Perché occuparsi di politica, di bioetica, delle questioni della Chiesa e della società? Non è la presunzione di voler dare lezioni, il compiacimento nell'apparire, il desiderio in qualche modo di voler contare? Mi interrogo sul mio scrivere.
Non dovrebbe bastare semplicemente vivere, senza la pretesa, o l'illusione, di influenzare in qualche modo il mondo che mi circonda? Forse, tutte queste parole, sulla carta o sullo schermo di un computer, distolgono dalla vita. Forse, sono una fuga. Il rischio e la tentazione ci sono, ma è la vita stessa a parlare.
Sono uscito sul balcone di casa, nell'umido di questo inverno che non molla la presa. Curo le poche piante che il mio tempo e le scarse capacità botaniche mi consentono. Compenso con la vista degli alberi, dei campi e del fiume, il quale scorre insieme ai miei giorni.
I germogli della nuova fioritura, che un paio di settimane fa si indovinavano appena, ora sono un piccolo, verde inizio. Così va il mondo. C'è sempre una novita che nasce e cresce. Come lo scorrere del fiume, non dipende da noi; non ne abbiamo il controllo. Però, ciò che ci accade attorno ci tocca, rende l'esistenza più bella o più brutta. E viceversa noi tocchiamo gli altri, direttamente o indirettamente, anche quando scegliamo di non fare nulla.
Non sono io a far crescere le piante del mio balcone, ma senza quel poco di cura che riservo loro non vivrebbero, e non ci sarebbe nemmeno quella goccia di bellezza che aggiungono al mondo.
Così è per la società in cui abito. Scrivere è un modo di partecipare, purché non sia l'unico, occupando e svuotando il resto del tempo e delle relazioni.
Il mondo mi raggiunge e, in una certa misura, io raggiungo il mondo. C'è uno scambio dove ho qualcosa da portare nella misura in cui ascolto gli altri e Dio. E scrivo non per insegnare, ma per fissare e sintetizzare riflessioni, intuizioni, domande...
Guai, se scrivessi per insegnare. Guai, se scrivessi contro qualcuno. Le parole diventerebbero strumento di controllo e di violenza. Sono convinto che ci sia un'etica della parola scritta, come in ogni relazione umana.
Certo, scrivendo prendo posizione, mi schiero. Mi chiedo spesso se in questo modo divento fazioso e mi ergo a giudice. Eppure, anche Gesù si è schierato.
Credo che la misura stia nel come e perché ci si schiera. Si è faziosi quando lo si fa per partito preso, in base a un pregiudizio: a prescindere da argomenti e buone ragioni, si stabilisce che una parte ha sempre ragione e un'altra ha sempre torto. Si è faziosi, quando si crea una dicotomia e ci si pone senza auto-critica dalla parte giusta.
Una calcolata neutralità, che compie ogni sorta di equilibrismo per non sbilanciarsi, ha un che di ipocrita e in fondo di interessato.
Un altro criterio importante è mantenere sempre il rispetto dell'altro, adottando uno stile di comunicazione nonviolento, evitando di disprezzare e squalificare l'altro. Se no, si usano le parole per prevaricare l'altro ed esaltare se stessi.
Un'ultima considerazione mi à venuta dalla Parola: schierarsi, quando è denuncia dell'ingiustizia e protesta contro il dolore, è un servizio richiesto da Dio che nasce nel crogiuolo della preghiera. E' Dio stesso che ha esortato i giusti a rivolgersi a lui, quasi a fargli da vedette, e a scuoterlo.
Isaia ha detto: Sulle tue mura, Gerusalemme, ho appostato sentinelle: giorno e notte non taceranno. Voi, che ricordate le promesse del Signore, non state in silenzio e neppure lasciate lui in silenzio, finché non abbia ristabilito Gerusalemme (62,6-7).
E il salmo 83,2: O Dio, non stare in silenzio / non tacere e non startene zitto.
Il comunicare, se matura nell'interiorità, nell'ascolto umile, nella ricerca paziente, è un essere sentinelle di Dio, aiutandoci l'uno con l'altro a riconoscere il bisogno della sua venuta, a desiderarla e a coglierne i segni.