio la tenuta della democrazia, in contesti più vasti la stessa credibilità della Chiesa cattolica come annunciatrice del messaggio evangelico.
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Mariangela ritiene che un elemento che ha contribuito all'attuale situazione sia stata, da parte dei vertici della gerarchia italiana, l'adozione di una "strategia" di scambio che ha dissociato i vantaggi ottenibili in termini legislativi da una parte politica, con la quale si è stabilito un rapporto preferenziale, dalla visione dell'etica, della persona umana e della società di cui erano portatori gli interlocutori.
Conclude, richiamando un monito inascoltato di Carlo Maria Martini del 1995: “ […] non è lecito pensare di poter scegliere indifferentemente, al momento opportuno, l’uno o l’altro a seconda dei vantaggi che vengono offerti. E’ questo un tempo in cui occorre aiutare a discernere la qualità morale insita non solo nelle singole scelte politiche, bensì anche […] nella concezione dell’agire politico che esse implicano. Non è in gioco la libertà della Chiesa, è in gioco la libertà dell’uomo; non è in gioco il futuro della Chiesa, è in gioco il futuro della democrazia”.
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