La crisi della pedofilia avrà effetti profondi sulla Chiesa cattolica che forse non è ancora possibile prevedere. Sicuro è il suo impatto senza precedenti, nel quale gioca forse (al di là delle oggettive responsabilità che sono naturalmente sempre da accertare e portare davanti alla giustizia) anche una certa strumentalizzazione da parte dei mezzi di comunicazione.
Lo dimostra un articolo di Maria Elisabetta Gandolfi, dal sito Vino Nuovo, che racconta un recente episodio in un modo un po' diverso da come è stato riferito generalmente. Vale la pena di leggere.
Non ero a Roma lo scorso 31 ottobre, ma dalle cronache ho colto un fatto importante.
Si era dato appuntamento in prossimità del Vaticano un gruppo misto internazionale (guidato dagli esponenti di Survivors voice) di vittime di violenze sessuali da parte di personale ecclesiastico. C'erano anche degli italiani.
Avevo assistito all'incontro di fine settembre a Verona che aveva riunito per la prima volta un gruppo di vittime italiane - l'Associazione ex alunni dell'Istituto per sordi Provolo di Verona, presente anche a Roma - e tanti singoli, per darsi una forma di coordinamento e farsi sentire in Vaticano. Avevo percepito la rabbia e la frustrazione per non aver trovato ascolto da parte della Chiesa (Regno-attualità 18,2010,596; 10,2010,289).
Nella manifestazione a Castel Sant'Angelo, grazie ai resoconti dei colleghi - specialmente quelli di lingua inglese, molto sensibili sul tema - è emerso un gesto importante: padre Lombardi, direttore della Sala stampa della Santa Sede, che esce dal suo studio e va verso i manifestanti, 60, 100 persone al massimo. Non era importante di per sé il numero. Due passi appena dista la sede di Radio Vaticana affacciata su piazza Pia; poteva però essere considerata una distanza abissale. E invece «le finestre del mio ufficio sono appena a pochi metri da qui; pertanto mi è sembrato opportuno ascoltarvi e mostrare attenzione al vostro incontro» - ha detto Lombardi, leggendo un breve testo in lingua inglese.
Gesto compiuto «a titolo personale» ha sottolineato lo stesso direttore e senza aspettare tempo, come rileva The Tablet - periodico cattolico d'Oltremanica - facendo notare che il testo presentava un inglese con alcune «imperfezioni»: era stato, cioè scritto e tradotto di getto.
Lombardi ha provato ad aprire un dialogo. Nonostante «io non condivida tutte le vostre dichiarazioni e posizioni»: il lato debole nelle risposte che la Chiesa dà man mano che episodi di violenze vengono alla luce è quello infatti che la mostra sulle difensive, più preoccupata della propria immagine che dell'accoglienza delle vittime. Per questo quel gesto è importante. Un gesto che dà forma concreta a una sincera ricerca di «solidarietà e consenso tra noi» - sono sempre sue parole.
Ma nel giro di qualche momento è stato raggiunto da una schiera di fotografi e cineoperatori; una voce si è levata - «Vergogna!» - e padre Lombardi si è ritirato, dando appuntamento ai rappresentanti del gruppo per un colloquio in privato nel suo ufficio. Qui occorrerebbe più di una parola sul ruolo dei media, sul fatto che non passa giorno in cui non vi siano nuove rivelazioni emerse sempre e solo grazie al lavoro giornalistico, ma anche sulla reciproca strumentalizzazione tra questo e le vittime, delle cui storie si nutre per rifarsi una fedina professionale pulita e apparire agli occhi del pubblico come unico difensore del vero. Qui, però, basta solo dire che Lombardi ha giustamente interrotto le trasmissioni e ha rimandato il contatto a un momento privato.
Del colloquio, avvenuto dopo che i manifestanti si erano recati alla spicciolata in piazza San Pietro per consegnare alcune lettere indirizzate al Papa, sappiamo poco e forse non è neppure così importante saperlo. Ciò che conta è il gesto di una persona che vive un ruolo di «profondo coinvolgimento e identificazione con la Chiesa cattolica e la Santa Sede», che prova a mostrare che la Chiesa, nonostante possa fare «di più e più in fretta», è «un alleato» delle vittime e sta dalla loro parte.
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