SPERARE PER TUTTI

Liu Xiaobo: la nonviolenza cammina ancora

Ho trovato in rete un testo del premio Nobel per la pace Liu Xiaobo, detenuto in Cina. Fa parte dell'arringa difensiva al processo-farsa da lui subito. E' un discorso di alta levatura che si colloca nella linea della tradizione nonviolenta di Gandhi e Martin Luther King. Di fronte a parole del genere, si rivelano in pieno la bassezza e la povertà interiore della nostra classe politica. Sono parole grandi, perché nascono dall'essere, dall'interiorità, non da un'ideologia o un'appartenenza di partito.

La versione integrale sarà pubblicata sulla rivista Lo straniero.

Giugno 1989 è stato un momento di svolta nella mia vita. La carriera universitaria ha seguito un corso normale; dopo la laurea sono rimasto all'università di Pechino.

In cattedra, ero un insegnate benvoluto ed ero un intellettuale pubblico. Negli anni Ottanta, ho pubblicato articoli e libri, sono stato invitato a conferenze e corsi anche in America e Europa. La mia regola di vita era di comportarmi con onestà, senso di responsabilità e dignità.

Poi, tornato in Cina per prendere parte al movimento dell'89, fui imprigionato per "propaganda controrivoluzionaria e incitazione al crimine". Non avrei più potuto pubblicare o fare conferenze in Cina. Per aver espresso opinioni politiche diverse e aver preso parte a un movimento pacifico e democratico, un insegnante perde la cattedra, uno scrittore perde il diritto di pubblicare e un intellettuale la possibilità di parlare in pubblico: questo è triste, non solo per me, ma per la Cina, dopo trent'anni di riforme.

Le esperienze più drammatiche della mia vita dopo il 4 giugno hanno a che fare con i tribunali. Le due occasioni che ho avuto di esprimermi in pubblico mi sono state fornite dal tribunale di Pechino, una nel gennaio 1991 e una ora. Capi d'accusa identici: reati d'opinione.

Le anime del 4 giugno non riposano ancora in pace. Dopo essere uscito dalla prigione di Qincheng nel 1991, ho perso il diritto di parola nel mio paese e mi sono potuto esprimere solo coi media stranieri. Sono stato agli arresti domiciliari (maggio 1995-gennaio 1996), mandato in un campo di rieducazione attraverso il lavoro (ottobre 1996-ottobre 1999) e oggi sono processato dai miei nemici.

Ripeto quanto avevo detto venti anni fa nella "Dichiarazione per il secondo sciopero della fame del 2 giugno": non ho nemici, non provo odio. Nessuno dei poliziotti che mi hanno tenuto sotto sorveglianza, arrestato, interrogato, nessuno dei procuratori che mi hanno perseguito, nessuno dei giudici che mi hanno condannato è un mio nemico. Anche se non posso accettare i vostri arresti e le vostre condanne, rispetto le vostre professioni e personalità.

L'odio corrode la saggezza e la coscienza, la "mentalità del nemico" avvelena lo spirito di una nazione, incita a lotte mortali, distrugge la tolleranza e l'umanità di una società, blocca lo sviluppo verso democrazia e libertà. Spero di trascendere le mie vicende in una comprensione dello sviluppo dello stato e dei cambiamenti della società, contrastare l'ostilità del potere con le mie migliori intenzioni, sostituire l'odio con l'amore.

La politica delle riforme ha portato allo sviluppo dello stato e alla trasformazione della società. Le riforme sono cominciate quando è stato abbandonato il principio della lotta di classe. Ci siamo dedicati allo sviluppo economico e all'armonia sociale. Il processo di abbandono della filosofia della lotta equivaleva allo stemperamento della mentalità del nemico, all'eliminazione della psicologia dell'odio e all'eliminazione del "latte della lupa" nel quale i cinesi erano stati immersi. Questo processo ha consentito la nascita di un ambiente più sereno per le riforme, per ristabilire l'amore fra le persone, per offrire un terreno più favorevole alla coesistenza pacifica di valori e interessi diversi. Così sono esplosi la creatività e il ritorno a un sentimento di umanità. L'orientamento dell'economia al mercato, il pluralismo culturale, l'evoluzione di uno stato di diritto hanno tratto profitto dall'indebolimento della mentalità del nemico. Anche in campo politico, dove i progressi sono stati più lenti, il potere è diventato più tollerante delle diversità sociali, è calata la persecuzione dei dissidenti.

L'indebolimento della mentalità del nemico ha portato il potere ad accettare l'universalità dei diritti dell'uomo. Nel 1998, il governo si è impegnato a sottoscrivere le due convenzioni internazionali sui diritti umani dell'Onu. Nel 2004, l'Assemblea del popolo ha iscritto per la prima volta nella Costituzione che "lo stato rispetta e garantisce i diritti umani". Il potere politico ha annunciato di voler mettere "l'uomo al centro" e di voler creare una "società armoniosa". Questi cambiamenti li ho sperimentati dopo il mio ultimo arresto.

Anche se mi professo innocente, ho conosciuto due prigioni, quattro uffici di polizia, tre procuratori e due giudici. Nel mio caso, non mi hanno mai mancato di rispetto. Il 23 giugno 2009 sono stato trasferito dal mio domicilio sorvegliato all'Ufficio di pubblica sicurezza di Pechino, noto come Beikan. Nei sei mesi che ho passato lì ho visto i progressi intervenuti nella gestione delle carceri.
Sono convinto che in Cina il progresso politico non si fermerà: nessuna forza può bloccare l'aspirazione dell'uomo alla libertà. Un giorno la Cina diventerà uno stato di diritto rispettoso dei diritti umani. Spero che un tale progresso potrà riflettersi sul mio caso.

L'esperienza più fortunata di questi vent'anni è l'amore incondizionato di mia moglie Liu Xia. Oggi non può essere presente al processo, ma voglio dirti, amore mio, che sono sicuro che il tuo amore per me non cambierà. Nella mia vita non libera, il nostro amore ha conosciuto l'amarezza imposta dall'ambiente esterno, ma quando ci penso lo considero un amore senza confini. Sono stato condannato a una prigione visibile, mentre tu aspetti in una prigione invisibile. Il tuo amore è la luce che supera i muri di recinzione e le sbarre alle finestre, che carezza la mia pelle, che mi consente di mantenere la mia calma interiore, la mia magnanimità e la mia lucentezza, rendendo significativo ogni minuto che trascorro in prigione. Ma il mio amore per te è pieno di colpe e rimpianti, tanto che rende pesanti i miei passi. Sono come una pietra in una landa desolata, ma il mio amore è solido. Anche se venissi ridotto in polvere, ti abbraccerei con le mie ceneri.

Spero che un giorno il mio paese sarà una terra dove ci si potrà esprimere liberamente; dove valori, fedi, opinioni diverse potranno convivere. Spero in un paese dove le opinioni politiche diverse da quelle di chi detiene il potere saranno rispettate e protette; dove tutti i cittadini potranno esprimere le loro opinioni politiche senza paura e le voci dissenzienti non saranno perseguitate. Spero di essere l'ultima vittima dell'immarcescibile inquisizione e che dopo di me nessun altro venga incarcerato per quello che ha detto.

La libertà di espressione è la base dei diritti umani, la radice dell'umanità, la madre della verità. Impedire la libertà di parola significa calpestare i diritti umani, schiacciare la verità. Non mi sento colpevole di aver utilizzato il diritto alla libertà di parola sancito dalla Costituzione. Io sono innocente, e anche se vengo condannato per questo, non me ne cruccio. Grazie.

(Traduzione di Maria Rita Masci)

Educazione: detto e non detto

Stasera sarò in una parrocchia del cremasco a parlare di educazione con un gruppo di genitori. E' la terza volta in poco più di un anno che mi viene chiesto di tenere incontri del genere, segno di un interesse reale. Proprio all'educazione sono dedicati gli orientamenti pastorali dei vescovi italiani per il prossimo decennio.

Il documento della CEI, Educare alla vita buona del Vangelo, è stato appena pubblicato dopo una lunga gestazione. Il contenuto nell'insieme ampiamente condivisibile e contiene tracce delle riflessioni di Carlo Maria Martini che con la sua lettera pastorale sull'educazione Dio educa il suo popolo aveva profeticamente anticipato queste problematiche oltre 20 anni fa.

Il tema è stato e sarà affrontato a più riprese, quindi non mi ci soffermo ora in modo particolare. Voglio solo far notare due aspetti del testo che mi hanno colpito, tra detto e non detto.

Da una parte si parla di verifica della ricaduta dei precedenti orientamenti pastorali, ed è bene che nella Chiesa non ci si limiti agli annunci e alle dichiarzioni di principio, ma si cerchino dei riscontri sull'efficacia delle indicazioni di percorso che ci si è dati. Posso dire che la mia percezione, da "interno", è che questa ricaduta sia stata piuttosto flebile. Passiamo a nuovi orientamenti pastorali, senza che quelli vecchi siano stati realmente recepiti.

Dall'altra parte, nel documento non è mai usata l'espressione "valori non negoziabili" che per qualcuno sembra essere la bandiera del cattolicesimo di oggi, la sua massima espressione. A me il documento sembra più vicino alle problematiche del territorio, quelle con cui si misura la "Chiesa tra le case degli uomini". La battaglia sui valori, invece, riguarda un piano più politico-legislativo.

Si possono ottenere da governi compiacenti leggi gradite su famiglia, scuola e vita, ma alla fine questo non incide minimamente sul "vuoto" che si creato nella trasmissione della fede e sull'allontanamento di massa dal senso cristiano dell'esistenza e dall'esperienza cristiana di fede. Eppure, la maggior parte dell'attenzione e delle energie negli ultimi anni si è concentrata proprio su questi temi, facendo passare in secondo piano l'emergenza educativa con cui si misurano quotidianamente parrocchie e diocesi. Come se il cristianesimo fosse prevalentemente un'etica o un'idea, più che un'esperienza di incontro con il Signore della nostra vita, l'unico che sempre resta e mai delude.

Questione di presupposti

Per una società scristianizzata ci vuole un dicastero che si dedica alla "nuova evangelizzazione". Questa, in sintesi, una delle ultime scelte pastorali del Vaticano con l'istituzione di un nuovo organo della Curia Romana con a capo monsignor Rino Fisichella.

Sul blog del biblista Piero Stefani è apparso un commento a questa iniziativa che va a criticarne i presupposti.

L’errore di analisi non si concentra nel modo di tratteggiare l’età presente. Questo quadro, infatti, è frutto della maniera in cui si erano dipinte le società precedenti: lo sbaglio si annida lì. Il distacco è avvenuto «in società e cultura che da secoli apparivano impregnate dal Vangelo».  Nessuna società apparsa su questa terra è stata conforme al Vangelo e se qualcuna ha dichiarato di esserlo lo ha fatto soltanto  perché ha tradito il Vangelo, a iniziare proprio da questa stessa dichiarazione. Sono esistiti ed esistono credenti; ma se si assume l’aggettivo in senso proprio non sono esistite e non esistono società impregnate di Vangelo. Sono esistite solo società in cui il sacro costituiva una forma di collante collettivo nel senso della religio (da re-legare), ma ciò è esattamente quanto la predicazione evangelica ha cercato di mandare in frantumi al fine di attestare un modo diverso di vivere la fede. Proprio la vita dei credenti guidata dalla fede, dalla speranza e dell’amore rappresenterebbe, peraltro, l’unica,  mite  testimonianza consona a quanto merita di venir chiamata «nuova evangelizzazione».

Ripensare la Chiesa cattolica

E' possibile dare una diversa impostazione alla Chiesa? Ci sono già in atto esperienze di vario segno; un amico, per esempio, ha redatto una descrizione sintetica del progetto portato avanti dalla diocesi di Poitiers. Fa parte di una riflessione che stiamo cercando di portare avanti nella nostra realtà di Crema e la presento anche a chi capita sul blog.

La diocesi di Poitiers, in Francia, è stata in questi anni protagonista una coraggiosa esperienza di rinnovamento, avviata dal Sinodo del 1988-1993 sulla base di due coordinate: "Una Chiesa nel cuore del mondo" e "Comunità cristiane con preti al loro servizio".

L'idea di fondo è stata riorganizzare la diocesi - che contava 750.000 abitanti, 604 parrocchie (44% con meno di 300 abitanti), riunite in 77 "settori" (corrispondenti a una divisione territoriale civile), raggruppati in 13 "zone pastorali" - non "riportando l'essenziale della vita cristiana intorno a un unico punto in cui risiede il sacerdote" (cioè riunendo più parrocchie attorno a un parroco in un processo di centralizzazione, ulteriore clericalizzazione e minore contiguità della Chiesa alle persone), ma costituendo "comunità locali" in cui sia possibile vivere i tre compiti fondamentali della Chiesa: la testimonianza/annuncio, la preghiera/liturgia e il servizio/carità.

La guida e l'animazione di una "comunità locale" sono affidate a una "équipe di base" formata da cinque laici scelti per tre anni con mandato rinnovabile una sola volta: tre "incaricati", ognuno di un compito fondamentale (catechesi, liturgia, carità), designati dal Consiglio pastorale del "settore", e due "responsabili" (della vita materiale o tesoriere; della comunione o "delegato pastorale", che deve rappresentare la comunità presso il "settore") eletti dalla gente. Attorno a ciascun membro della "équipe di base" si costituisce un gruppo. Il territorio della "comunità locale" si definisce sulla base dello spazio necessario per trovare cinque responsabili di base, partendo quindi dalle persone e non dal campanile (la "comunità locale" più piccola ha 163 abitanti, la più grande 4.000) Ogni comunità locale è inserita in un "settore", che, in quanto unità pastorale di base, ha l'incarico di animare la vita delle comunità che lo costituiscono, mantenendole in comunione non solo con sé, ma anche fra loro.

Fondamento dell'iniziativa e della responsabilità dei laici sono i sacramenti dell'iniziazione cristiana nonché l'ecclesiologia di comunione del Vaticano II che valorizza il sacerdozio comune dei fedeli.

Compito del prete diventa "essere padre nella fede", favorire l'unione fra le comunità di cui è pastore (in quanto responsabile del "settore") ed "essere segno vivo dell'Altro". In concreto egli non si occupa più della "pastorale ordinaria", ma della comunione/coordinamento all'interno del "settore" e del sostegno ai membri delle "équipe di base". Il prete non è più colui che dirige, ma colui che incoraggia, il suo ruolo non riguarda più solo il culto e l'amministrazione dei sacramentali, ma la costruzione di comunità di credenti e la loro apertura missionaria, con un ministero (relativamente) itinerante.

Dopo 10 anni erano state insediate 273 "comunità locali" e, pur tra difficoltà, il processo ha prodotto un notevole coinvolgimento di laici, destinatari di un grande sforzo di formazione, e una forte rimotivazione del clero.

Il matrimonio: storia e non rito

Giovedì sera, al termine di una giornata per molti aspetti massacrante, io e mia moglie Silvia abbiamo tenuto insieme un intervento al primo incontro del corso diocesano di preparazione al matrimonio davanti a più di 30 coppie di fidanzati.

Era una novità, per Crema, che a presentare il sacramento del matrimonio fosse una coppia e non un prete.

Sappiamo che per molti dei partecipanti, spesso già conviventi, questo momento è un incontro con la realtà ecclesiale che viene dopo anni e anni di distacco. Di fronte a loro non ha senso voler presentare un discorso dottrinale.

Per questo abbiamo cercato di far capire che cosa si intende con il fatto che il matrimonio cristiano è un sacramento. Ci siamo sforzati di spiegare che non si tratta di un rito, ma del momento di una storia d'amore che non ha per protagonisti solo l'uomo e la donna, ma anche Dio.

Ecco di che cosa è segno il matrimonio: della presenza di Dio nella storia di quella coppia, di quella famiglia. Sposarsi in chiesa non è un episodio che dopo quel giorno resta solo nelle fotografie. E' un avvenimento che fa parte di una vicenda in cui, se glielo consentiamo, Dio ci educa all'amore, fa emergere da noi la nostra capacità di amare.

Certo, è una presenza che va costantemente riscoperta e alimentata.

I cattolici e i l'egemonia leghista

La Settimana Sociale dei cattolici italiani è passata abbastanza sotto silenzio, poca attenzione da parte dei media e pochi messaggi forti e chiari. Fa eccezione forse questo intervento del Presidente delle ACLI Andrea Olivero sull'Unità.

La questione della cittadinanza italiana per i minori nati nel nostro Paese da genitori stranieri non può più essere rimandata. Se n’è parlato con insistenza in questi giorni nel mondo cattolico, riunito a Reggio Calabria per l’appuntamento tradizionale delle Settimane Sociali: 1200 delegati provenienti dalle 227 diocesi italiane per elaborare - era il tema di quest’anno - un’Agenda di speranza per il futuro del Paese.

Quale sia oggi il “sentimento” dei cattolici italiani nei confronti dei figli degli immigrati lo si evince inequivocabilmente da queste parole, contenute nel Documento preparatorio: «Per i loro genitori fare famiglia e figli in Italia è stato un atto importante, un modo per provare ad annodare il loro futuro al nostro. Quei bambini rappresentano per noi un frutto stupendo di quell’atto di fiducia e speranza. Rappresentano una realtà e una disponibilità che non debbono essere ignorate. Costituiscono forse il punto più giusto e più urgente da cui ripartire». Un sentimento al quale si aggiunge la consapevolezza che «nella società italiana di domani i figli degli immigrati giocheranno un ruolo importante», per cui «il riconoscimento della cittadinanza da parte dello Stato italiano è solo una condizione, certo necessaria ma non sufficiente, per una piena interazione/integrazione delle seconde generazioni».

Attorno a quest’analisi e alla proposta di cittadinanza ai minori il mondo cattolico radunato a Reggio Calabria si è ritrovato unito. Per un cristiano impegnato in politica - è stato detto in quella sede - l’inclusione degli stranieri è uno dei “valori non negoziabili”. Eppure la politica, quella che avrebbe la forza per decidere, non sembra affatto intenzionata a muoversi in questa direzione. Quella stessa politica, che ama richiamarsi ai valori cristiani della nostra tradizione, finge di non sentire quello che chiedono i cristiani in carne ed ossa, le associazioni cattoliche, gli organismi pastorali della Chiesa italiana. Benedetto XVI lo ha detto con chiarezza anche in questa occasione: è necessario passare dalla fase dell’emergenza a quella dell’integrazione; le persone che vengono nel nostro Paese devono potersi integrare «con il loro lavoro e il patrimonio della loro tradizione», senza cioè dover rinnegare se stessi, per contribuire con il loro «protagonismo» alla costruzione di una «società migliore».

Anche queste parole rimarranno probabilmente inascoltate, perché permane in realtà, malgrado le dichiarazioni, una lettura “neopagana” del problema migratorio, come se la fede in questo ambito non avesse alcuna rilevanza pubblica. Di fatto, sulla questione migratoria, è la Lega ad esercitare oggi in Italia una vera egemonia culturale e politica. A detrimento dei diritti di cittadinanza di tutti, nativi e migranti.

Saper imparare

Così inizia Gaudium et spes 44:

Come è importante per il mondo che esso riconosca la Chiesa quale realtà sociale della storia e suo fermento, così pure la Chiesa non ignora quanto essa abbia ricevuto dalla storia e dall'evoluzione del genere umano. L'esperienza dei secoli passati, il progresso della scienza, i tesori nascosti nelle varie forme di cultura umana, attraverso cui si svela più appieno la natura stessa dell'uomo e si aprono nuove vie verso la verità, tutto ciò è di vantaggio anche per la Chiesa.

Una Chiesa che sa imparare dal mondo e dalla storia, oltre che annunciare... Parole dimenticate?

Qualcosa si muove in CL?

C'è una novità nel panorama ecclesiale italiano che non è ancora emersa in piena luce. Ci sono dei processi nuovi in atto all'interno del movimento di Comunione e Liberazione. Questa realtà, come molti sanno, è molto controversa per la rete di interessi politico-economici ad essa legata, soprattutto in Lombardia. Ne ha parlato come di un "sistema di potere" un articolo di Maddalena Oliva su Il Fatto Quotidiano dello scorso 22 agosto. Anche nel campo più strettamente ecclesiale non mancano giudizi fortemente critici sulle posizioni del movimento e sul suo modo di porsi nella Chiesa.

Il fatto nuovo sono i segnali provenienti da più parti di una dialettica, quando non di una vera e propria tensione all'interno di CL. E' una novità sia perché finora il movimento ha dato sempre segno di un'estrema compattezza e uniformità, come se uno o pochi decidessero per tutti (e questo è uno dei motivi di critica), sia perché è sempre stato caratterizzato da un'estrema riservatezza sulle proprie dinamiche interne.

Tutto ciò potrebbe dipendere dalla morte di don Giussani, fondatore e leader carismatico del movimento. Per sua decisione gli è succeduto lo spagnolo Julian Carron, un "esterno" che non apparteneva alla cerchia originaria dei fedelissimi di Giussani. E' venuta forse meno la copertura che impediva il formarsi di differenze e divisioni. Ci può essere poi anche un fatto generazionale in una realtà i cui primordi risalgono a oltre 50 anni fa: l'arrivo di Carron può aver favorito l'affermarsi nel movimento di nuove figure, meno legate al gruppo "storico" nelle relazioni e nelle posizioni.

E' ancora presto per capire e valutare che cosa sta accadendo veramente, ma ritengo che sia un segno rilevante, da tenere d'occhio, data l'importanza assunta da CL; trovo inoltre che un processo di dialettica interna sia "sano" per questo movimento come per ogni realtà ecclesiale.

Quale identità per i cattolici?

Credo che un servizio che questo blog fa sia quello di segnalare o rimettere in circolazioni materiali significativi che non sempre sono facili da rintracciare nel grande mare di Internet.

Sull'ultimo numero della rivista Koinonia è riportato un estratto da Concilium n. 5 del 1994 di cui riporto il finale. L'ultimo numero di Concilium, di cui si può leggere l'indice con alcuni testi scaricabili liberamente sul sito della Queriniana, si intitola Atei: di quale Dio?

Essere cattolici vuol dire credere che in tutto il mondo, non solo nella chiesa, Dio è all’opera, e che questo mondo è il mondo di Dio.

Ciò significa che i cattolici, uomini e donne, devono saper affrontare le sfide del mondo e confrontarsi con esse; e devono per questo saper parlare il linguaggio del mondo, dando con passione il loro contributo cattolico alla soluzione dei problemi del mondo nella società e nei suoi gruppi e nelle sue organizzazioni portanti.

Certo, vivere l’identità cattolica è diventato più difficile dopo il Concilio Vaticano II. Essa, infatti, va ricercata anzitutto all’interno della comunità cristiana ma, da ultimo, individualmente e va cercata continuamente, cosa di cui non si era consapevoli prima del Concilio. Essere cattolici vuol dire restare aperti alle esigenze del mondo. Infine - e ciò costituisce in primo luogo l’identità cattolica - essere cattolici può e deve voler dire anche saper rivolgere precise sfide e provocazioni al mondo. Essere cattolici è diventato più difficile dopo il concilio, ma anche più liberante e arricchente.

Prima del Concilio l’identità cattolica consisteva in una identificazione totale con tutti i pronunciamenti dei papi e dei vescovi. Ora è diventato chiaro che, di fronte all’ambivalenza dell’esistenza umana e alla connessa possibilità di errore della chiesa e del magistero ecclesiastico, come dimostra la storia, tale totale identificazione con la chiesa non solo non è possibile, ma è anche disumana. La conseguenza consiste nel fatto che l’identità postconciliare può consistere soltanto in una identificazione parziale con la chiesa.

Il testo è di Norbert Greinacher. Credo sia utile precisare che in esso il termine "chiesa" sta a indicare la gerarchia ecclesiale.

"Fate vedere il bello!"

Un cantico dell'amicizia. Questa espressione racconta la serata in cui è stato presentato a Crema il libro di don Angelo Casati Ospitando libertà (Centro Ambrosiano), che raccoglie i suoi interventi tenuti lungo due anni nella nostra città.

Don Angelo suscita amicizia. Lo si è avvertito nel rapporto cordiale con Gabriella Caramore, l'autrice e conduttrice di Uomini e profeti che insieme a lui ha condotto la serata. Lo si è avvertito negli amici di don Angelo venuti apposta da Milano. Lo si è avvertito nelle parole con cui lui ha descritto il rapporto con i cremaschi che lo hanno ascoltato in questi anni.

Il Centro di spiritualità, intendendo le persone raccolte in questo luogo che ha ospitato gli incontri, è stato per don Angelo uno spazio di libertà dove ha trovato, oltre al confronto sulle idee, anche il calore buono e familiare che si sente attorno a una tavola. Ecco l'essere chiesa: i rapporti prima delle istituzioni.

Gabriella Caramore ha presentato il libro di don Angelo spiegando come in esso prendono corpo le parole di Gesù secondo cui Egli è via, verità e vita (Giovanni 14,6). Gesù è via: incontra gli uomini e le donne del suo tempo sulla strada e apre loro una strada verso la pienezza dell'esistere. E' detto per una Chiesa che non predica dai pulpiti, ma testimonia il Vangelo nei luoghi della convivenza. Gesù è verità: la sua persona, i suoi gesti, il suo modo di essere è la verità, non una dottrina. E' detto per una Chiesa che incarna la verità in un amore fattivo. Gesù è vita: ogni sua parola, ogni suo atto non è solo per se stesso, ma comunica vita.

Don Angelo racconta tutto questo con un linguaggio poetico, facendo da traghettatore tra la Parola di Dio e il nostro quotidiano associandola a volti, incontri, sensazioni... Il suo invito ai presenti è stato quello di "far vedere il bello". Siamo tutti un po' avvelenati e intristiti da un clima pesante. Compito dei cristiani e dare luce al bello, farlo emergere.

E' l'intuizione di mettersi in ascolto della vita per scoprire nei suoi variopinti risvolti la presenza dello Spirito, come scaglie d'oro che emergono dal setaccio. Dice il Siracide che le opere del Signore sono tutte buone e che tutto al tempo giusto sarà riconosciuto come buono (40,33-34). Il libro di don Angelo è ci invita a prendere consapevolezza e a riconoscere la bellezza disseminata attorno a noi, invece di lasciarci soffocare dal fango. Lo fa parlando di giustizia e umanità, libertà e leggerezza, gratuità e gratitudine, semplicità e quotidianità, amicizia e affidabilità... Sono i titoli di alcuni dei capitoli che prendono spunto da stati d'animo e situazioni che tutti viviamo e compongono quasi una grammatica del vivere oggi.