Sabato 20 novembre, a Bologna, ho partecipato all'incontro organizzato dal Centro Viandanti, di cui sono uno dei fondatori (A 50 anni dal Concilio: laici come?). Hanno partecipato i rappresentanti di una dozzina di gruppi ecclesiali del Centro-Nord Italia con i quali si sta costituendo una rete per essere opinione pubblica e soggetti attivi nella Chiesa.
Franco Ferrari, l'anima del Centro, ha delineato gli obiettivi che i Viandanti si propongono nella situazione odierna della Chiesa, descritta con grande lucidità da Gianfranco Brunelli, caporedattore de il Regno. Il momento più significativo è stata la messa in comune delle rispettive storie, da parte dei presenti, che hanno poi presentato le proprie proposte per un itinerario futuro in cui non ci si rivolgerà solo ad "addetti ai lavori", ma si andrà verso un coinvolgimento più ampio.
A me è stato chiesto di preparare e condurre un momento di preghiera laicale. Presento di seguito la mia introduzione a questa conclusione dell'icontro.
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Fin dal seminario di fondazione dei “Viandanti”, si era detto che questa iniziativa non vuole essere soltanto un contesto di riflessione culturale o di dibattito ecclesiale, ma dare vita a un’autentica esperienza di Chiesa. Il momento della preghiera ci fa fermare, ci fa guardare oltre le nostre opinioni e visioni individuali, ci orientare lo sguardo a quella presenza dello Spirito che si dona a noi in ogni momento e situazione della nostra storia. Secondo l’ispirazione dei “viandanti”, la preghiera andrebbe riscoperta nell’orizzonte di una spiritualità laicale.
Viviamo una stagione ecclesiale in cui l’accompagnamento all’interiorità, alla contemplazione, al rapporto personale con Dio è sovrastato dal formalismo liturgico e dalla fusione nella folla degli appuntamenti di massa. Entro uno scenario del genere, con le spinte di nuovo clericalismo che oggi abbiamo ampiamente esaminato, la preghiera è approcciata secondo modalità e linguaggi che sono propri degli ordinati e dei consacrati.
Il movimento dello vita spirituale è la nascita di Cristo in noi, il prendere la sua forma nel divenire della nostra vicenda, fino a che il suo stile di esistenza diventa il nostro stile, nel “qui e ora” che appartiene soltanto a noi. «Inutilmente Cristo nasce in Betlemme se non nasce in te», dice Angelo Sileus nel suo libro Il pellegrino cherubico. E Giovanni Vannucci, monaco e mistico, citandolo aggiunge: «Siamo noi che dobbiamo diventare coscienti che nella nostra grotta c’è il bambino divino che vuole crescere, illuminarci e trasformarci, e deve nascere in noi».
Si può parlare di una spiritualità propria del laico cristiano che non sia ripetizione di modelli mutuati da altri carismi? È difficile rispondere, perché non esiste una riflessione articolata in proposito. Le dinamiche dell’interiorità hanno una portata universale, dal momento che è l’umanità il terreno comune fecondato dallo Spirito. Ma, allo stesso tempo, cambia il modo di disporsi ad accogliere il dono e gli effetti che produce, cambiano i frutti, al variare della vita che li riceve. Dio si incarna sempre in una storia, con i suoi luoghi, la sua lingua, i suoi sapori, le sue situazioni. E noi siamo tempo, siamo storia. Dio, allora, prende forma in noi facendosi presenti nei nostri luoghi, lingua, sapori e situazioni… La storia di un laico cristiano, con il suo vissuto famigliare, civile, lavorativo, non è evidentemente la stessa di un ordinato!
Quello di oggi è un tentativo di preghiera nello stile laicale, non una modalità definita e compiuta. Penso sia importante non avere la presunzione di inventare tutto da zero, ma riprendere quanto di positivo è già stato proposto in tal senso. Il nuovo volto di Chiesa che cerchiamo ha già una storia alle spalle, con i suoi “padri” e “madri”, che non va dimenticata, bensì ripresa e continuata. Uno di loro è stato sicuramente il biblista Giuseppe Barbaglio. Nel 1987, in un prezioso libro, aveva spiegato come la Bibbia presenti una visione laica (e laicale) del mondo, delle relazioni sociali e della Chiesa (La laicità del credente. Interpretazione biblica, Cittadella). La sua ipotesi era che la fede biblica sia il fondamento di una vera e radicale laicità, intesa come l’atteggiamento di chi vive autenticamente la sequela di Gesù.
A partire dallo spunto di Barbaglio è possibile allora pregare la Parola non per atto devozionale o per ricavarne una dottrina, ma per rileggere alla sua luce il nostro quotidiano personale e collettivo. La Bibbia non come messaggio soprannaturale che si sovrappone ai nostri vissuti, creando uno spazio sacro separato dal profano, ma come buona notizia che ci consente di riconoscere il Risorto in ogni ambiente e momento profano. Secondo Raimon Panikkar, il messaggio che il Risorto ci rivolge è: «“Sono risuscitato e ancora sto con te”, e ora questa a mio parere è la parte più importante. Si tratta della nostra risurrezione. Se noi non siamo risorti non serve a niente». Il nostro intimo, la nostra vita, la nostra prassi risorgono. Non è un altro mondo, è questo mondo: le realtà e i momenti che viviamo.
Grazie e complimenti
Scritto da: giovannino | 10/12/10 a 15:21
Non sono più giovanissimo, anzi posso dire di essere anziano, da anni sto lavorando per l'ecumenismo. Dopo lunga formazione, mi sono orientato verso l'Ortodossia che è più consona alla mia spiritualità.
Il mio percorso ecumanico è partito da Taizè nel 1072.
Non ho mai avuto occasione di lavorare per questa mia "vocazione".
Sono sempre stato ai margini.
Adesso vedo che altri si sono incamminati su questa strada e ci siamo incontrati.
Grazie
Scritto da: Gigi Trezzi | 24/12/10 a 17:00
Meno male che ci sei
Cettina
Scritto da: Liberrima | 27/12/10 a 14:11