Mi è capitato di leggere libri e articoli di Roberto Beretta, giornalista di Avvenire. Anni fa, mi è capitato anche di intervistarlo sul il suo Il lungo autunno. Controstoria del Sessantotto cattolico (Rizzoli). Concordo con alcune sue tesi, per esempio quelle contenute in Chiesa padrona (Piemme) che ho trovato molto coraggioso perché "fuori dal coro", mentre con altre no.
A ogni modo, lo apprezzo comunque per il fatto di scrivere con schiettezza ciò che pensa, senza preoccupa di identificarsi con uno "schieramento". Infatti, lui stesso nel presentarsi dice di aver scritto libri di "destra" e di "sinistra".
Sul sito Vino Nuovo è uscito un suo intervento sul tema del "moralismo", che anche nei mesi estivi ha fatto capolino, dopo gli interventi di Famiglia Cristiana critici verso il presidente del Consiglio. Lo riporto qui.
«La morte ma non i peccati». Non ho mai avuto molta simpatia per questa scritta, che si vedeva spesso negli oratori (maschili: perché «i peccati» erano in genere «quel» peccato...) dipinta sopra l’immagine del suo autore, o presunto tale: il salesiano san Domenico Savio. Non perché l’affermazione non abbia una verità anche teologica profonda (se il peccato è la «morte dell’anima», ovvero della nostra essenza intima, è ben giusto opporvisi eroicamente); ma in quanto il motto veniva troppo spesso interpretato non come prevenzione, bensì «a posteriori»: ovvero per far aumentare il senso di colpa di noi poveri ragazzi inevitabilmente peccatori...
Oggi invece un’altra grande e meritoria agenzia della pedagogia cattolica, per essere chiari il movimento di Comunione e liberazione, attraverso le voci non ufficiali ma autorevoli di suoi noti rappresentanti sta conducendo una forte battaglia contro ciò che chiama «moralismo». Il succo della questione può essere riassunto così: il cristianesimo non è una «morale», ma un «incontro», un «avvenimento», una «Persona»; dunque ciò che importa non è tanto l’attenzione esasperata e formalistica a mantenere certi atteggiamenti e a non commettere errori, quanto l’adesione sincera, appassionata, continua all’origine della propria fede.
Come si vede, si tratta di due tendenze in sé complementari (secondo il noto principio cattolico dell’«et et»: compiere l’uno senza omettere l’altro), ma che possono facilmente diventare opposte qualora - soprattutto nella divulgazione - vengano assolutizzate. Non c’è scampo: o le due tensioni stanno insieme, oppure rischiano di divenire pseudo-giustificazioni di comportamenti persino lontani dal cristianesimo. È successo nel passato con il motto di Domenico Savio, ho il fondato timore che avvenga oggi con la proposta ciellina.
Domani vorrei proporre alcune mie considerazioni, a partire dal testo di don Giussani in cui è esposta la distinzione tra morale e moralismo.
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