Nel mio personale itinerario di ascolto della Parola, due passi profetici mi si sono presentati come adeguati per introdurre il nostro incontro. Uno appartiene al Secondo-Isaia e l’altro al Terzo-Isaia. Già questa scelta mi suggerisce un desiderio alto, ma a mio parere indicato per il nostro tentativo: essere profetici, non dispensatori di parole qualunque.
Ecco, io faccio una cosa nuova:
proprio ora germoglia, non ve ne accorgete?
(Isaia 43,19)
Dice il Signore: «Come quando si trova succo in un grappolo, si dice: “Non distruggetelo, perché qui c’è una benedizione”, così io farò per amore dei miei servi».
(Isaia 65,8)
Sono testi che fanno riferimento alle esperienze dolorose dell’esilio e della deportazione. Esperienze disperanti. Eppure, Dio fa germogliare la novità anche là dove nessuno la sa vedere, perché nasce da qualcosa che secondo il metro di misura umano è insignificante. Alla maniera del granello di senape evangelico, immagine del regno di Dio. Come quando in un grappolo schiacciato c’è appena un po’ di succo. Questa pochezza basta a Dio per dare vita a qualcosa di grande.
Che cosa ha a che fare tutto ciò con noi?
Lo vedo in relazione con il contesto di Chiesa in cui si colloca la nostra iniziativa. La Chiesa italiana viene da una lunga stagione che ha avuto due contrassegni. In primo luogo, il papato di Wojtyla, al di là di ogni valutazione sulla persona, ha visto un rilievo esagerato del ministero papale per cui questa «copertura carismatica» ha nascosto molti aspetti della vita reale del cattolicesimo e dei suoi problemi. Inoltre, il ventennio ruiniano ha comportato un’omologazione delle voci ecclesiali e spinta a creare uniformità attorno al progetto politico-culturale dei valori non negoziabili e del cattolicesimo come religione civile italiana. Le questioni pastorali più urgenti e la necessità di compiere scelte nuove sono rimaste trascurate.
Di qui il disagio di molti, soprattutto tra i laici, che non si sono riconosciuti in questa linea ecclesiale e lo scisma sommerso che ha visto l’allontanamento, silenzioso ma effettivo, di tanti dalla comunità cristiana. Se non sentissimo il bisogno di fare rotta oltre queste acque, non saremmo qui oggi.
L’impostazione che ho descritto è ancora prevalente, ma una serie di fattori interni ed esterni al recinto ecclesiale suggeriscono l’immagine di una diga in cui si sono aperte delle falle. Penso al minor impatto comunicativo dell’attuale papa, all’emergere e all’inasprirsi tra le gerarchie di conflitti prima tenuti sotto silenzio, alle crisi e agli scandali che erodono autorità che fino a poco tempo fa sembravano intangibili (caso Boffo, inchieste, pedofilia). Inoltre, nell’odierna società della comunicazione digitale voci e notizie critiche sono sempre più difficili da tenere sotto controllo ed è sempre più difficile far accettare un’unica visione. Non a caso Benedetto XVI ha dovuto fare i conti con un susseguirsi incalzante di incidenti mediatici. Non a caso proprio Internet favorisce una riemersione di un cattolicesimo critico attorno al quale era stata fatta praticamente terra bruciata sui media ecclesiali più istituzionali.
Certo, la marginalizzazione del «dissenso» e l’impoverimento del tessuto ecclesiale sono stati tali da far temere che si sia trattato di una vera e propria sterilizzazione. Se incontri come quelli di Firenze sono stati caratterizzati dalle teste canute, è anche perché gli ambienti cattolici che lì sono convenuti vengono da anni di vero e proprio isolamento.
Eppure, Dio fa germogliare qualcosa di nuovo. Gli basta appena poco succo per far rinascere frutti rigogliosi, pieni di vita. Senza questa speranza fondamentale, è inutile essere qui.
Però, oltre ad incoraggiarci, i testi del libro di Isaia sono per noi anche un monito. Attenzione! Se vogliamo andare nella direzione di Dio, nella direzione dello Spirito, dobbiamo cercare il nuovo. Se Dio fa germogliare il nuovo, non dobbiamo fissarci sul vecchio. È detto per le nostre nostalgie, che potrebbero spingerci a rimpiangere una presunta età dell’oro e a volerla ricreare.
Molte speranze post-conciliari di rinnovamento sono andate deluse non solo per colpa di resistenze e restaurazioni, ma anche perché sono state coltivate in circoli troppo ristretti, seguendo una impostazione eccessivamente intellettuale, confondendosi troppo con la competizione politica, con atteggiamenti di chiusura e intolleranza che hanno riprodotto specularmente quelli delle gerarchie…
Il rinnovamento ecclesiale ha bisogno di una grande profondità evangelica. Perciò non è sufficiente trovare (o ripescare) degli slogan da ripetere, ma bisogna portare avanti una vera e propria ricerca nella quale far maturare, sperimentare e far crescere un nuovo stile di Chiesa.
Ecco, allora, il traguardo che i Viandanti dovrebbero raggiungere. Fare rete, nella Chiesa, da laici, oggi significa praticare e diffondere un nuovo stile di Chiesa: conciliare, aperta, sinodale, al servizio dell’umanità… Casa e scuola di comunione, per riprendere Giovanni Paolo II. Essere Viandanti non dovrebbe consistere nel fare dibattiti salottieri, ma dare vita a un’esperienza di Chiesa autentica e mostrare una strada.
In questa prospettiva si possono leggere gli interventi di Franco Ferrari, che presenta il progetto dell’associazione, di Giannino Piana, che presenta un inquadramento teologico, e di Fulvio De Giorgi che punta sul contesto pastorale.
Vorrei chiudere queste brevi considerazioni con alcune parole dell’amico don Angelo Casati, che possono dare un po’ il tono al nostro stare insieme che è per un più bel volto di Chiesa.
«A far pulsare un fiotto di vita nelle vene di questa umanità non sarà invece la Chiesa che siede al pozzo, una Chiesa mai stanca dell’umanità, mai stanca della compagnia degli uomini e delle donne del nostro tempo, una Chiesa che parla sottovoce, come il rabbi alla donna del pozzo, una Chiesa che sa chiedere un po’ d’acqua confessando il suo bisogno, una Chiesa che parla delle cose della vita, una Chiesa che non invade le coscienze, che fa emergere pazientemente le attese del cuore, una Chiesa che non ha nel suo stile quello di far sentire un verme nessuno, che ha invece la passione di portare alla luce la vena preziosa nascosta in ogni cuore senza distinzione?».
(Sussulti di speranza. Un parroco si racconta, p. 148)